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Annunziatina

GERARDO  SANI:  docente / preside

Urbinati indimenticabili

Biografia Diario di prigionia

 

Biografia

 

Gerardo Sani nacque in Urbino il 29 Luglio 1922 nella casetta colonica Ca' Pansaccia Nuova fuori porta S. Lucia, in Viale Gramsci 2.

La sua famiglia era composta da:

- Padre: Giovanni, nato ca. nel 1981 in zona Piansevero di Urbino nel podereCa' Marinello soprannominata poi Ca' Pansaccia (Vecchia), di professione fattore. Morì improvvisamente nel 1937 in piena maturità per infarto cardiaco.

- Mamma: Annunziata Gianotti, nata il 26-03-1899 a Che' Gnagno, podere in zona Tufo di Urbino e morta a Monza il 20-11-1985. Donna molto energica, vedova a 38 anni, ha miracolosamente cresciuto ed educato i tre figli dedicandosi a faticosi lavori saltuari.

- Sorelle: Anna Maria, nata il 19-11-1924, inferniera, ed Emilia, nata il 20-06-1926, insegnante. La foto sotto a sx è del 1928 ca., a dx la mamma Annunziata da nubile.

 

 

 

 

 

 

Nel giugno del 1941 consegue la Maturità Classica nel Liceo Raffaello di Urbino.

A dx Gerardo sui 14 anni con sorelle e cuginette.

 

 

Nel novembre 1941 si iscrive alla Facoltà di Lettere dell'Università di Roma.

Le più grandi avversità di questo periodo derivavano dallo stato di povertà nella quale era piombata la famiglia per la morte improvvisa del padre Giovanni. Il traguardo  è stato raggiunto per merito della grande volontà e degli enormi sacrifici della madre Annunziata.

 

Nel 1943, ancora studente a Roma, gli viene sospeso il rinvio dalla leva militare per motivi di studio e chiamato urgentemente in servizio per il cattivo andamento della disastrosa guerra.

Cosicché l'8 settembre si trova come recluta in una caserma aeronautica di Padova per l'addestramento militare; qui tutto l'esercito viene fatto prigioniero dai tedeschi ed inviato in Germania, dove viene internato fino al 8 aprile 1945 subendo 17 mesi di dura prigionia. (vedi Diario di Prigionia, clicca)

 

Il 6 Agosto 1946 si Laurea in Lettere presso l'Università "La Sapienza" di Roma, con voti 106 su 110 discutendo una Tesi sugli Assiri, impegnandosi nell'interpretazione di numerosi documenti in scrittura cuneiforme.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Viene subito chiamato come professore incaricato al Liceo Classico di Urbino. Nel frattempo si prepara per sostenere esami per l'inserimento nell'insegnamento ed entro il 1949 ottiene le seguenti abilitazioni all'insegnamento di:

Lettere nella Scuola Media (75/75) e poi idoneità (86,75/100);  Lettere nel Ginnasio (73/75) e poi idoneità (81.80/100);  Italiano, Latino e Storia nei Licei (57/75) e poi idoneità al relativo concorso.

Infine, nel 1 Ottobre 1949 viene nominato Professore di ruolo nel Liceo Classico di Urbino per la Cattedra di Italiano e Latino, che ricopre con riconosciuta maestria per 16 anni, cioè fino il Settembre 1965.

Appena laureato, dall'A.A. 1946-47 al  1978-79, ha svolto vari incarichi di assistentato alla Cattedra di Latino presso l'Università degli Studi di Urbino.

 

Un suo alunno degli anni 1950 (Romano Rossi) così lo ricorda:

"Se il professor Gerardo Sani si laureò nel 1946, lo stesso anno ebbe subito l’incarico di insegnare italiano, latino, greco, storia e geografia in V° ginnasio e fu mio amatissimo insegnante. Venivamo tutti da una IV ginnasio di 44 alunni e da essa avevamo tratto un magro profitto. L’indimenticabile Preside Prof. Francesco Valli l'anno successivo la divise in due sezioni, la A e la B secondo un ordine alfabetico. Della A fu incaricato il Prof. Neuro Bonifazi, della B il Prof. Gerardo Sani.
Fu per me un anno indimenticabile. Ci rigirò come un guanto e grazie a lui diventammo in gran parte abilissimi in ogni materia, in particolare in latino e greco.
Aveva il magico potere di far amare le materie che insegnava e di trascinare la quasi totalità della classe, salvo qualche pigro (che non manca mai). E stato per me una straordinaria guida e lo ricordo con la stessa riconoscenza che porto al Maestro Ettore Barcaroli, splendida figura di educatore e di patriota, alla Prof.ssa Marina Fattori Lucciarini ed al Prof. Ercole Borgogelli.
Questa breve digressione a postumo ringraziamento agli artefici di quel poco che so. Grazie al Professor Gerardo Sani, urbinate che ha molto onorato la nostra città."

 

Il 26 Marzo 1951 l'avvenente Cleonice Zitelli, distogliendolo con molta diplomazia dai gravosi impegni di carriera, lo porta all'altare. Inizia così un faticoso menage famigliare, reso difficile non solo dalle comuni e spesso immancabili problematiche psicosomatiche fra coniugi, ma anche dagli impegni di lavoro e ambizioni di carriera della moglie: quei tempi non erano ancora favorevoli al lavoro femminile, soprattutto in una città di provincia come Urbino.
   

 

 

 

Nel 1953 nasce Alessandro, primogenito ed unico figlio.

Questi fino all'età di 18 è vissuto ad Urbino ottenendo la maturità classica.  Poi si è trasferito a Bologna per studio e lavoro, ove tuttora vive.

 Il Prof. Gerardo Sani nel 1965 a seguito concorso venne nominato Preside di 1ª Categoria ed assegnato al Liceo Scientifico "Marconi" di Pesaro.
Per questo nuovo e ambito incarico ha dedicato anima e corpo meritando onori e stima soprattutto da parte degli studenti. Era normalmente definito un preside tollerante e comprensivo, che non solo tenne testa ai fermenti assemblee e collettivi del '68, ma bensì ha sfruttato questi per rinsaldare il ponte fra cultura e progresso.

Durante i 25 anni di presidenza ha atteso a numerosissimi incarichi e partecipazioni, come corsi e seminari di aggiornamento per docenti e presidi, corsi abilitanti, concorsi, comitati, attività sportiva, borse di studio, graduatorie, distretti scolastici, consigli di amministrazione (Conservatorio Musicale ...), commissioni elettorali ...

Ormai diventato "Preside Storico" va in pensione nell'ottobre del 1989 a 67 anni, dopo 19 anni da professore e 28 da preside.

Ritorna nella sua natale Urbino, dove passa le giornate fra casa e circolo cittadino molestato da un diabete ormai cronico. Muore a 77 anni il 27 Febbraio 1999.

 

SCUOLAMUSEO raccolta di opere grafiche dedicata a Gerardo Sani

Targa del
Assessorato alle Attività Culturali - Editoria


Mercoledì 8 giugno 2010 alle ore 9,30 presso l'Anfiteatro del Liceo Scientifico statale "G.Marconi" si tiene la Cerimonia di intitolazione della Raccolta di opere grafiche dedicata a Gerardo Sani, Preside dell'Istituto dal 1965 al 1989 a cui è riconosciuto, oltre la funzione educativa, il merito di aver creato un ponte tra scuola e cultura. Sarà presente la Famiglia Sani, l' Assessore provinciale per le Politiche culturali e valorizzazione dei beni storici e artistici  Davide Rossi, l' Assessore per la Pubblica Istrizione Alessia Morani, il Dirigente scolastico Gustavo Ferretti, il curatore della raccolta Claudio Cesarini, il Presidente dell'Accademia Raffaello Giorgio Cerboni Bajardi e gli studenti del liceo.  Sarà allestito un vero e proprio percorso museale, curato dal Professore e artista Claudio Cesarini, negli spazi del liceo scientifico per testimoniare l'importanza ed il rilievo che l'arte incisoria ha per il nostro territorio.

 

Il dirigente scolastico Gustavo Ferretti apre la cerimonia di intitolazione del ‘museo’ di opere grafiche del Marconi allo ‘storico’ preside che l’ha preceduto: “La pinacoteca è nata dalla sua collezione” .”La nostra memoria storica è la base della coscienza”. Guarda all’eredità del passato il dirigente scolastico Gustavo Ferretti. E apre così, davanti agli studenti, la cerimonia di intitolazione del ‘museo’ di opere grafiche del Marconi allo ‘storico’ preside che l’ha preceduto, Gerardo Sani: “E’ la nascita ufficiale della nostra pinacoteca. E abbiamo voluto legarla alla prima figura che, negli anni ‘60, ha dato continuità e definitezza giuridica al liceo scientifico”. Sani, che è stato preside per 25 anni, è stato protagonista degli anni del boom dell’istituto, radicandolo nel territorio: “La pinacoteca – spiega Ferretti – è nata dalla sua collezione, che poi abbiamo ampliato nel tempo”. La raccolta è stata donata alla Provincia, “perché vogliamo che appartenga a tutti. Anche se resterà comunque negli spazi del nostro istituto”. Poi, alla presenza della famiglia Sani (ci sono la moglie Cleonice e il figlio Alessandro), l’assessore alla Cultura Davide Rossi aggiunge: “In provincia c’è una grande tradizione di opere grafiche. Vogliamo portare l’arte in mezzo alle persone, al di là dei luoghi istituzionali e ‘paludati’…”. C’è anche il curatore della collezione, l’artista Claudio Cesarini, insieme al presidente dell’accademia Raffaello Giorgio Cerboni Bajardi. Chiude l’assessore alla Pubblica istruzione Alessia Morani: “La raccolta è una delle più importanti della regione: giusto dedicarla a un preside che è stato in grado di andare al di là della funzione educativa ordinaria, aprendo la scuola alla cultura”. Poi si scopre la targa: il Marconi, da oggi, diventa anche ‘Scuolamuseo’.

 

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GERARDO SANI: DIARIO DI PRIGIONIA
Settembre 1943 - Aprile 1945: mesi 18

Urbinati indimenticabili

 

INDICE

Premessa storica

Settembre 1943

Ottobre 1943

Novembre 1943

Dicembre 1943

Febbraio 1944

Pasqua 1944

Maggio 1944

Giugno 1944

Luglio 1944

Settembre 1944

Febbraio 1945

Aprile 1945

Siamo liberi!!!

Bunchenvald

Profili

Appendice storica

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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All'inizio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

All'inizio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

All'inizio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

All'inizio

Cronologia Storica (da "La storia" - Repubblica)

1939

Primo settembre. All'invasione tedesca della Polonia, che innesca la seconda guerra mondiale, l'Italia dichiara la non-belligeranza.

1940

10 giugno. L'Italia entra in guerra contro Francia e Inghilterra. 24 giugno. La Francia si arrende e firma l'armistizio con l'Italia, settembre. Le truppe italiane entrano in Egitto.

28 ottobre. L'esercito italiano attacca la Grecia.

novembre. Gli Italiani sono respinti dal contrattacco greco; la controffensiva inglese in Africa costringe le truppe italiane a ritirarsi dall'Egitto.

1941

gennaio-febbraio. Gli Inglesi attaccano le posizioni italiane in Africa orientale; conquistano Tobruk e Evengasi in Cirenaica. La controffensiva italo-tedesca riconquista Bengasi, ma gli Inglesi conquistano Asmara, Mas-saua e Addis Abeba. In Libia sbarca 1 Afrika Korps del generale Rommel.

aprile. In seguito all'intervento tedesco la Grecia e la Iugoslavia si arrendono.

9 luglio. Partenza del corpo di spedizione italiano in Russia.

27 novembre. Gli Italiani si arrendono in Africa orientale.

11 dicembre. L'Italia, insieme alla Germania, dichiara guerra agli Stati Uniti entrati in guerra in seguito all'attacco giapponese a Pearl Harbor.

1942

maggio-giugno. Le forze dell'Asse attaccano gli inglesi sul fronte africano riconquistando Tobruk e fortificandosi a El-'Alamein, non lontano da Alessandria.

23 ottobre. Inizia la controffensiva britannica, guidata dal generale Montgomery, che porterà il 4 novembre allo sfondamento delle linee italo-tedesche a El-'Alamein.

dicembre. In Russia l'ARMIR (Armata italiana in Russia) è travolta dall'offensiva russa e costretta a ritirarsi.

1943

5 marzo. La grande ondata di scioperi nelle fabbriche nel nord è un primo, significativo sintomo del malcontento contro il regime e la guerra.

10 luglio. Gli alleati sbarcano in Sicilia

19 luglio. Roma è sottoposta a un pesante bombardamento alleato.

25 luglio. Crollo del regime fascista. Mussolini, sfiduciato dal Gran consiglio, è costretto alle dimissioni, arrestato e sostituito dal generale Pietro Badoglio.

26 luglio. Manifestazioni di giubilo in tutte le città; tuttavia Badoglio annuncia che «la guerra continua». Il nuovo governo reprime nel sangue molte manifestazioni e lascia in vigore la legislazione antisemita.

3 settembre. A Cassibile l'Italia firma l'armistizio con gli alleati.

8 settembre. Di fronte ai tentennamenti di Badoglio e del re gli alleati danno l'annuncio dell'armistizio: mentre il Paese precipita nel caos, i regnanti e il governo abbandonano Roma per Brindisi.

9 settembre. Inizia l'occupazione militare tedesca. Nelle province del confine orientale i Tedeschi istituiscono le Operationszonen Adriatisches Küstenland e Alpenvorland, poste sotto l'amministrazione diretta del Reich.

10 settembre. Nascita del CLN e avvio della lotta partigiana nel centro-nord.

12 settembre. I Tedeschi liberano Mussolini dalla prigione sul Gran Sasso e lo portano in Germania.

19 settembre. A Boves (Cuneo) una rappresaglia di SS causa l'incendio del Paese e la morte di 24 civili.

21-24 settembre. I Tedeschi massacrano i militari italiani di guarnigione nell'isola greca di Cefalonia, che hanno rifiutato di cedere le armi.

23 settembre. Nel nord nasce per volere dei Tedeschi, la Repubblica sociale italiana (RSI): la sede del governo è posta a Salò, sul lago di Garda. La RSI conta sull'adesione delle frange estreme del fascismo. Cominciano le deportazioni di ebrei italiani verso i campi di sterminio dell'Europa orientale, nell'organizzazione delle quali i repubblichini svolgeranno un ruolo fondamentale.

27 settembre. Napoli insorge contro i Tedeschi durante le quattro giornate. Il primo ottobre le truppe naziste abbandonano la città, prima dell'arrivo degli alleati.

ottobre-novembre. A Trieste viene allestito, in una vecchia fabbrica per la lavorazione del riso, nel rione di San Sabba, l'unico campo di sterminio italiano.

13 ottobre. A Caiazzo (Caserta) i Tedeschi trucidano 22 civili italiani, tra cui 10 bambini e 7 donne. Lo stesso giorno l'Italia di Badoglio dichiara guerra alla Germania.

16 ottobre. Rastrellamento del ghetto di Roma: sono deportati ad Auschwitz oltre 1000 ebrei. Timide e tardive proteste dal Vaticano con la Germania.

9 novembre Un primo bando di chiamata alle armi della Repubblica di Salò va largamente disatteso.

14-16 novembre. A Verona si svolge un congresso per discutere la costituzione della RSI: dichiarata decaduta la monarchia, si sottolinea il programma «sociale» della repubblica. Il 15 novembre, in seguito all'uccisione del segretario del PFR di Ferrara, Ghisellini, si scatena la violenza squadrista contro ebrei, antifascisti e comuni cittadini: 11 le vittime. Nella carta di Verona, manifesto programmatico della Repubblica di Salò, «gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri e appartengono a nazionalità nemica».

30 novembre. La RSI ordina l'arresto di tutti gli ebrei, il loro internamento in campi provinciali e poi nazionali, il sequestro di tutti i loro beni.

28 dicembre I nazisti fucilano a Campegine (Reggio Emilia) i sette fratelli Cervi organizzatori della Resistenza nella zona.

1944

8 gennaio. A Verona ha inizio il processo contro i gerarchi che, nell'ultima seduta del Gran consiglio, avevano votato contro Mussolini. Il processo si conclude il 10 gennaio con la condanna a morte degli imputati.

22 gennaio. Gli alleati sbarcano ad Anzio. Nel corso della primavera, dopo aver infranto le difese tedesche a Cassino, risaliranno la penisola, affiancati dai nuclei di resistenza.

28-29 gennaio. A Bari si riunisce il primo congresso dei CLN: la mozione finale propone l'abdicazione di Vittorio Emanuele III e il rinvio della scelta istituzionale a un referendum da tenersi a liberazione avvenuta.

31 gennaio. Viene costituito il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (CLNAI), a cui il comitato centrale di Roma affida la guida politica e militare della Resistenza nelle regioni settentrionali per coordinare la lotta delle varie formazioni.

febbraio. Il Partito d'azione organizza le brigate Giustizia e Libertà mentre i socialisti daranno vita alle brigate Matteotti allargando il quadro delle formazioni partigiane. I bombardamenti delle forze alleate e i sabotaggi operai rallentano la produttività e ritardano le consegne di macchinari e armamenti alla Germania.

18 febbraio. La RSI proclama la pena di morte per i renitenti alla leva.

Primo marzo. Una nuova ondata di scioperi nelle fabbriche scuote il nord.

23-24 marzo. A Roma un nucleo dei GAP attacca una colonna tedesca in via Rasella. Per rappresaglia, il 24 marzo, gli uomini della Gestapo al comari do del colonnello Kappler uccidono, nelle cave sulla via Ardeatina, 335 pe sone.

27 marzo. Palmiro Togliatti, rientra in Italia dopo un lungo esilio in URSS invita le forze antifasciste alla conduzione unitaria della guerra contro i Tedeschi e propone il rinvio della questione istituzionale alla conclusione del conflitto. Il 2 aprile le tesi approvate dal consiglio del partito (note come «svolta di Salerno») vengono rese note da «l'Unità».

6-11 aprile. Rastrellamento tedesco alla Benedicta, in Liguria: 147 le vittime e 170 i deportati.

18 aprile. Viene istituito il Corpo italiano di liberazione: raccoglie i reparti dell'esercito del sud che affiancano gli alleati.

maggio. Gli Anglo-Americani sfondano la linea Gustav.

4 giugno. Roma è liberata dagli alleati. Presso località La Storta, durante la ritirata tedesca vengono fucilati 12 prigionieri del quartiere generale tedesco di via Tasso, tra cui il segretario generale della CGIL Bruno Buozzi.

17 giugno. Il feldmaresciallo Kesselring, responsabile delle operazioni militari tedesche in Italia ordina: «La lotta contro le bande deve essere condotta con tutti i mezzi a disposizione e con la massima asprezza».

18 giugno. Si insedia il nuovo governo espressione del CLN, presieduto da Ivanoe Bonomi.

19 giugno. Nasce il Corpo volontari della libertà (CVL) all'interno del CLNAI per coordinare le operazioni resistenziali.

29 giugno. 173 vittime civili a Civitella della Chiana per rappresaglia tedesca, 71 a San Pancrazio di Bucine (Arezzo); a Guardistallo (Pisa) 82 persone uccise dai nazifascisti tra partigiani e civili.

primo luglio. Nella RSI il PFR si trasforma definitivamente in struttura militare: nascono le Brigate nere, cui si affiancano bande autonome svincolate da ogni potere legittimo, impegnate nella lotta antipartigiana e responsabili di crimini ai danni dei civili.

11 agosto. Il CLN toscano impartisce l'ordine dell'insurrezione generale nella città di Firenze, raggiunta il 4 agosto dalle avanguardie alleate, assumendone il governo. La battaglia, che vede combattere insieme alleati e partigiani, durerà fino al primo settembre.

12 agosto. A Sant'Anna di Stazzema, in Versilia, i Tedeschi massacrano 560 civili.

29 settembre-5 ottobre. A Marzabotto-Montesole un rastrellamento nazifascista si conclude con la strage di 770 vittime, in maggioranza donne, bambini, anziani.

13 novembre. Il fronte italiano si è ormai attestato sulla linea dell'Appennino (la linea gotica). Il generale Alexander, comandante delle forze alleate in Italia, nell'imminenza dell'inverno impartisce alle formazioni partigiane l'ordine di «cessare le operazione organizzate in vasta scala». Il «proclama Alexander» ha un effetto scoraggiante; il 2 dicembre il CVL diramerà delle Istruzioni per la campagna invernale, scongiurando lo smantellamento delle formazioni partigiane combattenti. I nazifascisti riprendono l'iniziativa. Finisce l'esperienza delle repubbliche partigiane.

1945

febbraio-marzo. Il movimento partigiano nel Nord Italia riprende l'iniziativa con vigore («vento del nord»). Le forze fasciste e tedesche danno segni di cedimento e si preparano alla smobilitazione; emissari delle SS trattano la capitolazione delle forze tedesche in Italia con agenti dei servizi segreti elvetico e americano.

17 aprile. Gli alleati sfondano la linea gotica, sulla quale erano attestati dall'autunno precedente, e avanzano nella pianura Padana.

18 aprile. Sciopero generale preinsurrezionale a Torino.

25 aprile. Il CLNAI impartisce l'ordine di insurrezione generale, assumendo pieni poteri civili e militari. Nelle città del nord - Genova, Torino, Milano - confluiscono i reparti partigiani, fabbriche, prefetture, caserme vengono occupate.

28 aprile. Mussolini in fuga è catturato a Dongo dai partigiani; in base al pronunciamento del CLN viene giustiziato, insieme ad altri gerarchi della Repubblica sociale Italiana.

2 maggio. Le truppe tedesche in Italia si arrendono.

8 maggio. La Germania firma la resa. Finisce la guerra in Europa.

 

 

 DIARIO DI PRIGIONIA

PREMESSA.

GERARDO SANI, classe 1922, figlio di fu Giovanni e di Annunziata Gianotti e residente in Urbino in Via Gramsci, dal 1941-42 studente universitario alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Roma nel settembre 1943 si trova nella Caserma Aeronautica di Padova per il servizio di leva; annullato il rinvio per motivi di studio, deve attendere ad un rapido addestramento per essere utilizzato con urgenza per le operazioni di guerra in corso.

 

Settembre 1943

Giorno 9 ore 6

Siamo ritornati dall'istruzione, abbiamo cenato, ora siamo adunati sullo spiazzale attorniante la caserma. Una voce annuncia "é finita la guerra" "armistizio". I chi e i come si incrociano, altri ripetono "l'ha eletto la Radio". La novella si spande tosto, tutti accorrono alla Radio, quando il bollettino viene annunciato é un esultare di voci di grida di salti che prorompono spontanei nella gioia sicura di ritornare presto alle case proprie, di riprendere la vita di una volta.

Solo qualcuno timido osa chiedere "e la Germania?", ma altri pronti rispondono: "Cosa vuoi che facci la Germania se non arrendersi?"

Tutti sono ottimisti, incontro un mio compagno di Università, Callarelli, che mi dice: "Ci rivedremo presto a Roma" (purtroppo non lo rivedrò mai più, morirà di pleurite).

Nel frattempo però ascoltiamo con stupore radio Roma, Milano e parecchie altre stazioni d'Italia parlare in tedesco.

Di nuovo sorge più forte il dubbio "e la Germania?"

Ritornano i nostri camerati dalla libera uscita e ci riferiscono con gioia spontanea di tutta la popolazione che senza pensare alle conseguenze della fatale capitolazione, vedeva prossima la evasione da un periodo di dure restrizioni e pericoli.

Tranquilli riposiamo, dopo che i nostri comandanti ebbero fatto la dovute raccomandazioni di restare tranquilli.

Forse qualcuno pianse quella notte. Tutti avremmo dovuto piangere, ma i più, nella fatale incoscienza del momento, dormirono tranquilli.

Ci credevamo ormai liberi da ogni timore. Non era invece cosi. I tedeschi si ritirano dall'Italia; se indisturbati, lasciano tranquilli. Cominciò allora una serie di notizie allarmanti e tendenziose che non facevano che eccitare di più i nostri animi già tesi dalle lunghe guardie che da giorni facevamo sia per mantenere l'ordine interno sia per vigilare contro un nemico ignoto che ben presto si delinearerà. Dicono "I tedeschi consegnano i soldati nelle caserme, ma promettono di lasciarli liberi non appena passati". "A Bologna sono già stati liberati".

Prova della confusione che regnava, la Radio non trasmetteva più in Italiano. I rari comandi che ci provenivano dal Quartiere generale erano contradditori e confusi: "Resistere", "arrendersi" se il nemico (adopero il vero nome) fosse superiore."

Sapevamo che da tutti i distretti i militari fuggivamo in borghese gettando le armi e bagagli. Noi fedeli a un senso di disciplina, che ci si imponeva date le nostre condizioni, restavamo ancora chiusi nelle caserme sempre pronti (se così si può dire di un soldato con un fucile scassato e quattro pallottole).

Solamente il giorno prima, la 1ª Compagnia con in testa il tenente al grido: "I tedeschi sono qui" si era data alla fuga, fermando un Camion e con questo arrivando fino a Treviso, ma poi passata la paura del momento quasi tutti erano rientrati alla Caserma.

 

 

Venerdì 10 Settembre 1943

 

Rientrano i nostri Compagni fuggiti il giorno prima, rientra anche il Tenente che viene messo agli arresti.

Intanto le notizie giungono sempre più contraddittorie. Sembra che i Tedeschi invece di ritirarsi scendano dal Brennero.

Molti vogliono fuggire. Di questo parere anche il Capitano della Compagnia, solo si oppone il Comandante del Corpo Capitano Zecchi. Molti, nonostante, fuggono, e altri sarebbero fuggiti se il malfamato Capitano Zecchi (squadrista e fascista sfegatato) non si fosse opposto colla pistola in pugno.

Arriva la sera, si dorme.

 

 

Mezzanotte 10/11 settembre 1943

 

Siamo destati. "Tutti fuori armati sono qui i tedeschi"

Presto ci vestiamo e scendiamo, si tratta di consegnare le armi a due tedeschi (sapremo poi che era un solo carro armato a presidiare) qualcuno piange, qualcuno fugge, i più risalgono a dormire 

 

 

11 Settembre 1943

 

Mi desto, vedo un mio camerata fuggire dalla finestra. Dietro a lui altri si preparane alla fuga. Anche a me balena per un momento l'idea della fuga, subito l'abbandono.

Dalle 7 alle 10 continuano le evasioni. Mi consulto con i miei camerati, tutti sono indecisi. Vedo Bischi, Lenci e Bartoccioni pronti alla fuga. Bischi fugge, gli altri vorrebbero seguirlo, ma i Tedeschi si sono accorti e sparano sui fuggiaschi. I due si rassegnano a non fuggire più. Un aviere fuggendo viene ferito. I tedeschi avvertono che per ognuno di noi che fuggirà saranno fucilati 10 uomini.

Da allora cominciò una estenuante attesa. Nel dubbio della nostra sorte, si monta la guardia ad evitare che alcuno di noi fugga. Vedo Marini quasi impazzito nell'ossessione di fuggire. Io sono calmo nella sicurezza che tutto vada per il meglio. Mi trovo ora con Lenci e Somazzi.

Siamo adunati, un ufficiale Tedesco ci domanda chi vuole continuare a prestare servizio nel Campo, solo 2 rispondono affermativamente "E gli altri?" domandiamo. L'ufficiale nulla-risponde, solo l'interprete ci dice "gli altri a casa". Evidentemente nulla si sa. Le speranze sono più tenui: "ci portano in Germania?"

 

 

12 - 13 Settembre 1943

 

Ci portano in Germania !?!?

Non si fugge più. Si mangia una volta al giorno. Colpi di rivoltella e di moschetto si odono ovunque. Giungono alcuni parenti dai dintorni a visitare i miei compagni, possono vedere i figli, ma se ne vanno piangendo ...

Sembra che dalle altre città i soldati già siano in viaggio per destinazione ignota.

Giorni tristi di dubbi e di ansia. Tutti sono nervosi, guai a chi tenta la fuga, tutti sono convinti che i Tedeschi manterranno la parola. Io e solo pochi altri siamo tranquilli.

Il 13 mattina ci dicono di preparare i bagagli che alle 8 si parte. Non si sa per dove. Per casa?! Per Verona ove ci concentreranno?" Tutti pensano per la Germania ?!?!!?!?!

Si parte verso le ore 10, prima di partire ci danno un po' di pane, nella confusione io prendo una diecina di filoncini: non si sa mai come ci tratterranno. Ecco ora il nuovo problema: le sentinelle armate ci dicono che siamo prigionieri, ma noi amiamo illuderci. Usciamo per l'ultima volta dall'aeroporto verso la stazione. Ci fa ala un corteo di persone piangenti, fra esse ci sono madri e fidanzate, padri e amici. Ci diciamo di stare zitti perchè i Tedeschi hanno promesso di sparare senza esitazione.

Lungo la via, circa 2 Km, non facciamo altro che gettare indirizzi colla speranza che una persona buona li raccolga, anche io ne getto una ventina. Arriveranno ?!?!

L'afa della calura fa mescolare il sudore al pianto, arrivo alla stazione più morto che vivo. Là altri ci attendono. La sete è terribile.

Nella confusione molti fuggono con l'aiuto della popolazione che porta col pericolo della propria vita vestiti borghesi. Anche Marini fugge.

Io sono troppo stanco per fuggire. I tedeschi cominciano a sparare. Ore 2, si sale sui vagoni merci, 40 per carro.

Sono con Lenci e Somazzi e con altri avieri della fiera Campioni e dell'aeroporto

Una fidanzata porta i vestiti ad uno che fugge.

Ci danno viveri per 4 o 5 giorni, gallette (10) e carne in scatola(3).

Si parte. Per dove ?!?!

Verona?!?!

Nella strada alcuni si gettano dal treno, ma il fuoco dei fucili fa desistere gli altri.

Un altro si getta, il treno si ferma, lo cercano. Un morto e un ferito giacciono già sullo stesso posto dove si erano gettati dalla tradotta precedente. La sera si arriva a Verona, siamo chiusi in un carro stretti come sardine.

L'intensa calura, l'afa e la sete si rendono insopportabili.

Credo di non resistere, il sudore cola dovunque, siamo nudi, ma a nulla serve.

La notte sopravviene, cessa la calura, ma chiusi a sigillo non sappiam dove fare i nostri bisogni.

Tutto è nero. Si prosegue. Per dove ?!?!

Ci aprono gli sportelli, almeno possiamo vedere.

Dovunque incontriamo persone che ci salutano e piangono, spesso madri che salutano i figli, prima di Trento una madre che vuole salutare il figlio è uccisa. Mai dimenticherò l'abnegazione delle semplici genti del Veneto e del Trentino che senza posa ci offrivano frutta uova e carne e ciò che valeva più per noi: un saluto amico.

La notte arriviamo a Trento, crocerossine ci chiedono gli indirizzi per corrispondere alle nostre famiglie, altri indirizzi gettiamo per la strada. Si parte da Trento, le valli fiorite del Tirolo si dischiudono ricche di frutta e di verde.

La notte, una voce mi desta: "il Brennero".

Nel buio qualcuno piange, si pensa alla casa che si abbandona per un destino ignoto, si pensa a quella terra che forse non si rivedrà.

Italia, dolce nome che suona tenero al nostro cuore come quelle di "mamma" nome che racchiude in se tanti ricordi e tante speranze. Italia, tu mai come allora ci sembrasti vicina, mai come allora mi sentii tuo. In te si compendiavano i miei amori e i miei desideri, tu mi avevi visto nascere, tu raccoglievi le ossa di mio padre, in te abitavano mia madre e le mie sorelle.

Il treno corre veloce.

L'Austria bella come il Trentino ci accoglie sorridente, ancora qualcuno saluta col fazzoletto gli alleati di ieri, nel dubbio forse della nostra sorte. Qualche amico dell'Italia agita furtivo verso di noi un fazzoletto. La Baviera.

Si parte. Per dove si va ?!?! Polonia, Amburgo ?!?!

Come ci tratteranno, da soldati e da prigionieri ?!?!

Il viaggio è discreto, dagli sportelli si guarda e si pensa. A volte si canta.

Monaco, qua e là si vedono i danni del bombardamento.

Francoforte sul Meno. Si va in Francia, in Svizzera, in Spagna !?!?

Forse ci rimpatriano ?!?!

E' strano come nel dubbio si cerchino le illusioni. Guai a chi non si illude.

Asburgo, la notte ci viene dato un brodino caldo dalla Croce Rossa Fulda (germanica). Si va verso Nord.

La gente guarda con stupore le prime tradotte di questi soldati che passano cantando, troppo lieti per essere dei prigionieri, troppa tristi per essere liberi.

Hannover, siamo arrivati ?!?! 

Ad Hannover apprendiamo della liberazione di Mussolini e della costituzione Repubblica Italiana.

Si canta. Proseguiamo verso Nord, Amburgo !?!?

Passiamo per una linea secondaria, forse presto arriviamo.

Infine eccoci a Wissendorf, stamlager per prigionieri, ove si vocifera siano morti 20.000 prigionieri russi di fame.

Certo, le baracche non sono promettenti, buie, oscure, umide, nido di pulci e di cimici, sui castelli a tre brande piove la polvere. Sui muri stanno incisi esotici nomi di russi.

Sono 5 giorni da che sono partito da Padova. Da un giorno non mangio, crampi di stomaco mi tormentano, due ore prima per la strada dalla stazione alle baracche avevo rimesso l'ultima galletta che avevo mangiato. Finalmente ci distribuiscono il rancio, un mezzo litro di acqua e miglio che neppure un cane avrebbe mangiato. Eppure lo mangio e come è buono!

Vedo altri italiani venuti il giorno prima. La notte improvvisamente ci fanno cambiare di baracca. Nell'oscurità prendo posto con Lenci in una baracca di legno peggio della prima, puzza, cola umido, siamo perfino tre per branda. Dormo. Nella notte i castelli crollano, é un ammasso informe di uomini e legni, due feriti.

Chiamiamo e l'informiamo la guardia. "Keine tod (nessun morto)?" ci dice e se ne va.

Prendo posto in un altra baracca. La mattina mi sveglio colla bocca piena di polvere e il viso nero.

Siamo prigionieri? no, internati militari: in fondo è la stessa cosa. Un compagno ignaro si avvicina al filo di ferro; un colpo; é ferito, per mezz'ora giace sul suolo senza che nessuno osi avvicinarsi.

Intanto affluiscono sempre più Italiani. Siamo 20.000. La mattina ci svegliamo colla bocca piena di paglia, ci addormentiamo colla fame. La spettanza é 200 grammi di pane e mezzo litro di acqua con qualche patata. La fame ci porta via. Ho visto ufficiali contendersi un mescolo di rancio.

Io sono fortunato, mi arrangio, in dieci giorni che sono restato a Wissendorf mai mi sono mancate patate da cucinare, in società con Lenci andavamo sempre a rubare patate alla cucina o nei carri. Tutti i giorni avevamo lo zaino pieno di patate o carote (come sono buone le carote crude !).

Eravamo invero fra i fortunati, invece di piangere sulla nostra sorte, ci arrangiavamo. Dio solo sa quanti sotterfugi per riuscire nell'intento di procacciarci patate, cosa che diventava sempre più difficile. Un giorno riuscimmo anche a procacciarci tre scatole di carne di maiale in conserva. Fu una festa, per averle dovemmo rompere un vetro e una scatola sotto gli occhi dei tedeschi vigili. Il giorno dopo invitammo a pranzo anche Bartoccioni, Mulazzani, Fortieri, Somazzi.

 

Cominciano a partire uomini per il lavoro (questo è la sorte che ci spetta) tutti si affrettano nella speranza di migliorare i pasti.

Intanto le notizie più tendenziose circolano. I russi avanzano, la guerra volge al termine. Nulla di preciso; illusioni. Anche io con Lenci e Bartoccioni parto per il lavoro. Siamo in mille. Viveri per un giorno.

Siamo ad Hannover. La vigilia un bombardamento, le cui fiamme si erano viste fin da Wissendorf a 60 Km di distanza, aveva colpito la città, specie i dintorni.

 

 

Giovedì 30 Settembre 1943

 

Ci alloggiano in una scuola in Hagenstrasse in 600 per terra senza paglia. Vogliono il mestiere, io do un poco pesante, vetraio. Non ho mai visto il diamante.

Il giorno dopo si parte per il lavoro, dopo due ore di strada giungiamo a Langhenhagen dove scaviamo macerie in una casa distrutta.

Rubiamo frutta, a mezzodì rancio di pasta e patate, alla sera lo stesso rancio a volontà e una fettina di pane; al lager rancio e 400 g di pane con 20 grammi di margarina. Decisamente il morale si rialza, non si muore di fame. Peggio vanno le cose al Lager, la notte non si può scendere al gabinetto, si dorme sulla terra

Il giorno dopo vado di nuovo a Langhenhagen dove mi trovo a fare il tegolaio da solo senza sapere come dovessi fare, la padrona (buona donna) si contenta di poco. §p.4

 

Dimentico due episodi deIla vita di Wissendorf.

Una sera mi confessai, doveva essere quella la ultina volta in Germania. Debbo inoltre rammentare le continue pressioni fattaci perchè ci arruolassimo volontari prima nella SS tedesca e poi nell' Esercito Republicano. Per tre volte fummo adunati tutti nella ampia distesa prospicente il campo in attesa che qualcuno venisse a parlarci.

Mi ricordo la prima volta, pioveva. Da due ore eravamo sotto a pioggia in attesa. Doveva venire a parlarci un Italino, pensate un Italiano libero non come noi stretto da fil di ferro.

Infine quale non fu la nostra delusione nel vedere un uomo che neppure conosceva la nostra lingua e che ci parlava in nome di una patria che non conosceva. Di 20.000 furono soltanto 20 che si arruolarono nella SS, e quelli nella speranza di ritornare in Italia e potersi dare alla macchia.

La seconda volta ci parlarono in nome del Repubblica, pochi furono anche questa volta a farsi avanti. Erano per lo più padri di famiglia e giovanissimi che si facevano avanti non certo per amicizia con il Tedesco. Anche io fui spesso sul punto di aderire, e debbo confessarlo se non fosse stato per lasciare i miei compagni mi sarei fatti avanti.

Questa sera viene nel lager a parlarci un inviato del governo Italiano, ci raccomanda di stare tranquilli che presto si aggiusteranno le cose. Questa sera stessa noi vetrai siamo trasferiti ad un altra scuola, la Fedrichschùle. Mi separo dai miei compagni, sono insieme a Lenci e a Renzo.

 

 Ottobre 1943

Oggi 2 ottobre, vado a lavorare coi vetrai, ma alla domanda "conosci il diamante" non posso rispondere che negativamente, ragione per cui ritorno di nuovo a macerare. Evidentemente è destino che io faccia tutti i mestieri meno quello di vetrario, seppure mi sia segnato come specialista di questa nobile arte.

Così continua la vita per una diecina di giorni; non sempre trovo da mangiare, spesso ho fame. In genere mi tocca lavorare coi tegolai, ma non si mangia. Devo vivere colla razione del Lager, un litro di zuppa e 200 grammi di pane.

 

 

8 ottobre 1943

 

Dormo come al solito sulla paglia, si ode a un tratto un fragore, spaventato mi levo e vedo uno spettacolo che mai dimenticherò: le grosse invetriate sono a terra e per le finestre entra un chiarore di fiamme. Tutta la città brucia, il cielo é illuminato a giorno. Nel cielo apparecchi americani giocano il terribile carosello della morte. Spaventati discendiamo le scale in cerca di rifugio.

Non c'é rifugio. Riservato per i tedeschi. Bisogna restare sulla scala. Intanto i tremendi fragori delle bombe si avvicinano e si allontanano. Si odono di tanto in tanto i sibili delle bombe sganciate, si pensa "Ecco questa è per noi" e successivamente "anche questa é passata".

Vidi persone grandi e grosse che non avevano tremato dinnanzi al nemico, tremare ora di spavento e invocare il dolce nome della mamma.

Io rimasi inebetito.

A tratti sembrava allontanarsi, poi la terribile ondata della morte si allontanava.

I muri tremano, intorno a noi, fino a pochi metri, tutto brucia. Scintille penetrano fino a noi.

Infine tutto finì.

Il cielo ritornò calmo, ma il fuoco durava ancora, per tre notti la città resterà illuminata a giorno, per due mesi continueranno le case a bruciare. Per le finestre aperte entra aria. Alla meglio mi accomodo al riparo a dormo.

Così assistetti ad uno dei più terribili bombardamenti della Germania. Tre giorni restammo noi nel Lager senza uscire e senza, ciò che più conta, mangiare. Fortuna volle che avevo ancora di riserva un po' di patate rubate a Vissendorf. Cosi tirammo avanti per tre giorni.

Infine ci dettero 200 grammi di pane colla preghiera di non mangiarlo subito perché faceva male.

Inutile dire che due minuti dopo del pane non ne esisteva più traccia.

Il terzo giorno tutti desideravamo uscire per procurarci il vivere.

Tutti erano usciti, solo rimanevamo noi 40 vetrai, già credevamo di restare senza lavoro, ma poi venne un uomo a domandare di 40 uomini, subito io fui nel numero. Dove si va? In una fabbrica di birra. Per la strada ovunque morte e distruzione e fiamme.

Infine quale fu la nostra sorpresa nel vederci portare ad una fabbrica di pane, la più grande di Hannover; noi che eravamo da tre giorni senza mangiare. Ovunque vedemmo il pane confuso fra le macerie. Ci dissero che faceva male, non ce ne curammo. Quel giorno fu veramente memorabile; fino alle 11 non facemmo altre che cercare e mangiare.

 §P.6

Cominciò allora l'abbondanza. Centinaia di filoni di pane giacevano abbandonati, sacchi di panini, marmellata, montagne di zucchero bruciato Ogni giorno ciascuno di noi portava circa 4 filoni di pane, panini e torte a volontà (che a migliaia giacevano abbandonate).

Non sapendo che farne di tale moltitudine di pane lo si cambiava con altri generi di conforto (tre mele un filone), già dal secondo giorno che mi trovai in quella fabbrica non mangiavo più nè pane né dolci talmente ne ero nauseato.

Così durò per circa un mese.

 

 

Intanto il 18 di ottobre un nuovo bombardamento sconvolse la città.

Nel silenzio della notte la sirena si fece udire di nuovo.

Impauriti dal bombardamento precedente ci alzammo per scendere al rifugio; anche questa volta dovemmo rinunciare e restare sulla scala.

Poco dopo il carosello cominciò. Più terribile della prima volta il bombardamento si sviluppò Le faville di fuoco mescolate ai sibili della morte apportavano il terrore. A un tratto un tremendo fracasso ci fece temere che fosse venuta anche la nostra volta. Il soffitto precipitando passava davanti ai miei occhi. Niente di pericolo, nessun ferito.

Infine cessò. Le fiamme coloravano il cielo.

Il-giorno dopo riprendemmo il lavoro,

Per un mese durò il mio lavoro presso la fabbrica del pane.

Dalle 6 alle 6 della sera il lavoro che dapprima sembrava leggero si faceva sempre più pesante. Il sapore della polvere mescolandosi alle grida degli aguzzini rendeva la vita insopportabile per chi come me non era abituato al lavoro. Più volte fui sul punto di abbandonare quel posto, ma la paura della fame, unito al racconto della vita che dovevano fare parecchi dei miei compagni sotto la guardia implacabile dei nazisti mi fece desistere.

Infine, dopo alcune giornate tremende, in cui la fatica mi spossava, dopo una passata di febbre, mi decisi. Abbandonai la fabbrica. Mi ricordo ancora gli sforzi che feci l'ultimo giorno costretto a lavorare con 39 di febbre.

Il giorno dopo mi recai con gli altri al così detto mercato. Si trattava di una piazza in cui venivamo condotti alla presenza di parecchi compratori che richiedevano un certo numero di stuek (pezzi) umani.

Comincio' allora la vita errabonda: ogni giorno qualche cosa di nuovo. Si partiva colla idea di procacciarsi da mangiare e lo si tentava ad ogni costo, anche a prezzo della vita.

Io ero particolarmente abile, Si abbandonava il lavoro e si girava per le rovine delle case fra le cantine, spesso ancora abitate, pronti a fare mano bassa di tutto quanto si trovava. Pane, marmellate, vestiti … Ogni sera rientravano immancabilmente nel Lager. Spesso incontrai persone, ma mi salvai colla fuga.

 

 

Novembre 1943

 

Si partiva per il lavoro la mattina alle 5,30 e si ritornava alla sera allo scuro, sporchi spesso affamati.

Vita da cani, vita da bestie, cui si aggiugeva la paura delle botte, che spesso vidi cadere sulle spalle dei miei compagni per un nulla, e lo scherno delle persone che ci salutavano col nome di "Badoglio". Sotto la pioggia, sotto il freddo mai si abbandonava il lavoro.

Mi ricordo di un giorno particolarmente triste di novembre in cui sotto la pioggia torrenziale mi trovai senza scarpe colla sicurezza di restare 24 ore senza mangiare.

In tali giornate pensando alla vita passata e alla miseria della presente, più volte mi venne da piangere e da augurarmi la morte. Desisamente continuare cosi- non era più sopportabile. Per questo decisi di partire colla prima spedizione. §P.7

 

 

Dicembre 1943

 

Decisi di partire il 7 di dicambre con Lenci e Bartoccioni e altri 70 partimmo. Per dove?!?

Arrivammo a Kaltenveide, piccolo paese di contadini, proseguimmo ancora sino a giungere, dopo 3km ad un piccolo Lager in mezzo ad un bosco. Eravamo giunti. Ivi trovammo altri 80 italiani che ogni giórno coll'auto si recavano a lavorare aLangenhagen a macerie.

Ci dissero che stavano bene. In realtà il vitto era peggiore. Un litro di acqua e rape e 300 grammi di pane. Dopo tre giorni di riposo uscimmo al lavoro. Non si mangiò.

In questo paese restai fino al 24 di maggio.

Ci si arrangiava colle patate che si rubavano fra le macerie o fra i mucchi dei contadini. Venne Natale particolarmente triste lontano dai suoi. Era il primo Natale che parecchi di Noi faceva lontano da casa. Quella sera ricordi tristi ci assalirono. Pensammo ai nostri, ad un caro viso di mamma lontano e …

Capodanno, epifania, giornate tristi e monotone. Io sono malato di stomaco e per un mese resto nel letto. Sono debole per la malattia.

Mi trovo a lavorare con un tegolaio, per quindici giorni trovo un posto ottimo. Il giorno non si fa nulla, seduti accanto al fuoco cuciniamo patate che con saggie razzie ci procuriamo due volte al giorno.

Di tanto in tanto ci avventuriamo poi ad ardite esplorazioni. Nel corso di una scoprii un rifugio pieno di zucchero, pasta, caramelle, farina, latte condensato, cioccolato, pesce in scatola.

Per tre giorni fu festa; una volta fui visto dal mio capo che mi volle rovistare le tasche, per fortuna rovistò nell'unica tasca vuota. La scampai bella.

Altra volta scoprii un altro rifugili con farina, melassa, miele, liquori, … Quel giorno scassai più di dieci rifugi. Decisamente mi sto specializzando

Sono celebre per non fare nulla e per visitare rifugi.

 

 

Febbario 1944

 

Finisce il lavoro di tegolaio, riprendo la vita errabonda. Scelgo di preferenza quei lavori, presso cui non si mangia, ma che non richiedano un eccessivo lavoro o che mi lasciano possibilà di andare in cerca di rifugi.

Passano così diversi giorni di pioggia e di neve.

Infine trovo un altro lavoro al coperto presso una fabbrica di serrande come falegnam e qui resterò, salvo qualche intermittenza, fino alla fine. Si mangiano sola 4 patate alla mattina e a mezzodì, decisamente poco, ma meglio la sicurezza di poco che la probabilità di nulla.

Poi la sera e il mattino ho il tempo di effettuare perlustrazioni in cerca di patate. Nella fabbrica sono tutte brave persone, sono ben visto dal padrone che ogni tanto mi dà fettine di pane.

Meglio questo decisamente che andare a cercale avanzi di rape e di carote nei letamai, come spesso ero stato costretto a fare. Nonostante la fame é molta.

Si aggiunga che caddi di nuovo ammalato e che fui costretto ad andare al lavoro. Si vedrà come era il mio morale.

Mi ricordo che un giorno non potendo sopportare il lavoro, mi decisi di nascondermi per-tutto il giorno in un rifugio di una casa distrutta. Quel giorno passai una estrema paura. Verso mezzodì il padrone venne ad ordinare la cantina, per fortuna, per un miracelo non mi vide, sebbene entrasse nella mia stessa stanza.

 

Cartolina 19/02/1944 indirizzata alla nonna Elda Giorgini in Gianotti

 

 

Pasqua 1944 (9 Aprile)

Abbiamo tre giorni di vacanza.

Ma il venerdì sera un terribile bombardamento ha sconvolto un campo di Aviazione a 2 Km. da noi.

Il giorno di Pasqua lavoriamo a macerie dalle 7 del mattino alle 8 della sera. §p.8

 

Ammalato come ero, fu quello il giorno peggiore della mia prigionia.

Nonostante ebbi fortuna e trovai 200 sigarette (si consideri che 5 sigarette erano una razione di pane e una di marmellate, con 2 sigarette 20 grammi di margarina), ma ritornai più ammalato. Anche la Pasqua è passata e peggio ancora del Natale. Notizie contraddittarie giungono dall'esito dell'offensiva Russa. Decisamente il giorno della liberazione è lontano.

Dispero di ritornare. E' con me Bartoccioni anche lui ammalato di pleurite (così crede) che dispera di rivedere la terra natale.

Il morale è bassissimo. Giorni neri e tristi in cui il tempo passato appariva come un miraggio di sogno lentano ed ogni speranza come illusione e chimera. Noi sembravamo creati per questa vita, solo per scavare macerie, accomodare tetti e vetri, coltivare campi, caricare e scaricare sementi legna carbone e tegole.

Avevamo si tutti le fotografie di un volto caro di mamma e di sorella che di tanto in tanto nelle serate tristi e fredde ci mostravamo, ma quel volto scompariva nella realtà per riapparire nel sogno.

A ciò si aggiungeva l'ambiente stesso cui eravame mescolati, bravi ragazzi senza dubbio, ma per lo più ignoranti, che rinunciavano volentieri ad ogni ideale per rifugiarsi nella vita bestiale della fiera che lavora per mangiare. Spesso, discussioni si accendevano per un nonnulla, tante i nervi erano tesi. Sopprattutto per cicinare sorgevano ardue questioni sulla precedenza. Erano dispute lunghe che richiesero la necessità di uno statuto che regolasse in un certo senso la precedenza di coloro che portavano le legna. In più- la sera non si poteva dormire per il calore che sprigionava dalla stufa ad opera di coloro che cucinavano.

Nen era raro il caso che nel mio posto di branda (in sommità di un castello a tre posti) il calore raggiungesse i 40°. La notte poi non potevo dormire per le pulci e le cimici (le pareti ne erano piene) e per i pidocchi, di cui nessuno era senza. La vita si faceva sempre più difficile - le patate mancavano. Era la fame.

Mi giungono, le prime.notizie da casa. Gioia grande, è come un raggio che rompe le tenebre. Mi sembra di essere più vicino al mio sogno. Rivedo ancora una volta la calligrafia tremula della mia mamma, il viso dolce selcato da rughe.

Presto pero' si ricade nella solita apatìa.

Vedere compagni maltrattati, vedersi considerati bestia e come tali tenuti (erano otto mesi che- dormivo sulla paglia) non era cosa che non poteva non incidere in un animo.

Unica gioia era quando potevamo scrivere a casa e dimenticare per qualche attimo le disgrazie del momento.

Buone notizie giungano dal fronte russo, ma occorre lo sbarco americano. Sbarcheranno !? !? Ma tutti dicono di no.

lo sono sicuro di si. Nel frattempo coll'aiuto di un vocabolario e di una grammatica sto apprendendo un po' di tedesco.

Ora sono io colui che ogni sera traduce il bollettine e che dirama le notizie. Io ne sono lusingato, anche se le mie notizie linguistiche si limitano a sapere leggere quei pochi termini abituali racchiusi nel bollettino. Si vedrà poi come ciò mi porterà fortuna.

I maltrattamenti aumentano, abbiamo fame. Tutta la settimana si lavora, la domenica invece di riposare ci portano a macerie al malfamato campo di Aviazione dove al grido "Ferza amico n il bastone cade sulla nostra schiena.

Per fortuna io, lavativo al solito, riesco sempre a sfuggire e a restare la domenica nel campo.

Del resto non resisterei.

In più sembra che il Camion non venga più a prenderci e occorre fare la mattina e la sera 6 Km a piedi. Questo é il colpo di grazia. §p.9

 

Fu in questo marzo che, spinto dalla disperazione non potendo più resistere al lavoro, vidi come unica speranza di salvezza di inoltrare domanda nel Esercito volontario unitamente ad altri miei compagni, spinti dalle esortazioni che a molti di noi provenivano dai rispettivi genitori, nella speranza [certo] di ritornare in Italia. Che cosa poi succedesse non ce ne curavamo, ritornare in Italia, rivedere il nostro bel cielo e baciare i nostri cari; questo era il miraggio che affascinava noi tutti, il futuro non contava.

La guerra sembrava ancora lunga, troppo lunga per noi che ne rimandavano la fine di mese in mese.

Fortuna volle che non fui accetta, le domande erano chiuse 15 giorni prima. §p.10

 

Sono 3 o 4 giorni che faccio tale vita e non ne posso più.

La sera non riesco a rientrare in baracca e vedo prossimo il momento in cui dovrò cedere. In più sono carico di foruncoli che mi rendono il lavoro anche doloroso.

Il sole splende nel cielo, ma solo un miracole mi può salvare.

 

 

 Maggio 1944

22 Maggio: Si parte, altri 30 camerati partono con me e Bartoccioni. Lenci resta. Tutti sono avviliti tanto é la paura di andare in una citta sotto i bombardamenti oppure in qualche miniera.

Io solo sono tranquillo, solo mi dispiace lasciare Lenci. Eravamo sempre in discordia, ma in fondo era un mio amico con cui avevo condiviso la vita dal primo giorne di prigionia

Per dove si parte ?!?!

Per una fabbrica di cemento ?!?! Per una miniera ?!?!

Il signore mi aiuterà. La sera recito sempre il rosario, sono sicuro che in Italia una mamma prega per me.

Del resto può essere una liberazione.

 

Il 24 si parte in un auto, abbandoniamo parecchi dei nostri compagni cui eravamo affezzionati.

Ad Hannover, altri compagni salgono con noi. Sono morti di fame, uno è prossimo a morire tanto è secco e malconcio.

Vengono dalla Continental e dall'Hanomag, le terribili fabbriche tomba di tanti Italiani.

Verso Gettingen, Alfold, Grunenplan, ridente paesino di sogno sperduto nel verde di una vallata coperta di pini.

Ancora boschi e foreste; Eschersausen; siamo arrivati.

Una fabbrica di cemento e una miniera ci attendono. Campo 6240.

Altri compagni ci attendono, compagni che avevo lanciato ad Hannover. Ritrovo Aritobi (Antoni?), bavaro, Medri (interprete improvvisato).

Il vitto è scarso ma ci promettono che migliorerà. Due ranci e 400 g di pane. Ma i ranci sono acqua schietta. In più nulla da arrangiare, non più macerie e rifugi.

Il maresciallo Buggeri venuto con me da Kaltenweide assume il comando del campo.

Lavoro alla stazione a scaricare baracche. Si dice che dovranno venire molti e molti stranieri.

Il lavoro che prevedo pesante mi atterrisce. Infine dormo in pagliericci. Piove sempre, piove, piove …

Oggi ho visto la valle dell'inferno, così noi chiamiamo una vallata che dobbiamo colmare di terra, si tratta di aprire una galleria già in uso 20 anni fa, alla quale lavorarono i nostri padri prigionieri.

Oggi con un piccone mi trovo alle prese dell'immensa montagna, il sole cocente mi brucia di sete, per fortuna che i Capi nulla dicono e io non faccio nulla. Lavoro duro, vitto scarsissimo, probabilità di scendere a lavore in miniera. Certo il morale è basso.

Ho 300 sigarette, cerco di comperare marmellata e marghorina per tirare avanti §p.11

 

 

Giugno 1944

 

Dopo una giornata ai sole, piove, piove, piove. Il rancio peggiora di giorno in giurno.

Oggi siamo venuti noi trenta di Kaltenweide a dormire a 5 Km da Eschershausen, oItre Holzen, proprio sul luogo di lavoro, presso alla miniera. Il capo campo è il sergente maggiore Sebastiani.

Dormiamo sulla terra in baracche che lasciano trapelare.-l'acqua ovunque, senza stufe.

Fa freddo, siamo chiusi dentro le baracche e la notte non possiamo uscire per andare a gabinetto.

Unico vantaggio sambra che da quando siamo qui la sorveglianza militare si sia un po' allentatata. E' con noi un brava giovane che non ci dice mai nulla; uno dei pochi, cui veramante non posso serbare che un buon ricordo.

Oggi per la prima volta entro a lavorare nella Miniera. Si tratta di una miniera di Asfalto, niente di pericoloso, non tanto freddo; si lavorerebbe bene se il lavoro non fosse tanto faticoso.

Le gallerie, che si snodano per decine di Km, scendono buie ed umide sino a 400 m sotto il livella dalla terra.

Così dura il lavoro per qualche giorno, piove, piove sempre.

Un po' la pioggia, un po' la rilassata sorveglianza e la benevelenza dei Capi, io posso sempre svignarmela dal lavoro.

 

 

8 Giugno

 

Il rancio peggiora, oggi é acqua. Si pensi che con 4 Kg di farina hanno fatto la zuppa per 260 persane.

Tutti si lamentano, i Capi dicono di aspettare che la cucina migliorerà quando sarà possibile impiantarla pressa la ditta.

Si spera, intanto oggi arrivano altri 60 uomini da Hildesheim, alloggiano parte con noi, parte a Grunenplan.

La venuta di questi fa derivare la necessità di nominare ufficialmente un Capocampo e un interprete.

Con grande sorpresa e gioia mi vedo neminare interprete. Dunque ora non più lavorare, il grande incubo del lavoro é sparito.

Da oggi per me incomincia un nuovo periodo.

In realtà mi sento di usurpare il titolo, di tedesco non ne capisco nulla o quasi, certo meno di molti altri. L'unica cosa che soè tradurre i bollettini militari per il semplice fatto che in essi sono ripetuti sempre gli stessi motti.

Ecco dunque che senza sapere una parola di tedesco, ma solo armato di vocabolario e buona volontà intraprendo a fare l'interprete. Posso fin d'ora dire che l'impresa non era facile; tanto che sui primi tempi spesso mi scoraggiai e debba alla benevolenza della Guardia e alla mia buona conoscenza del Francese se ruiscii a mantenere il mia posto invidiabile. Poi a poco a poco riuscii a rendermi padrone della lingua di modo che ora dopo 8 o 9 mesi non solo posso capire qualsiasi discorso o scritto, ma esprimermi anche abbastanza correntemente.

Il mio compito era abbastanza facile, anzi si riduceva a nulla. Appello mattina e sera e poi libero. Solo raramente ero interpellato dalla Guardia a proposito di questioni concernenti il Campo. Dio solo sa sui primi temti gli sforzi che dovevo fare per capire o meglio indovinare il senso del discorso. In quanto ad esprimermi era poi una cosa quasi impossibile,

Sono nel nastro Lager anche 20 francesi civili, con loro posso bene esprimermi in una lingua che conosco benissimo.

Passano così- le settimane. Monotone e grigie per la pioggia, io sono quasi sempre sul letto a sognare. Strano come ora sono più calmo mi assilla il pensiero di ritornare dai miei cari.

Da pochi giorni l'annunzio dello sbarco amerieano in Francia ha riempito gli animi di speranze. Davvero che i famoso detto: "zwei monat fertig krieg" (fra due mesi la guerra é finita) siano vicini alla verità! Nulla di preciso, sembra che i liberatori avanzino lentamente per noi che attendiamo impazienti.

Il vitto nel lager migliora lentanante. Due buone zuppe giornaliere assai dense, 500 grammi di pane. Non c'è da lamentarsi. §p.12

 

Non era così i primi giorni, in cui la fame inaspriva gli animi acuendo discordie fra italiani.

E' di quel tempi il ricorso che fecero quelli di una camerata al Comandante dei Lager riuniti del Campo 6240, anche esso giustificate dalla fame.

 

 

Luglio 1944

 

Arrivano lettere da casa e pacchi. Anche io ho un pacco.

Più che la gioia dei cibi ricevuti, il mio piacere é nel potere toccare colle mie mani quelli stessi-cibi che la mano tenera di una madre aveva toccato, di poter toccare colle mie mani quel pacco a cui potevo dire: "Vedi tu sei più fortunato di me, perché è solo da 2 mesi che manchi da casa.

La vita corre tranquilla, non più fame, non più lavoro.

Che di più?!?!

Eppure mai più di ora sente la nausea di questa vita di animali.

Ma che posso sperare.

Arrivano altri italiani alla Schmidt.

Verso la fine del mese il giornale riporta che tutti gli internati militari

Italiani (IMI) passavane Civili. Nessuno credette alla attuazione del progetto se non quando ci fu annunziato che col 1° settembre tutti devevamo passare civili salve coloro che volevano passare nella Wermacht tedesca o nell'Esercito Repubblicano Italiano

Premetto intanto che anche coloro, che erano alloggiati a Grunenplan erana spesso a dormire con noi, così che il Lager cantava complessivamente 110 italiani con un sarto e un calzolaio.

L'annuncio del passaggio a Civili destò parecchia diffidenza. Il timore di essere reclutati a forza nell'esercito repubblicano si impadroniva della maggior parte di noi, sì che quando fu annunciato che per passare civili occorreva firmare un contratto di lavoro, tutti rifiutarono di apporre tale firma.

Contribuiva anche l'atteggiamento dello stesso comandante del campo U/u Bursu che consigliava di non firmare (evidentemente perchè la chiusura del presidio militare significava per lui il probabile invio al frente). Molti accecati dai sui consigli a anche per falsi ragionamenti rifiutarono di fimare. Solo la mineranza accettò. Avvenne allora che si attuò una strana situazione: da una parte degli Italiani liberi, che godevano di miglior vitto e dalla altra Italiani ancora prigionieri, cui vaniva negato il vitto. Si creò cos' un dissidio fra due classi di italiani, quelli che avevano firmato e quelli che si rifiutavano; come in tutti i dissidi nan mancò l'odi, odio -tanto peggiore in quanto fra fratelli.

A nulla valsero le esortazioni dei Capi di Inviati, la maggiar parte restava restia. Nal mio Lager i Firmanti nan erano che il 30 per cento (si nati che era al confronto degli altri una percentuale assai alta).

Furono quelli giorni tristi di discordia, giorni in cui si levava il cibo agli uni per darne in più agli altri. Si vedevano dietra ai fili Italiani ancora prigionieri guatare con occhi torvi i fratelli

Situazione insopportabile, tanta più incomprensibile per chi ben ragionava in quanto era illogico rifiutare spontaneamente quei vantaggi che la nuova situazione portava. A parte la liberta di circolare nell'ambito del paese e la liberazione dalla sorveglianza dalle Guardie non secondaria era la questione del vitto.

La nuova razione era di 5 kg di pane 800 g di salame la settimana, cioè la raziane precisa identica a quelli dei Tedeschi adibiti a lavori pesanti più il supplemento di lavori di guerra; nel complesso il quantitativo che pochissimi tedeschi potevano raggiungere.

Fu per questo che io mi assunsi la responsabilità non lieve di cercare di attrarre anche i recalcitranti. A questo cantribuì sopprattutto il regime di fame cui erano sottoposti i non firmanti. Infine quando tutti avevano firmato giunge la circolare che annulla il valore della firma. Tutti senza distinzione passavano civili. Tanto meglio. §p.13

 

 

 

Settembre 1944

 Nuova vita

 

Siamo civili, nonostante le previsioni il cambiamento è repentino. Oggi i reticolati sono spariti e sono sparite anche le guardia, non più alla mattine una voce straniera che chiamava "aufstheen" [auf Stand = su alrzarsi] ma sono io ora che passo per le camerate a svegliare i camerati per il lavoro, come pure, salvo qualche controllo più o meno formale, sarò io in pratica che dovrò riconoscere coloro che marcano visita e stabilire chi deve restare dentro; in realtà io cercai sempre naturalmente di favorire i compagni cercando nello stesso tempo di dare ai superiori impressione di fare le con giustizia.

Solo una volta la settimana il dottore visitava gli Italiani, era quindi necessario un infermiere, anche questo compito me lo assunsi di buon grado. Mancava fino allora ogni medicinale, fu mia cura procurarne, in modo tale che ultimamente la mia piccola infermeria era rifornita in modo più che eccellente.

Ma ritornando alla nostra vita di civili debbo aggiungere che da ora godiamo la più piena liberta, molto spesso mi reco al cinema alle ora 9 e ritorno in Lager la sera alle una dopo la mezzanotte.

Sarà solo in seguito che le restrizioni verranno: proibizione di circolare dopo le 8 di sera, proibizione di andare al cinema etc.

Il mangiare e più che sufficiente, 5 kg di pane settimana e tutto il resto come i tedeschi con cui facciamo una cucina unica 800 gr, di carne...)

Il contegno degli italiani di fronte alla liberazione fu indeciso, uscivamo da un periodo di fame e di stenti, evidentemente eravamo tatti malconci e malvestiti; si può giustificare quindi i più se si gettarono senza dignità in cerca di cibo e precisamente di patate. Giorno e notte vedevi italiani errare per i campi con sacchi di patate e vedevi nel lager piccoli fuochi improvvisati.

Era un continuo affluire di reclami da parte dei contadini e di conseguenza dei capi. Vani minacece, esse non poterono fare quello che aveva fatto neppure il filo spinato. Gli stessi italiani che avevano prima ardire di varcare di notte il filo spinato e sfidare la morte per due patate avevano ora buon gioco.

Non esagero dicendo che in cento avevamo circa 50 quintali di patate nascoste sempre nelle baracche, una rivista di Poliziei ce ne portò via circa 12. Difficile era allora la mia situazione come intermediario fra Italiani e tedeschi; da una parte dovevo essere di appoggio ai Capi dalla altra dovevo aiutare i miei compagni.

Intanto ricevetti il secondo pacco da casa, lo lascio per giorni peggiori che credo arriveranno (incubo... a fine!!).

Cadono le foglie, finiscono lo patate nei campi, la frutta sugli alberi del resto tutti ora sono in buona salute rimessi dagli stenti; naturale che il morale sia più alto. Ora avviene a poco a poco il graduale mutamento degli Italiani rimessi di salute. Ci si ricorda di essere uomini, altri desideri altri sogni sorgono, ci si ricorda di quello che si era in Italia; la liberta ci ha messo a contatto colla vita civile, ci ha messo in contatto con l'ambiente tedesco; si passeggia, si incontrano uomini donne, ci si rammenta che anche noi un tempo la domenica amavamo andare a passeggio con qualche ragazzina, allora sorge naturale lo atto di guardarsi, di fronte al nostro aspetto trasandato, ci si sente vergogna e si prova il desiderio di assettare i propri stracci e nei limiti del possibile acquistare un certo decoro.

Giungono intanto pacchi con vestiari, provvede la Ditta qualche vestito, la maggior parte ce lo acquistiamo noi stessi cambiando colle sigarette. Ecco cosi che gli italiani poco a poco si mutano (direi) si civilizzano. Esistono ancora quegli straccioni che pur sempre esistono ovunque, ma i più sentono il decoro di se stessi, qualcuno diventa elegante e perfino si getta in cerca di avventure galanti con tedesche.

In genere, i miei lunghi e numerosi viaggi mi hanno dato modo di constatare come gli Italiani cercavano di avvicinarsi alla classe dei francesi cioè a dire alla classe degli stranieri più considerata in Germania. Ultimamente poi il mutamento era un fatto compiuto, in Hannover, Berlino, Magdeburgo, Amburgo gli Italiani erano a continuo contatto con elementi del sesso femminile tedesco, nonostante gravissime pene fossero contro coloro che venissero sorpresi. Naturalmente fui uno dei primi a procurarsi un vestito decente, come lo imponeva la mia nuova condizione. Cioè da interprete e intermediario dei prigionieri italiani con guardie tedesche e il Comando Militare, ora spariti questi mi trovo ad essere intermediario diretto fra i miei compagni e la società tedesca. Questo fu per me un grande mutamento, con la necessità di provvedere da me stesso ai bisogni del lager e quindi di viaggiare e di mettermi a contatto con gli organi dirigenti tedeschi e Italiani.

Da questo periodo la mia principale occupazione al di fuori di quella di interprete e infermiere fu quella di interprete e di infermiere era quella di viaggiare, per i bisogni dei miei compagni poi anche per la Ditta.

Il primo viaggio fu verso Holziinden, dove dovevo accompagnare un compagno all'ospedale civile. Se si conta che poco avevo viaggiato anche in Italia si può calcolare quale doveva essere il mio imbarazzo quella volta, io che mai avevo visto un ospedale in Italia dovevo accompagnare un ammalato alla visita e interessarmi per il suo internamento. In realtà tutto andò bene e portai a termine felicemente la missione. Da quella volta moltissime volte mi dovrò recare ad Holzminden, ridente cittadina su Weser a 23 Km da me, città capoluogo di Krei ancora non bombardata, sia per accompagnare Italiani e francesi all'ospedale sia aer recarmi allo Ufficio Annonario o all'Ufficio Stranieri o all'Ufficio del lavoro, senza contare le volte che mi recai per prendere materiale per la ditta.

Il secondo viaggio, quello che fu per cosi dire il mio battesimo di fuoco, fu verso Hannover a prendere contatto colla Delegazione Italiana. Rividi Hannover tutta distrutta ma ancora piena di vita e ne riportai un'impressione enorme a percorrere quelle vie che un giorno avevo percorso prima dei bombardamenti.

Il viaggio più importante fu quello verso Berlino per prendere sigarette per il mio lager. Eravamo da tre mesi senza sigarette, si sapeva che sigarette per noi erano giacenti a Berlino e che i continua bombardamenti rendevano problematico 1' arrivo.

Fu per questo che mi decisi a recarmi io stesso a Berlino, dapprima tutti presero sullo scherzo la mia proposta tanto sembrava arduo il viaggio sotto i continui pericoli in una città sempre bombardata, poi dietro mio interessamento riuscii ad avere passaporto e regolare permesso di via. Il viaggio doveva durare tre giorni per una lunghezza dico 800 Km, per fortuna per strada incontrai un compagno ed insieme potemmo meglio levarci di imbarazzo. Hannover, Brunsweig, Megdeburgo, Branieburgo e infine Berlino. Povera Berlino, in quella immensa stazione di Postdamb_nhof sotto il cielo cupo e tenebroso nella penombra della sera di autunno mi sembrava di assistere ad una visione apocalittica. Per mezza ora il treno percorse le vie della città, dovunque relitti di case cumuli di macerie si ischeletri (???) per le vie deserte. Unica traccia di vita erano quei mostri fumanti che passavano rapidi entrando e uscendo dalla terra, erano i treni de la tranvia sotterranea 1' unica parte di Berlino che conserva e intatta le sua bellezza, forse la migliore ferrovia sotterranea del mondo, una vera città in mattone eternamente illuminata e riscaldata.

Il resto di Berlino desolazione e morte, pur tuttavia fra le macerie viveva ancora una popolazione di eroi che sfidava ogni giorno la morte.

 

 

Febbraio 1945

Da allora ritornai a Berlino altre tre volte sempre per sigarette. Memorabile fu l'ultima volta. Era il 5 febbraio del 1945. Da una settimana i Russi avevano sferrato la terribile offensiva che in pochi giorni li aveva portati avanti fino alle porte di Berlino, le ultime restrizioni ferroviarie abolivano lo 8o per cento di treni, si poteva viaggiare solo per regioni militari. Pure ottenni il permesso e nonostante l'opinione di tutti che stimavano folle tale viaggio nella credenza comune che in poche ore o giorni i Russi sarebbero stati a Berlino, partii. Del resto anche io ero quasi sicuro di non arrivare.

Quattro giorni durò il viaggio, ora non più treni affollati all'inverosimile come un tempo, solo radi viaggiatori risalivano la linea di Berlino. Nelle stazioni non più sala di aspetto su cui dormire, ma il rifugio ti aspettava a causa dei continui allarmi che mai mancavano.

Del resto nei miei viaggi ne avevo fatta la abitudine, spesso avevo sfuggito per poche ore terribili bombardamenti o preceduto altri di pochissimo. Infine arrivai a Berlino, nel mio vagone ero solo, erano le due di notte, la luna illuminava dei suoi raggi la visione fantastica di una città preistorica. Nessun tram, nessun locale dove rifugiarsi, solo un rifugio antiaereo poteva dare asilo alla folla eterogenea che affollata sulla stazione aspettava il giorno per potere riprendere il cammino.

Erano fuggiaschi malvestiti, bimbi piangenti, donne consunte, soldati che sfuggivano la prigionia ammansati come bestie ovunque un muro offrisse riparo. Lontano il cannone annunciava lo avvicinarsi dei Russi, nel cielo la sirena presentiva il carosello della morte.

Venne la luce e infine vidi una Berlino inimmaginabile. Tutto era a terra.

Tanto è vero (mentre scrivo un mio compagno muore fulminato dalla corrente)

 

 

Aprile 1945

Oggi 8 aprile giorno della vittoria e il giorno dopo nel tentativo di partire al più presto dalla città girai tutte le stazioni in cerca di una che funzionassi donde prendere il treno per Hannover. Nessuna delle stazioni di Berlino era in efficienza, occorse fare 15 km. per potere prendere il treno e ore per prendere il treno a Postdam.

In questa stazione compresi che il destino Iella Germania era segnato. Centinaia di profughi sopraggiungevano piangendo, madri che avevano perdute le figlie, fratelli senza sorelle.

Per 12 ore ininterrotte attesi sulla banchina in piedi pressato da una folla di persone che pigiavano per farsi avanti nell'incubo Russo che sovrastava di ora in ora.

Intanto la radio annunciava treni che deviavano per il Nord, infine giunse il nostro. Tre quarti delle persone rimasero a terra, io presi posto a sedere. Ere il diretto Berlino - Essen.

Magdeburgoun attacco aereo procurò un morto e diversi feriti nel mio treno. Si rimase 4 ore fermi nascosti nel bosco, nel gelido freddo de Inverno. Fu l'ultimo viaggio a Berlino.

Nel frattempo più volte mi ero recato ad Hannover (due giorni di viaggio) spesso per mio divertimento.

Una volta mi recai Iuneburg presso Amburgo, nel ritorno trovammo la via che Hannover ancora una volta distrutta, in quella notte sei volte cambiai di treno dovendo aggirare la città.

Altra volta mi recai a Braunshweig a prendere vestiti per i miei compagni. Altra città meta abituale dei miei viaggi era Hammel [Hameln] (a 60 Km), bella città presso il Weser.

L'ultima volta che mi recai scampai per poco la morte. Senza allarme aerei da picchiata presero a mitragliare e s ezonare la via su cui mi trovavo. Raffiche, di mitraglia caddero a pochi metri da me. Era l'ultimo-viaggio che feci fu quello verso Hozminden il 6 aprile, il giorno stesso in cui si cessarono i lavori. Da due giorni il treno non funzionava più, occorreva recarsi là, scelsi la bicicletta. La città bombardata due giorni prima ancora bruciava, gli inglesi
 §p.16

erano solo a 3 o 4 km, nel cielo gli aerei sorvolavano continuamente. Nelle due ore che vi rimasi guardavo sempre nel cielo pronto a nascondermi quando nello aereo che solcava il cielo riconoscevo un aereo da picchiata. La via di ritorno era piena di migliaia di fuggiaschi pronti a anch'essi a gettarsi nei fossati quando gli aerei nemici si abbassavano a mitragliare. Soldati si vedevano isolati, laceri senza armi risalire la strada in cerca di asilo. Era la fine.

Questa fu la mia vita in questa periodo, vita di pericoli e di disagi (quante notti mi levai alle 2 per prendere il treno e quante notti le passai in bianco nelle sale di aspetto delle stazioni), ma che non mancava di certo la vita da prigioniero, era certo vita diversa, rispettato da quasi tutti, nel treno nei caffè avevo lo stesso trattamento dei tedeschi, ma strano a dirsi tutto questo non faceva che acuire il dolore della prigionia. Eri si trattato come un tedesco, ma vi era fra te e il tedesco quella differenza che vi era fra una bestia e un uomo, pur trattandoti bene tu comprendevi nel loro atteggiamento un voluto distacco dell'uomo superiore nessuno meglio di me comprendeva questo, in più spesso i maltrattamenti continuavano. Spesso compagni erano bastonati per un nulla, io stesso fui bastonato dalla Gestapo per difendere dei miei compagni rei soltanto di essersi portati in baracche, ritornando dal lavoro notturno una gelida sera di gennaio un poco di legna abbandonata. Fu la prima volta che fui bastonato in Germania, mai dimenticherò quel giorno e soprattutto l'atteggiamento di scherno che aveva l'aguzzino che ci trattava come bestie e non uomini. Costui sarà poi ucciso dagli Americani dietro denuncia di un mio camerata che quel giorno fu bastonato con me.

Questo per dire che la mia vita non correva certa tranquilla. E' di questi giorni l'unico ricordo tenero della prigionia.

Si chiamava Walia Koppta di Stalino, era una piccola Russa che lavorava in cucina, ci feci amicizia, essa mi dette un fazzoletto, io la foto. Dieci giorni durò la nostra amicizia, l' accompagnavo la sera al lager dopo il lavoro, infine un ordine improvviso la trasferì lontano da me in Polonia a Posen. Ebbi appena tempo di salutarla, essa partì. Ci scrivemmo, ricevetti tre lettere, essa doveva ritornare a giorni quando la rapida avanzata russa del Gennaio 1945 la tolse per sempre da me: essa ora è forse a casa. Sempre ho presente il suo viso piccolo dagli occhi obliqui di cinesina e dal colorito bruno da giapponese. Intanto la situazione nel nostro Baustelle [cantiere] mutava.

Sopraggiungevano migliaia di stranieri prigionieri, carcerati politici, ebrei. Si veniva impiantando una delle più grandi fabbriche di armi e di V1 della Germania. La località veniva dichiarata luogo militare, e con ciò sopraggiungeva la sorveglianza della Polizia segreta, la Gestapo. Un terribile maggiore delle SS seminava terrore, dovunque ove incontrava stranieri erano scudisciate se costui camminava piano o lavorava poco.

Dopo le 6 di notte non si poteva uscire dal Lager. Nel Lager dei detenuti e dei partigiani ogni giorno 3 o 4 persone morivano per fame ed erano seppellite nudi senza cassa in buche cumulative peggio di animali.

La esigenza dei capi si faceva sempre più stretta, pochi ammalati, lavoravamo molto spesso 20 ore al giorno, mentre il mangiare diminuiva sempre. Fra i tanti noi eravamo come Signori, si lavorava sì parecchio, ma ancora si mangiava bene.

Ma lo odio contro il maledetto tedesco cresceva di giorno in giorno per i soprusi che continuamente si vedevano commettere. D'altronde la guerra serrava i suoi battenti, Russi e Inglesi si appressavano. Per questo i morali si alzavano. Si sperava. §p.17

 

 

Si avvicina la fine

 

Come sarà???

Intanto io mi ammalo di nuovo di stomaco. Questa volta però sono attorniato da cure, sia dai miei compagni, sia dal Lagerfure tedesco che viene due volte a visitarmi. Dopo due settimane mi rimetto.

Intanto il pericolo aereo si avvinia- anche e a noi.

Gli inglesi avanzano o tre Padeborn, ce ne accorgiamo la notte dai continui allarmi, che costringono molti dei miei compagni a riposare in galleria. Una notte 1 razzi iluminano a giorno la mia baracca, in furia fuggo mezzo alla strada della galleria, è piena di gente che fugge come matti, nudi scalzi. Un apparecchio è sopra, due raffiche di mitraglia ci passa no vicine finalmente sono in Grue col fiato mozzo e le mutande nelle mani.

Da allora notte e giorno si udrà sempre la mitraglia tuonare a tratti nel cielo. Ci siamo, è la fine.

Siamo alla fine.

Ce lo dicono le lunghe colonne di soldati e di profughi che risalgono ansiosi le valli verso il centro; ce lo dicono gli aerei inglesi che volano nel cielo facendo di tanto in tanto udire le terribili raffiche della morte, ce lo dicono i colpi delle artiglierie che ci giungono da lungi apportatrici di speranza,- ce lo dicono le novelle che passano di bocca in bocca.

Ogni giorno quando vado a fare la sveglia ai mie i compagni la solita domanda si ripete «nulla di nuovo?". "Ancora qualche giorno" ripeto.

Gli inglesi sono ora sul Weser a 15 Km da noi, davvero che il giorno fatidico si avvicina.

La fine !!!

Quante volte ad Hannover sotto la neve o sotto il freddo gelido del Nord, spesso bagnato nei piedi a causa delle scarpe rotte o nel corpo a causa della pioggia, costretto a lavorare con qualsiasi tempo peggio di un animale; quando costretto uscire lavorare colla febbre oppure non riuscendo a stare in piedi per la fiacchezza; quante volte di fronte agli atti di scherno da parte dei nostri aguzzini, quante volte piangendo pensavo alla fine.

La fine, magica parola che suonava ai nostri cuori come promessa di tante cose belle e buone che un dì avevamo e che ora avevamo perduto; la fine parola dolce e lusinghiera che svaniva in un lontano domani, parola che per noi era legata ai dolci nomi di patrei di casa di mamma, di spose, di figli, di beni cari che da essa ci dovevano essere ridati, quante volte nelle sere tristi della prigionia, quando rientrando dal lavoro alla vigilia di un giorno festivo o di una dolce ricorrenza, quando le nostre membra si sentivano meno rilassate nella speranza de1 riposo e amavano trattenerci prima di darci al sogno sui dolci ricordi e sulle speranze, quante volte abbiamo parlato di te assisi sul tavolo nero in una baracca corrosa dal fuoco e dalle cimici, spesso lo stomaco vuoto per il poco mangiare o per la paura di non mangiare il giorno appresso, lieti di ricordarci nella sventura del tempo felice.

Erano quelli gli unici momenti di oblio, ognuno parlava dei suoi ricordi dei suoi cari, era questo il modo di unirci in comunione spirituale colla nostra patria di ritornare alla speranza e alla vita.

Erano allora lunghi ricordi di giorni felici, che si animavano ancora più quando trovavano due persone che conoscevano gli stessi luoghi, promesse di rivedersi di ritornare alla passata vita.

Qualcuno parlava della fidanzata, altri della moglie, una sera (era il Natale 45) fu indetto un concorso fra i fortunati possessori di fidanzate per giudicare quale fosse la migliore.

Erano questi i pochi momenti di oblio, poi si ritornava alla dura realtà. La voce della Guardia, lo appello si faceva mentire, la fame tormentava lo stomaco; si doveva cucinare (beato chi le aveva) le patate mangiandole mezze cotte senza condimenti. La guerra ancora durava, la fine rimandata sempre di epoca in epoca sembrava lontana sei mesi un anno, due forse più.

La vita passata sembrava come un sogno, come se-orarmi fossimo nati per questa vita da schiavi, al lavoro e alla fame.

Le notizie dal fronte giungevano sporadiche e noi si era mai contenti per la nostra ansia, sembrava che le operazioni giungessero troppe lente e si malediva spesso gli anglo-americani che sembrava facessero a bella posta a prolungare la guerra. Cosi per due anni, infine la fine tanto sperata, la unica speranza per cui avevamo sopportato tanti disagi e pene era arrivata. Unita però era un senso di paura per quello che doveva succedere. Era stata questa sempre la preoccupazione di tutti: "che cosa ci attende? La fame? Patimenti ? La morte ?" §p.19

 

Già da settimane lunghe colonne di stranieri solcavano le strade accompagnate da guardie, sgomberando forzatamente davanti agli americani. Questo esodo si era verificato maggiormente in questi giorni; era il dovere fare centinaia di Km incontro a pericoli ignoti e soprattutto alla fame quello che ci atterriva.

Colonne di Italiani Russi Francesi, donne e uomini passavano continuamente in rotta verso il centro, a piedi, laceri. Già anche da noi si era iniziato lo sgombero. Che cosa ci attende?

Fuggire in balia alle guardie SS o nascondersi nei boschi in attesa?

 

CESSANO I LAVORI.

 

 Oggi 5.aprile sono di ritorno da H?lzimnden dove mi sono recato in bici [???] per prendere dalla lavanderia la biancheria del mio Lagherfuhrer Eilers sebbene non fosse lavata, evidentemente il proprietario temeva del prossimo avvicinarsi degli inglesi.

Il viaggio era stato pessimo, come ho già detto più volte avevo dovuto gettarmi a terra per lo avvistamento di aerei da picchiata, per di più avevo dovuto fare il ritorno a piedi per lo eccessivo sopracarico. Per la strada una serie continua di fuggiaschi forzati o volontari specie soldati riempivano la via. La disfatta dello esercito tedesco era in opera.

Giunto a Holzen stanco morto vedo il mio Lagherfuhrer in bicicletta che passava tutto sconvolto e appena accennava un cenno di saluto; subito ebbi le intuizione che qualche cosa di grave fosse successo. Già da tempo si parlava (lo avevo saputo in linea confidenziale) di sospendere i lavori, mancava materiale, mancavano sopra tutto mezzi di trasporto, sabbia cemento e macchine che tre mesi fa affluivano in continuazione con vagoni rimorchiati, ora affluiscono dalla stazione a noi (5 Km.) mediante carri di contadini trasportanti al massimo 4 o 5 sacchi di cemento o 2 o 3 Q di sabbia, la piccola ferrovia che collega la Baustelle a Lene (6 Km.) non funziona più e i carrelli vengono trascinati con funi tirate da uomini senza parlare poi del servizio ferroviario vero e proprio che e quasi nullo (treni delle piccole linee funzionano a legra; che e ridotto in proporzione del 90 per cento. Il popolo tedesco proteso nel suo inutile sforzo sta facendo lei miracoli di abnegazione e sacrifici supplendo con la sua buona volontà a tutte le deficienze, ma non può durare lungo, anche le derrate alimentari mancano, se si vuole la marmellata occorre prelevarla ad Hannover, sapone non ve n'è più, le fabbriche di sigarette sono distrutte sicché si teme che nel prossimo periodo non ci siano neppure par i civili tedeschi.

Per tutte queste considerazioni mi balena in mente la idea che i lavori fossero stati interrotti. La conferma la ebbi dalla gioia dei miei compagni quando giunsi trafelato a1 lager, alle ora 4 di quel giorno i lavori erano cessati, la direzione della cucina era stata lasciata in nostre mani mentre i Capi avevano lasciato per sempre la Baustelle solo il Lagerfuhrer Eilers restava con la propria consorte addotta da due giorni.

Quella- sera fu memorabile, solo in tutti era una leggera preoccupazione su quella che doveva essere la nostra sorte in attesa dei tedeschi.

Dai campi vicini avevano cominciato a sgomberare gli italiani, si temeva che anche a noi fosse destinata la stessa sorte.

Nuovi disagi e pericoli si prospettavano quindi, tutti facemmo i nostri bagagli come per partire e invidiavamo coloro che avevano scorte di viveri, io per risparmiare non mangio pane, ne ho pochissimo. Per questo stabilisco di appropriarmi di una scatola di sigari che avevo portato meco da Holzimnde affinchè mi fosse utile come strumento di scambio.

La  notte fu burrascosa, continuamente nella aria il rumore di aerei volanti a bassissima quota e precisamente di qualcheduno che aveva lo …. di ispezionare la nostra zona impediva di dormire; parecchi di noi passò tutta la nottata in Grube. Scariche di mitraglia più o meno vicine atterrivano anche i più coraggiosi. Io fui fra i pochi che dimostravano meno paura, ma debbo confessare che questo atteggiamento era più teorico che reale.

La mattina dal 6 mi alzo presto a completare il bagaglio, nuove supposizioni, altri camerati partano dal campo a 300 metri da noi, da noi ancora la vita è normale, pane e viveri seguitano ad arrivare del paese. Io passo la giornata nel Lager, le ore sono lunghissime. Dove sono gli Americani ????

Il nervoso e l'agitazione crescono. Oggi si distribuisce la riserva del cucina ( 100 gr di marmellata e 600 di zucchero) nella previsione di sgomberare.

Nella notte sgombera un lager di 600 uomini a 600 m da noi; la mattina mi levo tardinello intento di fare sembrare meno lunga la giornata. Tutti i dintorni sono pieni di stranieri, sono quelli del campo de Holzen che sgomberati la notte stessa furono poi lasciati liberi di arrangiarsi. Parecchi dormirono sulla terra nelle nostre baracche altri nel bosco, alcuni presero la strada per loro conto. La confusione aumenta, si teme di partire da un ora alla altra, il nostro Baufure ci avverte di restare tranquilli che non sgomberiamo.

Il Lagerfuhrer mi avverte che gli americani hanno passato il Weser ad Halle a 10 Km da noi. Ci siamo.

A mezzodì arriva una donna tutta trafelata annunziando che le prime camionette erano ad Escershausen a 5 Km da noi.

I rombo del cannone spinge tutti a portarsi i propri bagagli in galleria. Per poco; tutti ritornano a le proprie baracche, ecco i primi carri americani a 2 Km da noi, ad Holzen; sono 5 camionette le stesse che erano entrate ad Escershausen. Tutti abbandonano ogni paura, di lontano si odono i colpi delle artiglierie, non fa nulla tutti accorrono senza tema sulle vie per acclamare i liberatori. Passano gli americani, sono presenti dapprima 20 compagni, poi accorrono tutti gli altri e fra questi anche io.

Passano gli americani; alle prime camionette succedono intere divisioni e corazzate superbamente equipaggiate. I tedeschi non fanno resistenza. Dagli americani con grande stupore ci sentiamo chiamare in Italiano "paesano" "addio guaglione", e non sono 2 o 3 isolati su ogni carro vi è qualche italiano. Le domande si incrociano «Di dove sei???» Fratelli di stesso sangue separati da un continente si salutano; da oltre mare sono venuti questi fratelli a liberarci ed ora è naturale, che noi già acclamiamo, essi si fermano parlano con noi ci danno la mano ci danno sigarette e caramelle e se ne partono.

Ovunque la stessa scena: "Sei Italiano ??" Ora sono gli americani che lo domandano "Di dove?".

Passano i carri e i saluti si incrociano.

Sembra che sia una colonna Italiana e non americana tanto e grande il numero del "Paesani"

Francesi e Russi che con noi assistono al passaggio ci guardano meravigliati: per loro è nuova questa affinità Italo-americana, Passano sempre carri, la via e piena di sigarette e caramelle, tutti fumano a sazietà acclamando ai fratelli (sono veramente fratelli questi soldati che parlano la nostra stessa lingua).

Sono le 8 e ancora le colonne passano. Qualche auto si ferma, si parla; qualche auto scende da noi a visitare i lavori; ci si raccomanda la calma nella attesa di essere rimpatriati. A quando? 2 o 3 settimane ??? Questa sera tutti esultano e sono lieti.

 

 

SIAMO LIBERI

7 Aprile 1945 ore 13.49 §p.22

 

 

Oggi e il primo giorno della liberazione Sabato 8 APRILE

Nel campo si prendono i dovuti provvedimenti d'accordo con i francesi con noi conviventi per assicurare il regolare funzionamento della cucina per un periodo più o meno lungo fino al nostro rimpatrio, si monta ls guardia alle patate ad evitare che possano esserci rubate. In complesso abbiamo viveri per un mese, soddisfacente.

Questa mattina è domenica, ma una di quelle domeniche di sole in cui la natura sembra all'unisono coi nostri cuori festeggiare la gloria del signore; domenica di gioia e di giubilo. Giorno che segna la fine di un oscuro periodo di stasi e che riapre le porte alla vita. Le bestie di ieri, vilipesi lavoratori di un padrone caparbio e crudele, riacquistano oggi la dignità di pensare e di vivere. Per la prima volta sento la verità della massima cartesiana "cogito, ergo sum".

Mel letto dalla finestra socchiusa entra il sole e sembra annunciare la vita. Semivestito mi levo e corro fuori ad inebriarmi della vita e sento il bacio del sole sui miei occhi ridare al mio corpo il vigore della giovinezza.

Non lontano il rombo non distinto delle colonne amiche annunciano ai nostri cuori la realtà del sogno.

Sembra impossibile, quella che da due anni era il sogno chimerico di noi e dei nostri cari diventa ora certa realtà, quello che si è sofferto non conta, la vita ci attende e con la vita la gioia del lavoro e della civiltà.

Volti cari di mamme, di spose, di fanciulle si riaffacciano alla nostra mente, volti che l'abbrutimento del lavoro e della fame avevano forse alle volte fatto dimenticare o meglio collocate in quella serie di visioni fantastiche, cui appartiene il mondo delle fate e delle mille e una notte; ed ora ecco queste visioni realizzarsi e §p.23

avvicinarsi fino a baciarci.

Mi ricordo da bambino mi apparivano nei miei ingenui sogni visioini dorato di fiabe e di maghi; ero allora un fanciullo e nella mia ingenua fantasia tali visioni acquatavano talora lo aspetto di realtà sino a continare dopo destato; questa mattina identica è l'impressione che mi desta il desiderio di guardare ancora una volta le foto che dei miei cari io tengo, come prova tangibile della realtà.

Le autocolonne passano nella via, quasi tatti i miei compagni sono sulla strada ad acclamare i liberatori, sia per dare un saluto ai nostri fratelli di oltre mare, che passano riconoscendoci e ricambiando un saluto, sia nella segreta speranza di raccogliere qualche sigaretta o cioccolato.

I saluti si incrociano, con noi sono anche polacchi russi e franeesi ma nessuno manifesta nel loro saluto la gioia e la spontaneità di noi italiani, sarà questo perche nessuno trova in essi tanti compatrioti come noi, sarà pura perché nessuno sente con essi la affinità che sentiamo noi.

Ma ora alla prima gioia del momento sorge la nuova domanda:"Quando pertiremo per casa ?" Le opinioni sono diverse, alcuni pensano presto, ma la maggiore parte opina diversamente. Ufficiali americani ci dicono di aspettare. Dormire, mangiare e divertirsi, questa prospettiva ci attende.

Intanto alla gioia delle liberazione succede in molti la gioia della vendetta: è fatale nemesi storica che chi più si esalta sarà umiliato: in questi giorni diffatti si assiste al più completo sfacelo del prestigio tedesco. Città e villaggi sono letteralmente in preda al saccheggio da parte degli stranieri, i negozi, quei pochi non saccheggiati, debbono vendere forzatamente merci solo agli stranieri, se qualche tedesco si avvicina deve essere fortunato per svignarsela alle buone.

Le panetterie poi sono continuamente sotto pressione per produrre pane esclusivamente accaparrato da stranieri di ogni razza, donne e bambini tedeschi piangono che da tre giorni sono senza pane, mentre per la via vedi italiani russi polacchi ritornare al lager carichi di ogni ben di dio, sacchi di zucchero di farina di pane di marmellata vengono involati e portati al lager; non solo si rubano viveri, ma la necessità di trasportarli al lager fa si che anche veicoli di ogni genere vengono rubati; qui al mio lager è un affluire di carrette tutte cariche.

Se qualche tedesco si oppone sono botte da ambedue le parti; non basta, ma veri assalti vengono perpetrati ai pollai, sotto gli occhi benevoli di qualche italo-americano. Ad Holzen in ua pollaio circa 500 galline vengono immolate da una banda di stranieri armati li bastoni, pochi minuti durò l'assalto, ma infine non restava più una gallina superstite mentre il padrone piangeva sulle rovine del proprio pollaio. Quel giorno fu festa nel mio lager, vi era anche chi aveva portato persino 7 galline.

Come questo potrei raccontare tanti altri esempi non solo di galline rubate ma anche di buoi e di maiali; uno di questi è stato rubato da i miei compagni proprio nel mezzo del paese, compagni che sotto gli occhi dei tedeschi sgozzavano il maiale con ironiche grida di Heil Hitler (viva Hitler). Non è raro il caso poi che Italiani entrino nelle case private per deridere; spesso poi ai fanno accompagnare da americani per procedere all'arresto di qualche nazista: parecchi dei nostri ex capi sono così stati arrestati nelle loro stesse case. Ieri poi alcuni dei nostri ex capi, venuti presso di noi colla intenzione di prelevare patate per il loro sostentamento, sono stati arrestati, mentre le grida ironiche di Ius Ius avanti Keine supplement gli accompagna. Si tratta del nostro Beaiure e del nostro Lagerfurer che sappiamo saranno portati in Belgio e rilasciati solo un mese dopo.

Di più comincerà la caccia alle biciclette, Tedeschi vengono fermati e poi forzati a lasciare biciclette, non basta si da la caccia alle automobili. §p.25


Si penetra nelle autorimesse e si rubano automobili nell'intento di servirsene per partire. T
re automobili sono nel nostro Lager.

Per una settimana ovunque regna confusione e terrore, giorni fa a Grunenplane allo approssimarsi di Italiani viene dato l'allarme colla tromba mentre numeroso uomini accorrevano con bastoni per fronteggiare il pericolo: tedeschi vengono fermati e derisi sopratutto quelli che si trovano a lavorare, come è stato imposto dalle autorità alleate. Dappertutto regna il terrore, il nome degli Italiani vola sulle bocche di tutti, sinonimo di sacheggio e distruzione, perché è appunto da questi che viene perpetuato il terrore.

Peggio avviene negli uffici e negli arsenali. Negli uffici tutti i vetri sono rotti, carte e materiale rubati e ciò che non interessa giace al suolo in preda al massimo disordine, tavoli e armadi servono per fare il fuoco, la carta per accendere, parecchie macchine preziose, strumenti ottici, calcolatrici, macchine da scrivere radio nella furia- del momento giacciono a pezzi. Gli impianti elettrici sono uno degli obbiettivi preteriti.

Ma ciò non è nulla in confronto allo stato in cui giacciono i magazzini della Grube, chilometri e chilometri di galleria piene li macchinari e di materiale vengono di giorno in giorno saccheggiati, quello che non si asporta si rompe, per prendere una lente si scassano macchine che valgono milioni e milioni di marchi; strumenti Zeiss, modelli di precisione giacciono in frantumi, centinaia di armadi vengpno scassati e rotti. Di tanto in tanto incendi dolosamente provocati mandano in fiamme magazzini, Vengono trovati anche magazzini di deposito dove capi tedeschi avevan celato proprietà private, tutto è derubato e asportato. Per dare una idea della vastità dei magazzini dirò che da due mesi dura il saccheggio, eppure ancora son ripieni di materiale di motori di cavi, ora per di più anche tedeschi si uniscono a noi nel saccheggio: indescrivibile e lo stato in cui si trovano le baracche precedentemente abitate da tedeschi, nulla resta neppure le pareti. Nel paese si guarda quassù come ad un covo di banditi: pochi sono coloro che qui si avventurano.

 

Per mio riguardo posso dire che mai ho partecipato né approvato simili atti di saccheggio simboli di barbarie, come non furono mai approvati da francesi e belgi, ma li posso giustificare, si trattava nel nostro caso di soldati abituati alla rapina, che avevano assistito al saccheggio perpetuato dalle truppe tedesche che dovevano vendicarsi di lunghi mesi di prigionia e che passati i primi giorni ritornavano lo stato normale; cosa che non era nel caso dei russi che continueranno i loro saccheggi a mano armata per sempre.

Passati dunque i primi giorni la vita procede normale, ora però i tedeschi si mostrano gentilissimi con noi, mentre il sesso femminile non mostra certo risentimento contro i nemici di ieri. Aboliti pregiudizi nazisti la vita procedo in comune, sono ora i tedeschi che cercano di entrare nelle buone grazie degli stranieri (in tal caso ora che sono partiti francesi e belgi i più ben visti e i più civili saremmo noi, mentre i russi conservano sempre le stigmate della propria razza) per ottenere favori e raccomandazioni sia rispetto agli americani che in numero di 300 [o 500] presidiano il paese sia rispetto a noi stessi. Sviluppato poi è il commercio in natura: nova e grassi sono dati in cambio di mcchine motori catene olio benzina sapone (è statotrra gli altri saccheggiato un magazzino in cui si trovarono milioni e milioni di pezzi di sapone).

I rapporti cogli americani continuano ad essere cordialissimi specie con qualche italo americano, che non hanno ritegno spesso in presenza nostra a ridere alle spalle di gualche disgraziato tedesco o signorina tedesca specie se all'ora del coprifuoco non è sollecita a rientrare in casa. Posti di blocco sono ovunque.

Nei rapporti ufficiali con le autorità tedesche noi godiamo di una effettiva superiorità. Guai a quei funzionari che dimostrano poca sollecitudine nei nostri confronti, prima spetta a noi mangiare e poi ai tedesci. §p.27

La nostra razione ai vitto è superiore a quella degli stessi tedeschi, non si può dire certo che dimagriamo, tutti ingrossano a vista d'occhio. Si dorme fino alle 11, poi si mangia si passeggia, alle 5 [17] si mangia di nuovo, si ascolta la radio
e si va a dormire a mezzanotte. Questa è la nostra vita in mezzo alle foreste che ci circondano e alle alte pinete che si estendono per le colline profumate per decine di chilometri, lasciando di trotto in tratto intravvedere nelle conche ridenti e salubri piccoli villaggi in miniatura, casette ridente di campagna [???] che la guerra risparmiò; in mezzo all'aroma dei peschi e dei ciliegi fioriti sotto un sole cocente di estate il nostro soggiorno sarebbe davvero un villeggiatura ideale se il ricordo e
i pensiero di casa non ci assalisse

Mezzi nudi, sotto il sole ardente nei prati fioriti o in mezzo ai pini aspettiamo seduti il lento scorrere delle ore mentre in lontananza qualche capriolo passa veloce o qualche cervo allunga lòa sua fronte cornuta.

Sono due mesi che siamo stati liberati, ancora la nostra attesa dura senza che nulla di nuovo sopravvenga. I russi partono. Solo noi ancora nulla. Siamo circa 1000 italiani raccolti in 4 lager, tutti impazienti nell'attera, solo qualcuno sistemato presso qualche amante passa cosi la noia dell'attesa.

Io sono incaricato nel mio lager di provvedere al vettovagliamento, scendo cosi tutti i giorni in paese colla bicicletta e trovo così modo di passare qualche ora, il resto del giorno lo passo con gli altri parlando scherzando e giocando carte, o meglio con lunghe passeggiate nel bosco per km e km. Non mi fido però di allontanarmi troppo perchè ci sono ancora nel bosco tedeschi nascosti per sfuggire alla cattura da parte delle truppe americane.

La sera poi tutti stiamo in ascolto della radio per asco tare novità dalla patria o meglio se nulla di nuovo vi è riguardante il nostro rimpatrio. Finora però nulla di concreto, in Italia invece di pensare a salvare quello che è rimasto e pensare a unificare i due monconi divisi ci si §p.28

 

Non c'è continuità

 

LA TRAGEDIA DI BUNCHENVALD

(Riassunto di un articolo del giornale Sussgpost del 8 Aprile 1944)

 

L'avanzata americana è stata cos' veloce che i seguaci della Gestapo non hanno potuto distruggere tutte le prove della loro crudeltà perpretata a danno dei prigionieri concentrati nei famosi campi di concentramento. Nei campi di concentramento di Buchenvald furono trovati parecchi di questi individui così carbonizzati e oltre 20.000 detenuti politici trovati in condizione pietosa di fame e di maltrattamenti, che giacevano deperiti tanto da non poter essere momentaneamente considerati inabili al lavoro. [???] Oltre 24.000 erano stati in pochi giorni evacuati a piedi, la strada era disseminata di innumerevoli cadaveri di prigionieri sfiniti. Il comando americano ha obbligato 100.000 cittadini tedeschi a vedere le condizioni miserevoli in cui erano ridotti e le prove delle atrocità commesse dagli aguzzini tedeschi. I cittadini dovettero osservare i cadaveri dei detenuti periti in seguito alle percosse e agli sfinimenti. Non rari i casi di fucilazione. Giornalmente si bruciavano circa 200 detenuti. Si potevano vedere cadaveri non ancora del tutto carbonizzati.

Molti cittadini si velavano gli occhi con le mani, ma erano obbligati dagli americani a constatare le orribili atrocità commesse dagli aguzzini nazisti, delle quali loro stessi erano colpevoli per aver appoggiato e applaidito il regime. I visitatori entrarono quindi in una baracca in cui giacevano 200 detenuti a terra sfiniti tanto da non potere parlare e intorno a loro morti ovunque. Un detenuto racconta come loro stessi fossero obbligati a impiccare i compagni.

Il campo Adulf a sud di Getle [???] conteneva circa 2500 detenuti, fra cui molte donne e bambini. Ivi ogni giorno 50 detenuti venivano flagellati e sfiniti fino a morire, poi i loro stessi compagni dovevano trascinarli fino alle buche dove venivano seppelliti nudi, ma ancora enormi cataste di resti umani restavano insepolti quando giunsero gli americani, quasi come per fare constatare la barbaria nazista. Anche qui i cittadini furuno obbligati a visitare il campo. Il borgomastro si uccise per testimoniare la sua riprovazione per tali delitti perpretrati.

Anche nel campo di Amselvi [???] venivano trucidati ogni giorno circa 200 russi. Qui arrivavano ogni giorno convogli con ca. 12.000 - 20.000 persone, fra cui venivano scelti i bambini e quelle di oltre 50 anni e in genere tutti gli onabili al lavoro per essere trucidati. Uomini e donne erano obbligati al lavoro e immediatamente condotti nelle camere a gas. Nel campo vi erano forni crematori in piena attività, ma negli ultimi tempi si doveva ricorrere ai roghi all'aperto, che riempivano il campo di una cortina di fumo. ecc. ecc. §pp.29-30

(parte imprecisa rispetto le descrizioni ufficiali)


 

 

PROFILI VARI

 

TAVOLINI di Hannover

Lo chiamavano Tagliolini. Era un interprete, alto, secco, acido e non si sapeva se fosse di origine tedesca o    italiana; difatti conosceva molto meglio il tesco dell'italiano.Celebre le sue interlocuzioni sempre terminanti con un "saranno fucilati".Lo si guardava bieco come un agente pericoloso degli aguzzini tedeschi; certamente da lui non avresti ottenuto favori. Solo lo vedevi freddo tradurre ciò che il tedesco diceva senza difendere i suoi camerati.

 

IL PAPA - Era un maresciallo delle camice nere, anziano, rotondetto, piccolo di statura, lo avresti chiamato Bombolo. Era il nostro capo, buono ma inetto a difenderci nei nostri interessi. Semplicione e ignorante, mi ricorderò sempre una sua frase: "due o tre morgen e poi caput". Non so che cosa volesse dire con questo linguaggio ibrido. Lo chiamavano Papa perchè il più anziano.

 

LA LANGHEN GEN

IL MATTO - Sentinella tedesca, buono, ma mezzo sconvolto di testa, disponibile e affabile con tutti.

 

GAMBALUNGA - Caporale tedesco comandante del presidio, pronto a prendere a botte tutti quanti.

 

IL CAPORALINO - Caporale tedesco, buono e pronto ad interessarsi di tutto.

 

IL BRIGADIERE - Si chiamava Tundo Salvatore, buona pasta di appuntato semplice, che comandava la mia colonna. Celebri i suoi qui pro quo linguistici e famigerato era pure per la sua simpatiadschi [???]

 

IL MARESCIALLO - Comandante del campo italiano. Si chiamava Ruggeri Tito energico e bel tipo, come poi si vedrà correre appresso alle donne.

 

di ESCERSHAU SEN

SIMLER il PANETTIERE - Era il nostro Baufire [???], chiamato panettiere perchè sempre pronto a togliere il pane a chi si faceva sorprendere senza lavorare.

 

EILERS - Era il Lagerfurer. Uomo buonissimo, energico e giustissimo sia con noi che con i tedeschi. Di lui non posso serbare che una fervida ammirazione che mai cesserà. Se siamo stati bene lo dobbiamo a lui.

 

AVANTI - Si chiamava Kuhnert. Buono anche lui ma sempre con "avanti" sulle labbra.

IL POLACCHINO - Chef polacco di nome Stein.

GIACCA BIANCA - Dalla sua giacca.

TRICO TAC (Kops)

LA SCIMMIA

BAFFO

MACCARONI

LO ZOPPO

LA GOBBETTA

LA PUTTANA

FRAU ROTE

PIERONIA

GAMBA di MERLO

IL GOBBO

IL POLACCO

IL MONCO

 §p.31

 

 


 

Carta Intestata del lager

Usata da Gerardo per scrivere alcune pagine del diario

W. WALLBRECHT

 Unternehmung

 fur

Hochbau - Eisenbetonbau - Tiefbau

 

Reichsbetriebs-Nr. 0/0450/5613

 

W. Wallbrecht, Hannover, Adelheidstraße 24

 

 

(20) Hannover

Ihre Zeichen Meine Nachricht vom Meine Nachricht vom Mein Zeichen Adelheidstraße24

Betreff

 

Fernsprecher: 81862/63

Geschäftszeit 7.00_ 18.00

Bankkonto: Deutsche Bank, Filiale Hannover

Postscheck: 15437 Hannover

F/0230

 


 

 

APPENDICE

 

 

 

GHERARDO - Dal germanico= la lancia ardita .
San Gherardo, vescovo di Casnad (Ungheria), ricorre il 24 settembre; San Gherardo, patrono di Velletri, si festeggia il 7 dicembre.
Coraggio e ardimento rivolti al bene e alla generosità.

 

 

8 settembre 1943

http://digilander.libero.it/secondaguerra/dissolve.html

 

Il dramma dell’esercito italiano scoppia alle 19.45 dell’8 settembre 1943, quando la radio italiana divuiga il messaggio del maresciallo Badoglio nel quale il capo del governo comunicava che l’italia ha “chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate” e che la richiesta è stata accolta. Il dramma si trasforma nel giro di poche ore in tragedia per centinaia di migliaia di soldati abbandonati a se stessi nell’ora forse più tragica dall’inizio della guerra.
Le forze presenti sulla penisola e in Sardegna ammontano a un totale di circa 1.090.000 uomini (10 divisioni nell’italia settentrionale, 7 al centro e 4 al sud della penisola e altre 4 in Sardegna), contro circa 400.000 soldati delle unità tedesche; ma mentre queste ultime sono perfettamente efficienti e fortemente dotate di mezzi corazzati, l’esercito italiano è uno strumento bellico estremamente debole(di questo sono convinti anche allo Stato Maggiore, che infatti considera le truppe italiane sconfitte in partenza), con una buona metà delle divisioni del tutto inefficienti, scarsamente dotate di mezzi corazzati e male armate. A queste forze, numericamente notevoli, vanno sommate le unità italiane dislocate nei vari settori fuori dei confini metropolitani: 230 mila uomini in Francia (e Corsica), 300 mila circa in Slovenia, Dalmazia, Croazia, Montenegro e Bocche di Cattaro, più di 100 mila in Albania e circa 260 mila soldati in Grecia e nelle isole dell’Egeo: in totale 900 mila uomini circa, in teoria una forza formidabile, ma solo in teoria. In realtà si tratta di un esercito assolutamente inadeguato ai tempi, su cui non si può in alcun modo fare affidamento. Se a questa situazione si aggiunge, in quel fatidico 8 settembre, l’assoluta mancanza di direttive da parte dei responsabili della macchina da guerra italiana (e in particolare del capo del governo Badoglio, che pure era un militare, del gen. Ambrosio, capo di Stato Maggiore Generale, e del capo di Stato Maggiore dell’Esercito gen. Mario Roatta) e l’imperdonabile leggerezza con cui si affronta il prevedibile momento della resa dei conti con i tedeschi, si puo capire lo sfacelo, il crollo totale dell’esercito italiano all’indomani dell’annuncio della firma dell’armistizio. Nella dissoluzione generale (al momento della prova, molti comandanti sono) lontani dai reparti, o se sono presenti non hanno ricevuto disposizioni), si verificano tuttavia alcuni coraggiosi quanto inutili tentativi di opporsi all’aggressione tedesca: in Trentino-Alto Adige e in Francia le truppe alpine reagiscono all’attacco, ma sono episodi di breve durata; i focolai di resistenza sono spenti con spietata ferocia.In Grecia, nel desolante spettacolo del disarmo dei reparti italiani da parte dei tedeschi, brilla il coraggio della divisione Acqui che a Cefalonia sceglie la lotta e la conseguente autodistruzione: 9646 morti, una vendetta inutile ma feroce.
Il 7 novembre 1943, nel suo rapporto a Hitler sulla situazione strategica, il capo di Stato Maggiore della Wehrmacht, gen. Jodl, riassume in cifre quanto è successo in Italia dopo l’8 settembre: parla di 51 divisioni “certamente disarmate”, di 29 divisioni “probabilmente disarmate” e di 3 divisioni “non disarmate”. I prigionieri sono stati più di mezzo milione, di cui quasi 35.000 ufficiali, il bottino in armi e materiali ingente.Non si parla di morti, di cui non si saprà mai neppure la cifra approssimativa. Un discorso a parte meritano la aeronautica e la marina italiane. Dei circa 1000 aerei teoricamente disponibili (tra bombardieri, caccia, velivoli da combattimento e da ricognizione), sono utilizzabili per varie ragioni non più della metà: dopo l’8 settembre, 246 velivoli riescono a decollare per raggiungere territori non direttamente controllati dai tedeschi. Ne giungono a destinazione 203. La più efficiente delle tre armi è sicuramente la marina, che schiera 5 corazzate, 8 incrociatori, 7 incrociatori ausiliari, 23 sommergibili, una settantina di MAS e 37 cacciatorpediniere e torpediniere. L’8 settembre questa rispettabile forza navale è cosi' dislocata: si trovano a La Spezia e a Genova, al comando dell’ammiraglio Bergamini, le corazzate Roma, Vittorio Veneto e italia (ex Littorio); gli incrociatori Eugenio di Savoia, Duca degli Abruzzi, Montecuccoli, Duca d’Aosta, Garibaldi, Regolo; due squadriglie di cacciatorpediniere. Nel porto di Taranto sono alla fonda le corazzate Doria e Duilio e gli incrociatori Cadorna, Pompeo Magno, Scipione, al comando dell’ammiraglio Da Zara.
Unità minori si trovano in Corsica, in Albania e in altri porti italiani, mentre 2 e 9 sommergibili sono, rispettivamente, a Bordeaux e Danzica. In porti giapponesi, infine, 4 sommergibili, 2 cannoniere e l’incrociatore ausiliario Calitea. All’annuncio della firma dell’armistizio a Genova e La Spezia, la prima reazione è quella di affondare le navi, ma dopo un colloquio telefonico tra l’ammiraglio Bergamini, comandante la squadra, e il capo di Stato Maggiore della marina, ammiraglio De Courten, la mattina del 9 settembre la squadra navale, secondo il suggerimento di De Courten, prende il mare alla volta dell’Isola della Maddalena, presso le coste nord-orientali della Sardegna. Nelle primissime ore del pomeriggio la squadra è in procinto di entrare nell ‘estuario del l’isola quando giunge all’ammiraglio Bergamini un messaggio urgente di Supermarina con l’ordine di invertire la rotta e di puntare in direzione di Bona, in Algeria.E' successo che in mattinata i tedeschi hanno occupato la Maddalena e predisposto un piano per impadronirsi delle unità italiane. L’ordine viene eseguito immediatamente; la squadra fa rotta in direzione delle coste africane mentre i tedeschi, svanita la possibilità di catturare le navi da guerra italiane, rendono operativo il piano per il loro affondamento.
E infatti poco dopo le 15 una formazione di Junker attacca la squadra navale dell’ammiraglio Bergamini, senza peraltro conseguire risultati concreti. Verso le 16 un altro gruppo di bombardieri DO-217 è sulle unità italiane. L’attacco questa volta ha successo, e ne fa le spese proprio l’ammiraglia, la corazzata Roma che, colpita da due bombe-razzo teleguidate alle 15,52, cola a picco in 28 minuti. Dei 1849 uomini dell’equipaggio, 1253 perdono la vita: tra questi il comandante la squadra ammiraglio Bergamini e tutto lo stato maggiore. Il comando passa all’ammiraglio Oliva, che è l’ufficiale più anziano, con insegna sull’incrociatore Eugenio di Savoia. La squadra fa rotta in direzione sud e nella mattinata del 10 settembre entra nel porto della Valletta a Malta, dove già hanno trovato rifugio le unità della flotta dislocata a Taranto e dove giungerà il giorno dopo, 11 settembre, la corazzata Giulio Cesare. Per la flotta italiana la guerra continua al fianco degli Alleati. Dal 10 giugno del 1940 l’Italia ha perduto (nel Mediterraneo) circa 3 milioni di naviglio mercantile (vale a dire più dell’80 per cento di tutta la flotta mercantile) e quasi 300 mila tonnellate di naviglio da guerra con 28.937 marinai.

 

 

 

Internati Militari Italiani

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. http://it.wikipedia.org/wiki/Internati_Militari_Italiani

 

Campo di internamento per militari italiani catturati dai tedeschi dopo l'Armistizio dell'8 settembre 1943. Foto di propaganda di guerra nazista proveniente dal "Deutsches Bundesarchiv", firmata "Schwahn".

« Vedi quelle sentinelle dietro i reticolati? Sono loro i prigionieri di Hitler, non noi. Noi a Hitler e Mussolini diciamo no, anche quando ci vogliono prendere per fame. »

(Sergente Cecco Baroni, internato in Germania, in Mario Rigoni Stern: Soldati italiani dopo il settembre 1943, FIAP, Roma 1988, pag. VI)

 

 

Internati Militari Italiani (Italienische Militär-Internierte - IMI) fu il nome ufficiale dato dalle autorità tedesche ai soldati italiani catturati, rastrellati e deportati nei territori del Terzo Reich nei giorni immediatamente successivi alla proclamazione dell'Armistizio di Cassibile (8 settembre 1943). Oggi la denominazione può essere riferita anche ai soldati catturati dall'esercito britannico prima dell'armistizio.

Dopo il disarmo, soldati e ufficiali vennero posti davanti alla scelta di continuare a combattere nelle file dell’esercito tedesco o, in caso contrario, essere inviati in campi di detenzione in Germania. Solo il 10 per cento accettò l’arruolamento. Gli altri vennero considerati “prigionieri di guerra”. In seguito cambiarono status divenendo “internati militari” (per non riconoscere loro le garanzie della Convenzione di Ginevra), ed infine, dall’autunno del 1944 alla fine della guerra, “lavoratori civili”, in modo da essere sottoposti a lavori pesanti senza godere delle tutele della Croce Rossa loro spettanti.