FERMIGNANO 1919 - Urbino 1987 |
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4 dicembre 2019 UNILIT di Fermignano CENTENARIO DEL POETA AMATO CINI Poesie lette da Germana Duca
PER GIORNI PIÙ UMANI
Io che nacqui tra boschi di carpini e querce sopra un giaciglio di stridule foglie e che vidi come ai tempi d’Omero arare i bifolchi con aratri di legno, ho forse vissuto un millennio se guardo la luna adesso violata, che ai giorni d’infanzia era un cerchio maligno ove irsuto errava Caino gravato da un fascio di spine.
Allora per me tutto il mondo finiva ai fossi, alla cerchia dei colli, ai campi irti d’estate di secce e di crepe illusi da effimeri tuoni, da un vagolare di nuvole subito perse per l’alto, ed era uno strusciare di canne a ogni bava di vento, il fiatare dei gufi dai tronchi incavati, la biscia acquattata tra giunchi e falaschi o attorta livida ai fusti, il falco librato che in cerchi calava a ghermire i colombi, i giorni di polvere e di afa tra il sordo ronfare di trebbie; era la migrazione autunnale dei coloni che avevano in bocca un acre sapore di cose disfatte, di latte corrotto, verso altri poderi e disumane fatiche.
Era la neve e la morte, la furia invernale sugli alberi, l’operaio in fondo alle cave dal volto tramato di rughe, dalle mani sterpigne che percuotevano sempre, solitarie sempre le pietre, e non sapeva di scavarsi una fossa.
Era la donna irosa vestita di nero che portava sotto lo zinale una lurida lama, e come un corvo gracchiava al di là delle fratte, confini inviolabili tra l’uno e l’altro podere; era l’uomo asociale e bizzarro tenero solo con brade fameliche gatte, il pazzo che nudo al sole d’estate errava pei campi arso da lussuria bestiale, il suicida impiccato a una trave d’un suo tugurio con gli occhi sbarrati tra le grida rituali di una donna infedele.
Ma era anche il biolco dal pelo rossigno, il fauno dei campi concorde col giro dei mesi: fra luminose ginestre cantava a distesa, cantava sempre canzoni d’amore dietro l’aratro, o sul carro ricolmo di fieno, o presso le fonti imitava dolce fischiando per gli ombrosi torelli assetati, il fluire dell’acqua. Dormiva d’estate sotto le querce tra un fitto frinir di cicale, profetava, di sera, mirando le Pleiadi ascendere in cielo, i giorni di pioggia e di sole.
Altro il fauno non seppe, altro non disse, ma io che vidi, come nei tempi remoti, arare i bifolchi con aratri di legno, che per diverse stagioni ed eventi, per acque molte e tempeste, e sangue e sommosse di popoli, e i forni di morte e Hiroshima, il gulag e la nube di Seveso, pervenni a questo black-out delle genti, sono qui a implorare sotto infinite galassie mute sulle umane fatiche giorni più umani, prima che l'acque diventino amare, e perisca la vita, e il giudizio si compia, e scenda il sipario sulla nostra demenza.
da "I giorni del nomade", 1980, p. 65
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