Presentazione


Giovanni Murano affronta, per la prima volta, sulla base di inoppugnabili documenti archivistici fino ad oggi assolutamente ignorati, il travagliato inizio della lenta agonia del Ducato di Urbino sotto lo scettro dolente ma non irresoluto dell'ultimo duca Francesco Maria II della Rovere, qui ritratto quasi baroccescamente col saldo carattere dell'impavido sovrano preoccupato tanto del bene normale dei suoi sudditi, quanto dell'affermazione della laicità del diritto vigente nel suo Stato. Il Duca si era posto più volte in aperta contrapposizione con le egemoniche asserzioni controriformistiche che la Chiesa andava riaffermando ovunque come Madre soccorrevole e beneficente dei credenti e, in particolare nei propri Stati, anche come sovrana savia e provvidentissima dei suoi popoli.

Tra le istituzioni giuridiche laiche del Ducato e l'applicazione di un diritto canonico sempre più debordante nel temporale s'instaurò una lotta invisibile, magistralmente condotta con frequenti inesorabili punture di spillo inferte da entrambi i contendenti con sottigliezze procedurali e cavillose interpretazioni, secondo l'ombrosa etichetta del puntiglio spagnolo.

Tale, riaffermato, supremo potere della Chiesa è laicamente tenuto a bada almeno nell'ambito del suo piccolo Stato dal duca Francesco Maria II della Rovere, il quale, pur continuando a manifestare la propria rituale fedeltà feudale alla Chiesa e pur conscio dell'ineluttabilità della prossima devoluzione del Ducato urbinate alla Camera apostolica, non consentirà mai - lui ancor vivo e sovrano - né l'instaurazione del tribunale dell'Inquisizione, né l'istituzione di collegi gesuitici, né l'apertura dei ghetti in nessuna città del suo Stato.

Da tutto ciò s'intuisce che lo studio condotto da Giovanni Murano sopra un manoscritto, nel quale è verbalizzato un processo per stregoneria celebrato ad Urbino nel 1587, è soltanto un movente per investigare ben più profondi recessi della storia tra Cinque e Seicento attraverso nuovissimi documenti d'archivio che, straordinariamente, intrecciano la sto¬ria del Ducato urbinate a quella degli altri Stati e potentati italiani e in modo insospettato addirittura la avviluppano a quella ben più intensa dei grandi Stati d'oltralpe ai tempi dell'egemonia del tenebroso Filippo II di Spagna, assai corrucciato dai nuovi Stati d'Europa emergenti dalle nebbie della Riforma protestante ormai pervicacemente costituita.
Rispetto al processo per stregoneria del 1587, l'incipit del primo capitolo parte da ben settantaquattro anni prima, cioè dal 6 febbraio 1513, allorché nel palazzo ducale di Urbino, al cospetto del duca Francesco Maria I della Rovere (nonno di Francesco Maria II) fu recitata per la prima volta La Calandria del celebre umanista Bernardo Dovizi da Bibbiena, sotto la regia di Baldassar Castiglione, che inaugu-rava l'avvento del moderno teatro italiano con il suo celebre prologo, dove spiegava che La Calandria non era stata scritta in latino come le altre commedie, bensì in volgare perché l'intendessero i dotti e gli indotti.

Con tale e tanto lontano ricordo, Murano intende soltanto indicare le basi sulle quali poggia la tradizione del sentire laico, costantemente presente alla corte urbinate: un sentimento tanto radicato risalente di sicuro ad epoche assai più antiche, il quale veniva inculcato e trasmesso non solo ai principi bensì a tutti coloro che frequentavano quella corte elettissima.

Ne La Calandria, difatti, in aperta contrapposizione ai manuali sui quali si formavano gli inquisitori, viene laicamente e pericolosamente dileggiato Vasserto concernente la realtà del potere di streghe e stregoni di comandare ai demo¬ni. Era questa una tesi assai rischiosa anche perché la stregoneria era sempre più omologata dalla Chiesa al reato di ere¬sia, la quale era stata equiparata al crimem lesae maiestatis, in quanto offesa alla Maestà Divina, da dove discendeva che streghe e stregoni potessero essere legittimamente bruciati sul rogo.

Con il secondo capitolo si va direttamente all'agosto del 1587 e in particolare al lunedì dieci di quel mese canicolare, per seguire d'appresso la descrizione dell'arresto di tale donna Laura, moglie di Marco di Luchino della villa di Santa Croce del Castel di Farneta, all'epoca un povero luogo agreste e impervio nel cuore verde della vicaria foranea di Acqualagna.

La donna fu condotta a Urbino in ceppi dai birri della curia metropolitana e durante il lungo processo celebrato nella città ducale la sventurata ebbe spesso modo di assaggiare i metodi persuasivi raccomandati al giudice dalla non tenera procedura inquirente, preoccupata però di sottoporre preventivamente l'imputata a visita medica per stabilire la sua idoneità fisica a sopportare i prescritti tormenti.

A questo punto s'apre la drammatica prospettiva sulla storia politica e religiosa in Italia tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento con particolare riguardo a Urbino, dove per merito di papa Giulio II (zio paterno del duca Francesco Maria I) era stata conferita a un Collegio di Dottori laici la competenza di giudicare nelle cause sia penali che civili di seconda e di terza istanza, comprese quelle che riguardavano i religiosi se fossero stati imputati di delitti comuni.

Tale inusitato contenuto della bolla di Giulio II del 18 febbraio 1307 aveva da sempre eccitato "i più accesi furori in tutti i metropoliti urbinati, suscitando in loro la ricorrente tentazione di riuscire finalmente a strappare ai magistrati ducali la capacità di esaminare, accogliere o rigettare le sentenze del tribunale arcivescovile: E forse - sostiene Giovanni Murano - proprio nelle pieghe di questa discordia senza fine si è consumata la drammatica vicenda della supposta strega donna Laura '.

Proseguendo nel commento dei vasti stralci del verbale processuale, il terzo capitolo affronta Vaspetto demonologico, offrendo una minuziosa costruzione e decostruzione della strega come ancora alla fine del Cinquecento, ma risalente all'antichissima epoca della religione ctonia, veniva percepito lo stereotipo della strega, perversa signora della temibile magia tempestarla e detentrice del funesto potere di diffondere epizoozìe, cui spesso soggiacevano perfino gli infanti.

Naturalmente tutto questo è colto a pretesto dall'autore per aprire un altro vasto squarcio prospettico, questa volta sulle condizioni sociali ed economiche del non vasto Ducato di Urbino, la cui luce ferale, però, riverbera fatalmente luttuosa non solo sugli orizzonti degli altri Stati italiani, ma anche sotto i più vasti cieli d'Europa.

Insomma, col suo lavoro Giovanni Murano ha tracciato, con convinzione, per non dire amore, la storia della città dei suoi studi, colta nella luce crepuscolare dell'ormai tramontato Rinascimento urbinate. Di quell'epoca mitica risplendeva ancora soltanto l'astro di un diffuso sentimento di laica indipendenza nei confronti dell' omologazione egemonica vagheggiata dalla Chiesa controriformistica. Di questa specialissima visione politica fu indefettibile paladino Francesco Maria II della Rovere, il postremus ultimus dux della indipendenza urbinate, il quale prescriveva (<devozione ed ossequio verso la religione, ma non intrinsichezza con i suoi ministri, specialmente con coloro che erano inclini ad intromettersi negli affari temporali': una prospettiva politica davvero incredibilmente attuale, che aveva reso il duca particolarmente diffidente nei confronti del tribunale della santa Inquisizione, che soltanto nel 1631, subito dopo la sua morte e la conseguente devoluzione del Ducato urbinate alla Camera apostolica, potè essere istituito appena nella periferica sede di Gubbio.

Uno studio non certamente facile, quello di Murano, ap¬prezzato già e premiato in sede accademica per la sua attenzione e massimo rispetto nei riguardi delle fonti archivistiche, di continuo messe a confronto con una letteratura scientifica, resa ricca e abbondante negli ultimi anni, per l'interesse della storiografia internazionale rispetto al tema della stregoneria e ai metodi adottati per contrastarla, soprattutto negli ambienti cattolici.

 

Gilberto Piccinini

(Direttore dell'Istituto di Storia

dell'Università degli Studi "Carlo Bo"

di Urbino)