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DON AMATO CINI   -  2016 Ricordo all'UNILIT

"Mio zio poeta" di Abramo Cini

 

 

Lezione del 26 Febbraio 2016 all'UNILIT sede di Urbino

RICORDO DEL POETA DON AMATO CINI

"Mio zio poeta" di Abramo Cini

 

 

Amato Cini, mio zio poeta

 

Innanzitutto vogliate scusarmi se l’emozione tradirà ciò che voglio dire dello zio Amato Cini che è stato per me motivo di esempio e di orgoglio sia in vita sia dopo la sua morte tramite i suoi quaderni.

Non avrei mai pensato che, dopo quasi trent’anni dalla sua scomparsa, mi sarei trovato qui a testimoniare la sua vita. Nella mia vita lavorativa mi sono occupato principalmente di numeri (budget,stipendi, consuntivi, ecc.) in una società di ricerca del settore chimico. Nonostante ciò ho sempre coltivato e amato la poesia, passione trasmessami dallo zio. Non parlerò del pensiero poetico, delle emozioni che la poesia mi trasmette.

Nel tempo si sono occupati di lui eminenti critici come Geno Pampaloni, Giorgio Barberi Squarotti, Carlo Bo, Giuseppe Amoroso, Italo Mancini e Angelo Jacomuzzi con il quale parlai a lungo, approfittando della sua disponibilità, prima della stampa dell’opera postuma. Se ne occuparono anche tanti altri, anche di Urbino, dopo la pubblicazione postuma.

Come professore il mio ricordo va a quando in terza media ci diede da studiare a memoria “Il passero solitario” di Leopardi. Ricordo, come adesso, che pochissimi erano riusciti ad impararla bene. Quando arrivò il mio turno mi inceppai nei versi:

A me, se di vecchiezza
la detestata soglia
evitar non impetro
quando muti questi occhi all’altrui core
e lor fia voto il mondo, e il dì futuro...

Girandomi attorno mi diede uno scappellotto che mi fece cadere l’antologia e mi mandò al posto dandomi 4. Deluso forse che anch’io non fossi stato all’altezza delle sue aspettative. In seguito ci abbiamo riso sopra tante volte.

Ricordo quando leggeva dei classici ad esempio l’ Amleto. Si trasformava completamente. Era un vero attore. La classe rimaneva paralizzata dalla forza espressiva. Se il tempo me lo consente credo opportuno soffermarmi sull’ultima raccolta “Tra cielo e abisso” che ho curato.

Dopo la sua morte mi recai con mia sorella Bruna nella casa dello zio, in via Valerio. Guardando sulla scrivania mi saltò all’occhio un foglio di quaderno grande con la data 26.XI.87 – era il giorno antecedente la sua morte – nel quale aveva scritto una poesia. Leggendola con molta emozione ho capito di avere tra le mani un importantissimo documento. Sulla stessa scrivania vidi anche un quaderno nel quale c’erano diverse poesie inedite, tutte datate. A quel punto decisi di prendere tutti i quaderni dai cassetti affinché, nel tempo non andassero persi.

Tornato a Milano iniziai a trascrivere le varie poesie controllando che non fossero già state pubblicate. Questo mi fu facile perché lo zio datava sempre i suoi scritti. Ciò che trovai più difficile fu decifrare la sua calligrafia. Tanti erano i quaderni che trovai con alcune poesie non pubblicate – non so se ritenute non degne di essere inserite nelle precedenti pubblicazioni oppure non complete o dimenticate.

Comunque d’accordo con l’editore e il prof. Jacomuzzi che curò la presentazione si decise di inserirle nella raccolta. Ritornando su l’ultima poesia, come si può notare dal manoscritto non c’è alcun titolo. A scanso di equivoci preciso che il titolo “L’ultimo canto” è stato dato da me, d’accordo con l’editore, intendendo dire che si trattava dell’ultimo scritto – dell’ultima poesia.

Per quanto riguarda il titolo “Tra cielo e abisso”, esso nasce da versi di alcune sue poesie, come “Anima antica” della stessa raccolta. Ho ritenuto che quel titolo si adeguasse molto bene alla sua attività poetica. Intitolarlo solo “poesie postume”, come mi suggerì don Italo Mancini al quale inviai il dattiloscritto, non avrebbe valorizzato totalmente il lavoro di don Amato. A pubblicazione avvenuta, telefonicamente mi ringraziò e si complimentò per il titolo. Ecco, questo è quanto mi premeva precisare. Ringrazio i presenti, in particolare il prof. Mosci e prof. Colocci che sono per me un riferimento sicuro per la cultura di questa meravigliosa “città della poesia”.
Terminerei con una “pennellata” di poesia apprezzata anche da Antimo Negri:

Mi rapirono i sensi luminose colline,
numerose palpitarono fulve
al sole di giugno
ninfe
coronate di ginestre.

Urbino, 26 febbraio 2016

Abramo Cini