FERMIGNANO 1919 - Urbino 1987 |
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4 dicembre 2019 UNILIT di Fermignano CENTENARIO DEL POETA AMATO CINI Poesie lette da Germana Duca
LA PASSERELLA
La passerella che al di là del Metauro ci portava alle dimore dei morti, se crisantemi odorano a un pallido sole, se rosseggiano, madre, fugaci gli scotani sulle colline, in cuore sempre mi torna e traballa.
E ora che anche tu giaci ai piedi del clivo, che giugno adorna di sparse ginestre, ritorno a te che traspari aerea forma da nebbie stagnanti sul fiume tra gialle acacie e canneti, e d'un brivido percorsa m'accenni che l'acqua fatta fiumana risalga, che porti al tuo grembo le mie paure, le rinnovate fatiche e i motivi da molti richiesti per cui s'alimenta la mia speranza.
A te dunque narrerò solitudini estreme, odori di cose disfatte nel buio, cieli vedovi d'ali, autunni struggenti e lividi inverni, segni per difficili approdi raccolti in teneri germi cresciuti tra rocce e roveti.
Confiderò a te sola che anche m'illusero, fatto linfa degli alberi, profumo d'erbe aromatiche onde gli dei curavano le divine ferite, primavere di favola, impetuosi meriggi allora che il tempo non era l'abisso e la morte, ma nascita eterna di arcobaleni dal mare a finire sulle colline ove s'eternavano le opere e i giorni incisi su pietre in cadenze latine, in pareti di pievi da cui scendevano dolci agresti madonne dagli ampi manti avvolgenti spose gestanti, gruppi di mani legnose in preghiera, o madre, congiunte come le tue.
Ma divisa ormai la mia mente da antiche radici, da canti corali e odori profondi di fieni, soavi di pane e di mele cotogne, dimentica anche di quelle parole che odoravano di vergine terra, chiare, per queste così costruite, accetto senza più angeli e fiamme un rischio di esodi nuovi, e annuncio a plebi stranite un difficile Dio che più non parla nel vento e nei fiori, non scende più a patti con l'uomo astuto e tecnocrate per vedere a quali traguardi vadano queste stagioni di semi dispersi, di fughe, di ore perplesse come quando a nuvole estive che vengono e vanno fremono gli alberi e ricadono subito in strani silenzi al cadere del vento.
Ma prima che vuoti pendano i nidi dall'alto e la fune si spezzi, oh, mi raggiungano cori di ninfe dal riso com'acqua quando s'increspa alla brezza, ondeggino in luce diffusa, discendano da verdi declivi al mare di porpora, m'accompagnino con vasi d'aromi pietose a cercare agli inferi il grembo materno dove dormire per sempre o rifluire come polla dai sassi.
Così ti riveda alla fine o forse al principio sulla passerella che anche adesso traballa precedermi, madre, soffusa di riso, e t'oda dirmi veloce le note suadenti parole: «Guarda avanti e non avere paura».
da "L'acqua dentro la roccia", 1983, p. 74
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