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DON AMATO CINI

FERMIGNANO 1919 - Urbino 1987

 

1- Passo del Furlo

2- Lungo il Metauro

3- Sere di luglio

4- La passerella

5- Fantasia invernale

6. Per giorni più umani

7- Dicembre antico

8- Dicembre, pienezza del tempo

 

 

4 dicembre 2019  UNILIT di Fermignano

CENTENARIO  DEL POETA  AMATO  CINI

Poesie lette da Germana Duca

 

PER GIORNI PIÙ UMANI

 

Io che nacqui tra boschi di carpini e querce

sopra un giaciglio di stridule foglie

e che vidi come ai tempi d’Omero

arare i bifolchi con aratri di legno,

ho forse vissuto un millennio

se guardo la luna adesso violata,

che ai giorni d’infanzia era un cerchio maligno

ove irsuto errava Caino gravato

da un fascio di spine.

 

Allora per me tutto il mondo finiva

ai fossi, alla cerchia dei colli,

ai campi irti d’estate di secce e di crepe

illusi da effimeri tuoni,

da un vagolare di nuvole

subito perse per l’alto,

ed era uno strusciare di canne

a ogni bava di vento, il fiatare

dei gufi dai tronchi incavati, la biscia

acquattata tra giunchi e falaschi

o attorta livida ai fusti, il falco librato

che in cerchi calava a ghermire i colombi,

i giorni di polvere e di afa

tra il sordo ronfare di trebbie;

era la migrazione autunnale

dei coloni che avevano in bocca

un acre sapore di cose disfatte,

di latte corrotto,

verso altri poderi e disumane fatiche.

 

Era la neve e la morte, la furia

invernale sugli alberi,

l’operaio in fondo alle cave dal volto

tramato di rughe, dalle mani sterpigne

che percuotevano sempre,

solitarie sempre le pietre,

e non sapeva di scavarsi una fossa.

 

Era la donna irosa vestita di nero

che portava sotto lo zinale una lurida lama,

e come un corvo gracchiava al di là delle fratte,

confini inviolabili tra l’uno e l’altro podere;

era l’uomo asociale e bizzarro

tenero solo con brade fameliche gatte,

il pazzo che nudo al sole d’estate errava

pei campi arso da lussuria bestiale,

il suicida impiccato a una trave

d’un suo tugurio con gli occhi sbarrati

tra le grida rituali di una donna infedele.

 

Ma era anche il biolco dal pelo rossigno,

il fauno dei campi concorde col giro dei mesi:

fra luminose ginestre cantava a distesa,

cantava sempre canzoni d’amore

dietro l’aratro, o sul carro ricolmo

di fieno, o presso le fonti imitava

dolce fischiando per gli ombrosi torelli

assetati, il fluire dell’acqua.

Dormiva d’estate sotto le querce

tra un fitto frinir di cicale,

profetava, di sera, mirando le Pleiadi

ascendere in cielo, i giorni di pioggia e di sole.

 

Altro il fauno non seppe, altro non disse,

ma io che vidi, come nei tempi remoti,

arare i bifolchi con aratri di legno,

che per diverse stagioni ed eventi,

per acque molte e tempeste,

e sangue e sommosse di popoli,

e i forni di morte e Hiroshima,

il gulag e la nube di Seveso,

pervenni a questo black-out delle genti,

sono qui a implorare sotto infinite

galassie mute sulle umane fatiche

giorni più umani,

prima che l'acque diventino amare,

e perisca la vita, e il giudizio si compia,

e scenda il sipario

sulla nostra demenza.

 

da "I giorni del nomade", 1980, p. 65