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Urbinati indimenticabili

San Crescentino (Crescenziano)  -  patrono di Urbino

 

Processione del 2006

Patrono Archidiocesi

Evangelizzatore dell’Alta Valtiberina

Convegno di studi in Città di Castello

Biografia S.Crescentino

Patrono di Urbino e Città di Castello

Teatro di Lucius Fabi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Processione del 2006

Patrono Archidiocesi

Evangelizzatore dell’Alta Valtiberina

Convegno di studi in Città di Castello

Biografia S.Crescentino

Patrono di Urbino e Città di Castello

Teatro di Lucius Fabi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Processione del 2006

Patrono Archidiocesi

Evangelizzatore dell’Alta Valtiberina

Convegno di studi in Città di Castello

Biografia S.Crescentino

Patrono di Urbino e Città di Castello

Teatro di Lucius Fabi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Processione del 2006

Patrono Archidiocesi

Evangelizzatore dell’Alta Valtiberina

Convegno di studi in Città di Castello

Biografia S.Crescentino

Patrono di Urbino e Città di Castello

Teatro di Lucius Fabi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ocessione del 2006

Patrono Archidiocesi

Evangelizzatore dell’Alta Valtiberina

Convegno di studi in Città di Castello

Biografia S.Crescentino

Patrono di Urbino e Città di Castello

Teatro di Lucius Fabi

 

 

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  • Mario Ceccarelli, San Crescentino lotta col drago davanti Urbino, coll. privata.

     

     

    San Crescentino martire Patrono dell'Arcidiocesi

    URBINO - La festa di San Crescentino cade il primo giugno. Una festa che tutti gli urbinati sentono in modo particolare, come dimostra l'alta partecipazione alla processione che si snoda nel centro storico della città.

    Quest'anno l'Arcidiocesi di Urbino, Urbania e Sant'Angelo in Vado con l'Accademia Raffaello fanno precedere alla ricorrenza, un evento culturale di notevole spessore. La presentazione del libro "San Crescenziano di Città di Castello: storia e culto di un Martire dalle origini all'età moderna". In una sede prestigiosa: la casa natale di Raffaello. Il libro, curato da Andrea Czortek e Pierluigi Licciardello, raccoglie gli Atti del Convegno tenutosi a Città di Castello il 26 e 27settembre 2003. Ripercorre la via della cristianizzazione nell'Alta Valle del Tevere, al tempo della decadenza dell'Impero Romano. Ed il ruolo dei Martiri, tra i quali San Crescenziano (o Crescentino-. Partendo dalla nuova distrettuazione amministrativa fino all'affermazione e diffusione del culto di questo Martire che, con il vescovo Mainardo (1058- approda in Urbino. Con i curatori del volume, il libro sarà presentato dall'Accademico prof. Sergio Pretelli, dell'Università degli Studi "Carlo Bo".

     

    da:  Il nuovo  amico del 20 maggio 2006

     

     

    L’evangelizzatore dell’Alta Valtiberina

    SAN CRESCENTINO MARTIRE

    soldato romano

    Patrono di Urbino dal 18 dicembre 1068

    di Luciano Ceccarelli

     

    Crescenziano, che gli Urbinati chiamano col diminutivo di Crescentino, probabilmente per sottolineare la sua giovane età, era nato a Roma circa l’anno 276, al tempo del pontificato di Sant’Eutichiano papa (275-283-. Educato cristianamente dal padre Eutimio, fin dalla sua prima giovinezza egli si era arruolato nell’esercito romano, ove fu ascritto nella Prima Coorte della Prima Legione, della quale pare fosse comandante il futuro martire San Sebastiano, col quale Crescentino si diede segretamente alla propagazione della fede cristiana.

    Per antica prassi, nell’Impero Romano le religioni diverse da quella ufficiale erano largamente tollerate, sebbene sempre sottoposte a guardinga vigilanza e sovente anche ad autoritarie repressioni se fossero incorse nel severo giudizio di propalare principi troppo aberranti dalle prescrizioni sia della religione, sia della tradizione dello Stato. In tale condizione poteva ben trovarsi il cristianesimo, e se nei primi anni dell’impero di Diocleziano la fede nei princìpi della dottrina cristiana non fu molestata, in seguito non tardarono molto a venire anche i momenti di persecuzione, specialmente dopo i pertinaci e insistenti consigli di Galerio, il Cesare di stanza a Sirmio sul Danubio, un rozzo soldato superstizioso, figlio di una fanatica sacerdotessa di culti barbarici, il quale sosteneva la necessità politica di applicare degli intransigenti e duri provvedimenti legislativi di estremo rigore da applicarsi specialmente contro i sovvertitori cristiani. Non si trattava ancora di una vera e propria persecuzione, alla quale si arrivò per gradi. Da principio si cominciò ad applicare delle sanzioni sempre più intransigenti e inesorabili contro i cristiani che militavano nell’esercito, all’inizio sotto la forma di implacabili provvedimenti disciplinari, specialmente se provocati da rifiuti di soldati cristiani ad eseguire degli ordini, che a ragione o a torto essi ritenevano contrari ai principi cui si ispirava la loro coscienza. Ai soldati si ingiunse di prestare deferente riverenza e pio culto alle divinità nazionali pena la missio ignominiosa, cioè l’infamante degradazione e la conseguente disonorevole espulsione dai ranghi dell’esercito. Naturalmente, le stesse rigorose disposizioni furono applicate anche nei confronti dei cristiani impiegati civili dello Stato, tuttavia ancora a quest’epoca pare che le condanne capitali siano state abbastanza rare, ripugnando a Diocleziano di decretare una persecuzione cruenta, alla quale non voleva arrivare sia per la sua indole inclinata a un’attitudine di pratica conciliazione, sia per averne valutato negativamente l’inutilità. (Foto: Girolamo Cialdieri, L'Assunta e San Crescentino davanti la città, Urbino, Museo del Duomo -.

    Per queste ragioni, circa l’anno 297, anche Crescentino fu costretto ad abbandonare l’esercito e ad allontanarsi da Roma assieme ai suoi genitori, che ben presto perderà durante il suo lungo e lento peregrinare a ritroso lungo la Valtiberina, predicando quella fede cristiana che lo aveva costretto all’esilio. Libero ormai dai vincoli familiari, Crescentino, risalendo la Valtiberina, si diresse a Tifernum Tiberinum, un’antica città dell’Umbria oggi nota con la denominazione di Città di Castello. Il giovane ex-soldato romano, espulso dall’esercito per la sua fede cristiana, trovò quella nobile città completamente immersa nelle tenebre del paganesimo e nelle oscure pratiche della superstizione idolatrica. Ecco, dunque, materializzarsi innanzi alla sua purissima fede il fierissimo mostro dell’idolatria da combattere con tutti i mezzi delle eterne verità cristiane; ecco ragionevolmente spiegata la passio fabulosa descrivente l’impari lotta sostenuta dal giovane cristiano, che sfidò, contese e duellò aspramente col mefitico dragone della leggenda, suscitatogli contro dagli dèi falsi e bugiardi. Crescentino, difeso appena dalla corazza della sua cristiana virtù e armato soltanto dallo splendore della sua fede nel Vangelo, dopo impari lotta riuscì a debellare il fiero dragone del paganesimo tifernate, ottenendo la conversione al vero Dio sia dei cittadini, sia della popolazione del contado.

    Nel frattempo, in tutto l’Impero erano state richiamate in vigore le inflessibili prescrizioni in materia religiosa decretate a suo tempo da Valeriano, le quali contemplavano la distruzione dei libri sacri e delle chiese, la confisca dei beni e l’arresto delle gerarchie ecclesiastiche. Poiché dopo l’abbattimento della chiesa di Nicomedia in Bitinia, sede di Diocleziano nella sua qualità di Augusto, era scoppiato nella reggia un violento incendio, ritenuto doloso ed opera vendicativa dei cristiani, il sovrano giunse finalmente a decretare nel 303 che tutti gli abitanti dell’Impero dovessero compiere atto pubblico di culto alle divinità ufficiali dello Stato, e che il rifiuto di obbedienza dovesse essere punito aspramente come crimen publicum. Il relativo editto, impositivo, come sempre avveniva, per tutti e quattro i Tetrarchi, fu attuato con maggiore o con minore intensità nelle quattro giurisdizioni imperiali: abbastanza blandamente da Costanzo Cloro a Treviri sul Reno, severamente da Massimiano a Milano, acerbissimamente da Galerio a Sirmio sul Danubio e inflessibilmente dallo stesso Diocleziano nel territorio di sua diretta pertinenza, perché egli prendeva sempre sul serio qualunque cosa avesse deliberato di fare, convinto che gli insuccessi delle persecuzioni precedenti obbligavano ora ad essere più radicali e spietati. Così, molti tra i più illustri Martiri che veneriamo, furono vittime di quest’ultima cruentissima persecuzione.

    In tale contesto legislativo, essendo pervenute alle orecchie di Flacco, Prefetto dell’Etruria, le gesta cristiane compiute da Crescentino a Tifernum, località dipendente dalla sua giurisdizione, il funzionario imperiale ordinò al giovane ex-militare di abbandonare subito la religione cristiana sotto pena di morte se egli avesse osato rifiutare. Le intimidazioni di Flacco accesero nel cuore generoso di Crescentino la fiamma della charitas Christi, che lo infiammò fino all’estrema dedizione di sé, inducendolo alla predicazione della vera fede per chiamare ed educare alla religione cristiana folle di proseliti, tra i quali Dio operava numerosi miracoli suo tramite. Allora, il prefetto Flacco fece trascinare il giovane ex-soldato di Roma nel tempio di Giove perché prestasse pubblico culto agli dèi dell’Impero o si preparasse a subire le più atroci torture e la morte. Al reciso rifiuto di Crescentino, il funzionario imperiale ordinò che il giovane fosse gettato entro un rogo ardente, ma tra lo stupore di tutti gli astanti Crescentino scampò immune dalle fiamme mentre cantava inni di lode a Dio. Constatato l’insuccesso del supplizio, con furia maggiore Crescentino fu condotto di nuovo nel tempio di Giove per indurlo ancora una volta a prestare culto agli dèi. Ottenuta un’altra recisa repulsa, fu denudato come un malfattore, trascinato per le strade con una corda al collo e infine decapitato: era il 1° giugno dell’anno 303 dell’era cristiana.

    Nonostante la furiosa persecuzione in atto, alcuni cristiani si recarono coraggiosamente nel cuor della notte sul luogo dell’esecuzione per dare onorata sepoltura ai resti mortali di quel valoroso atleta di Cristo, che a soli ventisette anni aveva conseguito la splendida corona del martirio per il trionfo della vera fede. In gran segreto le venerate spoglie furono trasportate e sepolte entro la fitta selva di Saddi, un’impervia località nell’agro tifernate, dove furono accolti e deposti anche i corpi tormentati dei più fedeli seguaci e compagni di Crescentino, i quali “consumarono gloriosamente il santo martirio” tre mesi e dieci giorni dopo il loro Campione, il 10 settembre 303; essi si chiamavano Grivicciano, Giustino, Fortunato, Benedetto, Orfito, Eutropio, Esuperanzio e Viriano.

     

    IL BEATO MAINARDO, VESCOVO DI URBINO, CHIESE A FULCONE, VESCOVO DI TIFERNO, LE RELIQUI E DI UN SANTO MARTIRE ROMANO

     

    Nel 1068 reggeva la Chiesa urbinate il 12° vescovo, Mainardo, che sedette sulla cattedra episcopale dal 1056 al 1088. Egli era uomo insigne per santità, dottrina e magistero autorevole, definito da San Pier Damiani, non uso a lodi esagerate, “gemma preziosa in mezzo a tanta fanghiglia e vescovo di veneranda santità”. Poco dopo esser stato eletto vescovo di Urbino, Mainardo decise di edificare una nuova cattedrale entro l’antica cinta muraria della città, che a quei tempi recingeva appena la sommità del Poggio, il colle sul quale si eleva ancor oggi la gran mole del Palazzo Ducale e dell’adiacente Duomo. La decisione scaturiva sicuramente dalla necessità “politica” di rendere più “visibile” la presenza del vescovo nel centro storico della città, rimasto per secoli e secoli quasi aristocraticamente chiuso all’espandersi delle borgate, che via via si andavano popolando ed estendendo tutto all’intorno sotto l’antico perimetro, molto più tardi, nel Cinquecento e nel Seicento incluse entro le mura erette dai Duchi feretrani e rovereschi. Cosicché, sicuramente durante il dominio bizantino, la primitiva cattedrale era stata edificata al di fuori della porta maggiore della città, in una borgata che s’andava sviluppando oltre il Pian di Mercato, alle falde dell’erto colle settentrionale, denominato Monte di San Sergio proprio dal nome del santo titolare della cattedrale ivi ubicata. E San Sergio era il celeste Patrono delle milizie bizantine, il quale aveva subìto il martirio a Raşâfah in Siria nel III secolo. Tali considerazioni inducono a riflettere che la scelta del titolare della cattedrale urbinate extra mœnia significasse non soltanto una esplicita dipendenza bizantina di Urbino nel campo politico e amministrativo, ma anche in quello religioso, determinando ciò delle implicazioni abbastanza delicate sia circa l’ortodossia, sia circa la conseguente conservazione della purezza della fede cattolica costantemente minacciata dalle eresie, come quella ariana assai diffusa nell’Esarcato. (Foto: Il Beato Vescovo Mainardo arriva in Urbino con le reliquie di San Crescentino, Urbino, Cappella privata dell'Arcivescovato-.

    Quindi, la traslazione della cattedrale da San Sergio a Santa Maria in Arce, favorita dal vescovo Mainardo, ha voluto certamente evidenziare l’indefettibile fedeltà della Chiesa urbinate alla Sede Apostolica, cosicché il pio vescovo di Urbino desiderò mettere in risalto tale attaccamento al romano pontefice, vagheggiando un santo martire romano come protettore della sua diocesi. Sapendo che a Città di Castello erano venerate numerose reliquie di martiri, il vescovo Mainardo si rivolse a Fulcone, vescovo della diocesi contigua, per ottenere dalla sua generosità le spoglie mortali di uno dei martiri venerati nella sua Chiesa. Essendo a Fulcone ben note le virtù e la fama di santità del confratello urbinate, acconsentì volentieri alla pia richiesta, proponendogli di venire a prendere le reliquie del glorioso martire Crescenziano, venerate con altri santi nella Pieve di Saddi, sorta nei pressi della folta selva, in cui erano stati sepolti i martiri della persecuzione dioclezianea. Circa la metà di dicembre, in giorni di freddo intenso, Mainardo, accompagnato da alcuni rappresentanti del clero e dei cittadini di Urbino, valicò il nevoso Appennino e giunse a Saddi nel contado di Città di Castello per ricevere le venerate spoglie del martire Crescenziano destinate ad ornare e ad onorare la Chiesa urbinate. Non volendo privare del tutto la Chiesa tifernate delle reliquie di quello splendido evangelizzatore dell’alta Valtiberina e strenuo Campione della fede, il vescovo Fulcone volle riservata a Città di Castello la testa del martire, mentre concesse a Mainardo le altre ossa del corpo del santo, le quali furono devotamente collocate in un’urna di legno adatta al trasporto. Mentre il vescovo, il clero e i cittadini di Urbino erano devotamente intenti a far ritorno alla loro città, calcando i malagevoli sentieri dell’Appennino, si avvidero d’essere inseguiti con propositi pugnaci dai Castellani, che si erano accorti con disappunto della ignorata e quasi furtiva traslazione di uno dei loro santi. Erano essi ben determinati a farsi restituire il sacro carico dagli Urbinati, altrettanto decisi a difendere le proprie ragioni, allorché – narra la passio fabulosa del Santo - improvvisa si levò una fittissima nebbia a dividere i contendenti e a disperdere gli inseguitori. In tal modo, il vescovo Mainardo e i suoi compagni scamparono dal pericolo e poterono raggiungere Urbino la sera del 18 dicembre 1068 con le sacre reliquie del santo Patrono, accolto dal suono di tutte le campane della città. A commemorazione dell’avvenimento, da quella sera, mezz’ora prima dell’Ave Maria, la campana maggiore del Duomo ha richiamato gli Urbinati tutte le sere con alcuni rintocchi per invitarli alla devota recita dei “Paternostri di San Crescentino”, che fino al 1875 erano anche annunciati dagli squilli delle trombe municipali, che i trombetti o tubatori del Comune sonavano dalle finestre del Palazzo Pubblico.

    Il corpo del Santo Patrono fu deposto dal beato vescovo Mainardo nella cripta della nuova cattedrale, che egli andava erigendo sull’arce scoscesa della città in onore della Vergine Maria Assunta in Cielo e del Martire Crescentino, fissando la festa patronale il 1° giugno di ogni anno, che viene ancor oggi celebrata con una solenne liturgia e una partecipata processione.

    (Bibliografia: Alessandro Certini, Vita di San Crescentiano Martire, Protettore di Città di Castello e di Urbino ove con il nome di Crescentino è chiamato, per Nicolò Campitelli, in Foligno 1709; Serie distinta degli avvenimenti nella caduta della cupola della Chiesa Metropolitana d’Urbino, nella Stamperia della Ven. Cappella del SS. Sagramento, presso Giuseppe Maria Derisoni, in Urbino 1789; Crescentino Valenti, Compendio della vita e martirio di San Crescentino Protettore principale di Urbino, per Giuseppe Rondini coi tipi della V. Cappella del SS. Sacramento, Urbino 1854; Bramante Ligi, I Santi protettori di Urbino, Urbania 1968; Loris Giacchi, San Crescenziano da Tiferno, Petruzzi Editore, Città di Castello 2003-.

    Luciano Ceccarelli

     

     

     

    Convegno di studi San Crescenziano di Città di Castello

     

    Ospitato nel salone gotico del Museo del Duomo di Città di Castello, il convegno di studi San Crescenziano di Città di Castello. Storia e culto di un martire dalle origini all'età moderna {2G-21 settembre 2003- ha preso spunto dalla ricorrenza del XVII centenario della morte del santo, martirizzato, secondo una delle tradizioni, a Città di Castello il 1° giugno 303, sepolto insieme ai compagni di martirio nella pieve di Saddi, oggi in comune di Pietralunga, e infine diventato, dal 1068, patrono della città di Urbino.

    Le due giornate di studio si inseriscono in una tendenza da tempo in atto nel panorama della ricerca scientifica italiana, alla riscoperta e valorizzazione delle tradizioni locali del patrimonio culturale (nelle sue diverse espressioni-.

    Il convegno ha permesso di presentare e confrontare tra loro le novità nel panorama degli studi sui periodi storici durante i quali avvenne l'evangelizzazione dell'Alta Valle del Tevere e si diffuse, in Umbria e nelle regioni circostanti, il culto per san Crescenziano e gli altri martiri di Saddi.

    Si ringrazia la Deputazione di Storia Patria per l'Umbria, nella persona del suo Presidente, il prof. Attilio Bartoli Langeli, per avere accolto i presenti atti all'interno del suo "Bollettino".

    Rispetto al programma mancano le relazioni di Emore Paoli su Storiografia e metodologia negli studi sull'agiografia umbra e di Simonetta Bernardi Saffiotti su Urbino fra alto e pieno medioevo. Il volume è stato arricchito del contributo di Francesco Rosi sulla pieve di Saddi.

    Andrea Czoktek e Pierluigi Licciardello

     

    San Crescenziano di Città di Castello

    Storia e culto di un martire dalle origini all'età moderna

     

    Atti del convegno di studi

    (Città di Castello, 26-27 settembre 2003-

     

    a cura di

    Andrea Czortek e  pierluigi Licciardello

     

    DIOCESI DI CITTA' DI CASTELLO

    2005

     

    Il libro si può acquistare presso l'Accademia Raffaello - Casa di Raffaello - al prezzo scontato di € 15,00

     

    SOMMARIO

     

    Andrea Czortek, Pierluigi Licciardello, Presentazione.

    Pag.     7

    Pellegrino Tomaso Ronchi, Saluto e introduzione al convegno

           9

    Andrea Czortek, La cristianizzazione dell'Alta Valle del Tevere e l'origine della diocesi di Città di Castello (secoli V-VII-

         13

    Gian Paolo G. Scharf, Città di Castello e il suo territorio nell'Alto Medio Evo (dal periodo longobardo all'XI secolo

          63

    Pierluigi Licciardello,  Culto e agiografia di san Crescenziano da Città di Castello a Urbino

         91

    Claudio Leonardi, Agiografia e culto di san Crescenziano

        169

    Mirko Santanicchia, L'iconografia di san Crescenziano

       175

    Stefano Del Lungo, Topografia dei luoghi più antichi del culto di san Crescenziano.

        191

    Francesco Rosi, La Pieve de' Saddi

        213

    Anna Benvenuti, Conclusioni

       243

    Indici

     

    Nomi di persona

        255

    Studiosi

        261

    Nomi di luogo

        267

    Manoscritti e documenti d'archivio

        277

     

     

     

      Culto e agiografia (biografia) di san Crescenziano da Città di Castello a Urbino

      di  Pierluigi Licciardello  (pp. 91-168)

     

    omissis omissis omissis

    La più antica biografia di san Crescenziano (col nome di Crescentino- è quella delle lezioni urbinati (testo II-. Il testo è posteriore alla translatio di Mainardo (1068-, certamente di molti decenni148, e anteriore all'anno 1360, perché in esso non si parla dell'inventio operata il 18 dicembre 1360 dal vescovo urbinate Francesco Brancaleoni149, che trova invece posto in tutte le lezioni posteriori. Molto probabilmente il testo era già stato scritto nel 1348, accompagnando gli altri testi dell'antifonario urbinate.

    Le lezioni urbinati 'antiche' dedicano cinque brevi pericopi alla vita e passione del santo (lez. I-V-, tre alla translatio del 1068 (lez. VI-Vili- e una ai miracoli del santo ad Urbino (lez. IX-. Il testo è redatto sotto forma di omelia (sermo- rivolta al popolo di Urbino150, città di cui il santo è detto più volte patrono. La biografia è molto generica, scarna, priva di dettagli. L'intento catechetico prevale di gran lunga su quello biografico. Ricorda la predicazione di Crescenziano a Città di Castello (lez. Ili- e l'ostilità di un anonimo princeps della città, che una prima volta minaccia il santo, infine lo fa giustiziare sottoponendolo a molteplici torture. Appare più dettagliata la Translatio, in cui sono messe in evidenza la stima e l'amicizia tra i vescovi Fulcone e Mainardo, e che si conclude con la legittima sottrazione'151 del corpo del santo da Saddi ad Urbino. L'ultima lezione ripete la circostanza, già accennata nell'ufficio (responsorio alla lez. II- e nell'inno Pangamus nunc carissimi (strofe 4-, di miracoli avvenuti post mortem sulla tomba del santo ad Urbino (guarigione di malati e di ciechi-. L'epoca del martirio non è specificata, ma l'inno Crescentini militia parla alla strofe 8 del furore di Massimiano, imperatore collega di Diocleziano dal 284 al 305. Nel testo non si trovano né la leggenda del drago (ma l'iconografia del santo a cavallo è documentata con certezza nell'antifonario del 1348, come abbiamo visto; nel sigillo del vescovo Carusi, negli stessi anni; nel bassorilievo della pieve di Saddi, qualche decennio prima152- né il nome del persecutore153.

    Il terzo testo in ordine di tempo, le lezioni appartenenti all'ufficio del Tiranni del 1567 (testo III ossia Passio Crescentini, BHL 1983-, presenta già pienamente formata la leggenda di san Crescenziano che, con minimi aggiustamenti, diverrà tradizionale, conservandosi fino ad oggi154. Questa Passio fu giudicata «molto recente» dal Lanzoni155, 'fittizia e favolosa', non più antica del VII secolo, dal Delehaye156. Il giudizio di Delehaye, che in qualche modo ne poteva lasciar ipotizzare un'origine antica (dopo il VII secolo-157, è passato nella Bibliotheca Sanctorum (1964-158 ed è stato accolto da Gianfranco Binazzi (1989-159. I Bollandisti ipotizzarono che la prima parte del testo, fino alla translatio del vescovo Mainardo (1068-, risalisse all'epoca di Mainardo stesso (prima metà del secolo XI- e fosse stata composta «ex traditionibus seu picturis», mentre il resto sarebbe stato aggiunto nel corso dei secoli160. In realtà il testo è interamente omogeneo dal punto di vista stilistico e contenutistico e cercare di estrapolarne un nucleo 'originale' appare operazione forzata e pregiudiziale.

    La narrazione comincia con l'indicazione dell'imperatore persecutore, Diocleziano, e finisce con la data esatta del martirio: 1 giugno 287. Nella prima lezione si parla dell'origine nobile del santo e della sua nascita a Roma. Da dove provengono questi dati così precisi, sconosciuti alle lezioni 'antiche'? Essi non sembrano dati 'autentici', ossia tratti da testi affidabili per antichità; somigliano troppo ai luoghi comuni dei quali è ricca l'agiografia medievale per non apparire come degli autoschediasmi, delle verosimiglianze fantasiose fatte passare per verità storiche dall'anonimo agiografo. Il tòpos della nascita nobile accompagna la biografia dei santi a partire dall'età merovingia (VII secolo- col fine di nobilitarne la figura, in una società aristocratica nella quale la santità è sinonimo di potere e prestigio161. La provenienza romana dei santi dell'Italia centrale, già constatata dal Lanzoni e da lui relegata al rango di leggenda162, era funzionale a ribadire i legami di parentela, più o meno lontani, tra la sede apostolica, garanzia di ortodossia, e le città nelle quali il santo finiva martirizzato.

    Giunto a Città di Castello per predicare il Vangelo163, Crescenziano trova la città infestata da un terribile drago, che ha scatenato una pestilenza su istigazione diabolica. Crescenziano salva i castellani con la predicazione e con le armi: affronta a cavallo il drago e lo uccide164. E l'episodio più celebre, rimasto lungamente impresso nella memoria collettiva, della vita del santo. Nell'immagine di san Crescenziano lanciato a cavallo contro il drago bisogna distinguere due componenti, la qualifica militare/cavalleresca di Crescenziano e la sauroctonia. La santità militare romana, nelle sue intersezioni e sincrasie con la santità cavalleresca medievale, è stata oggetto di studi molteplici nel corso degli ultimi cinquant'anni165. L'immagine della santità

    militare si evolve dalle origini cristiane al medioevo, passando dall'iniziale disprezzo per la militia secolare, antitetica alla militia cristiana, fino alla piena accettazione e rivalutazione della vita militare, tipica della società medievale fondata sull'ideale cavalleresco. In questo senso la 'colpa' del militare cristiano, per la quale è condannato al martirio, passa dal rifiuto delle armi (obiezione di coscienza- al rifiuto di sacrificare agli dei pagani (come nel caso di san Crescenziano-. Da dove sia nata la tradizione militare di san Crescenziano non è dato sapere. Forse si tratta di una deduzione operata a partire dal rinvenimento, nel sepolcreto di Saddi, di armi e oggetti di uso militare. La tradizione castellana seicentesca parlava in particolare della reliquia di un elmo {galea- o di una parte di esso, conservata nella pieve di Saddi, dotata della virtù miracolosa di alleviare l'emicrania166.

    L'uccisione del drago (sauroctonia o dragontomachia- è uno dei luoghi comuni più caratteristici dell'agiografia cristiana167. I referenti biblici immediati sono nel Vecchio Testamento (in Dn 14, 22-26 Daniele uccide un drago senza armi, dandogli da mangiare una focaccia di pece, grasso e peli- e nel Nuovo (in Ap 12, 3-9 l'arcangelo Michele sconfigge e abbatte il draco magnus rufus apocalittico-. Tuttavia la lotta contro un essere mostruoso, drago o altro animale che sia (Tierkampf-, non va considerato un simbolo esclusivamente cristiano, trovandosi invece, sotto varie forme e vari nomi, in mitologie e religioni diverse, da Febo-Apollo che vince il serpente (in greco Spmcoov- Pitico al dio egizio Horus-cavaliere che uccide il mostro Seth-coccodrillo o all'eroe Beowulf che uccide un drago (dal Beowulf anglosassone, poema epico del VII secolo-168. Un catalogo completo dei testi agiografici e mitologici nei quali si leggono uccisioni di draghi non è stato ancora realizzato169.

    Nell'agiografia dell'Italia centrale incontriamo questo episodio nella Vita di papa Silvestro (BHL 7725-7737-170, a cui forse attinge la Vita di Mercuriale vescovo di Forlì (BHL 5932-m. In entrambi i casi il drago è fermato con una preghiera-esorcismo, legato e rinchiuso in una grotta (Silvestro- o gettato in un pozzo (Mercuriale-. Nella Passio di Donato di Arezzo (BHL 2293-2294-m, nella Vita di Senzia di Blera e Mamiliano di Montecristo (BHL 7581, due volte-173 invece il drago è ucciso con un colpo di bastone o di frusta {baculó-. Nella leggenda di Mauro e Felice di Spoleto, fondatori dell'abbazia di San Felice di Narco, Mauro uccide un drago che infesta quel territorio tagliandogli la testa con un'arma174. Nella Vita di san Lorenzo Siro, fondatore di Farfa, un draco pestifer è scacciato, non ucciso, dal santo175. In tutti questi casi però siamo ancora lontani dalla leggenda cavalleresca: san Donato di Arezzo ad esempio procede a dorso d'asino, secondo il modello cristico dell'ingresso messianico in Gerusalemme il giorno della Domenica delle Palme. Archetipo della tradizione cavalleresca sono invece le

    Passiones di Giorgio (BHL 3363-3406-m e di Teodoro (BHL 8084-177, che sembra attingere dalla prima. Esse rendono celebre l'episodio-iconografia del santo a cavallo lanciato contro il drago, che tuttavia non si trova nelle versioni originali ed è attestato solamente a partire dal secolo XII. Essa fu portata in Europa dalla Palestina dai crociati e divulgata grazie soprattutto alla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze (1230 ca.-1298-, vero e proprio best-seller della letteratura agiografica medievale178.

    Del significato della sauroctonia in ambito cristiano sono state date diverse interpretazioni. La prima è quella realistico-oggettiva, per cui il drago è un autentico mostro naturale, quale vediamo rappresentato in tante raffigurazioni medievali e posteriori. Interpretazione elementare e per questo amata tanto a livello popolare quanto colto: si pensi che ancora a metà '800 era accettata dal Muzi179. All'interpretazione realistica si affianca presto quella metaforica, per cui il drago è simbolo delle forze malvagie, in primo luogo del demonio stesso. In epoca di evangelizzazione (o in riferimento ad essa-, il drago-demonio rappresenta il culto pagano degli idoli, fiorente nelle città romane. Così anche nelle lezioni urbinati del 1567 e nei Bollandisti. La lotta del santo contro il drago, conclusa dalla sua vittoria, rappresenta quindi l'evangelizzazione, la vittoria di Cristo sugli dei pagani. Tale interpretazione appare particolarmente pertinente nel caso di draghi 'urbani', legati a comunità cittadine.

    Per Mircea Eliade invece quello del drago è un archetipo, un mito cosmogonico comune a molte tradizioni arcaiche; esso rappresenta la forza della natura primordiale intatta, non contaminata dall'uomo, dalla 'storia'180. L'interpretazione di Eliade è ripresa e applicata all'agiografìa altomedievale da Jacques Le Goff181, seguito da Alba Maria Orselli182: la sauroctonia rappresenta la conquista di nuovi territori da parte dell'uomo, che li strappa all'elemento naturale uccidendo ritualmente il mostro che infesta il luogo. Questa interpretazione appare pertinente soprattutto nel caso di draghi abitanti in luoghi acquatici e inospitali (paludi, acquitrini, ma anche laghi, fiumi e fonti-. Si vedano ad esempio, oltre al san Marcello di Parigi citato da Le Goff, i casi di Marta, che secondo la Vita BHL 5545-5546 incanta con un esorcismo e lega con la sua cintura un drago che infestava le rive del fiume Rodano183, del vescovo Narciso di Augsburg, che uccide un drago abitante presso una fonte d'acqua (Passio Afrae, BHL 108-109-m, e del già citato Donato di Arezzo (BHL 2293-2294-, che uccide un drago che avvelenava con la sua presenza una fonte.

    Nel caso di san Crescenziano tuttavia siamo in presenza di un ulteriore elemento, che modifica il quadro interpretativo sopra delineato. Infatti nella pieve di Saddi erano conservate fino a poco tempo fa185 delle ossa gigantesche, che si diceva fossero le ossa del drago ucciso da san Crescenziano. Si trattava con tutta verosimiglianza di costole di un animale preistorico, un mastodonte o una balena, riaffiorate casualmente da terra in epoca imprecisata. Le ossa furono viste dai Bollandisti, che le riconobbero immediatamente come ossa di elefante186. Il fenomeno della conservazione in una chiesa, come se si trattasse di un museo, di ossa di dimensioni eccezionali, scambiate come ossa di draghi o di altri mostri, non è limitato a Saddi: Umberto Cordier ne conosce molti altri casi in Italia187. Allo stato attuale delle conoscenze non è dato sapere se

    le ossa furono interpretate come quelle del drago di san Crescenziano, di cui esisteva già le leggenda, o se invece fu proprio la scoperta delle ossa a mettere in moto la fantasia, portando alla nascita della leggenda del drago. La fortuita scoperta di ossa fossili di un animale preistorico, dunque, potrebbe aver provocato la nascita della leggenda del drago, che ci è nota del resto solo dal secolo XIV.

    Liberata la città dal drago, Crescenziano la conquista alla fede con la predicazione, indefessa e dolcissima («constanti mellifluaque»-, con una vita eremitica condotta in una celletta («in cellulam quamdam»- presso la città e con un'intensa attività taumaturgica. Si tratta di virtù caratteristiche della santità cristiana di ogni epoca, facilmente applicabili anche ad un modello martiriale antico. In questa sezione della Passio il dettato è rapido, sbrigativo, senza dettagli; segno che l'agiografo non aveva materiale concreto su cui costruire la sua narrazione188. Il tema della predicazione evangelica è svolto sbrigativamente, sulla scorta del noto passo evangelico della lucerna ardente che non può essere nascosta (Me 4, 21-, quasi in sordina rispetto all'azione più propriamente miracolistica.

    La fama di Crescenziano diventa ben presto tale da giungere agli orecchi dell'imperatore Diocleziano, che incarica il prefetto dell'Etruria, residente allora a Città di Castello, Fiacco (Flaccus-189, di perseguitare i cristiani. Il prefetto fa arrestare Crescenziano e condurre nel foro190, dove gli impone di sacrificare agli dei pagani. Di fronte al rifiuto del santo, Fiacco lo fa porre su una pira ardente, ma Crescenziano ne esce illeso191. Allora il persecutore lo fa prima trascinare per le vie cittadine, infine decapitare192. Il corpo del santo, raccolto di notte dai cristiani della città, viene sepolto a Saddi, dove secoli

    dopo sostarono e vollero essere sepolti dove i santi castellani Florido e Amanzio193.

    Il nome del persecutore, Fiacco, troppo generico per essere identificato in un personaggio storico documentato, compare anche nel ciclo agiografico romano dei santi Nicomede, Petronilla e Felicula, Nereo e Achilleo, Domitilla e compagni (BHL 2257, 2789, 2856, 6058-6066, 6237-6238-. Tutti questi martiri cadono sotto l'imperatore Massimiano. Compare anche nella Passio umbra di Gregorio di Spoleto (BHL 3677-194, martire sempre al tempo di Massimiano, e in quella del martire umbro Terenziano di Todi (BHL 8003-195. E interessante notare che Nicomede, caduto martire secondo il Martirologio Geronimiano il 15 settembre196 (così anche nella versione forse più antica della Passio, BHL 6237-, è venerato anche il 1 giugno, anniversario della dedicazione di una basilica a Roma agli inizi del secolo VII197 (data passata alla versione BHL 6238 della Passio-.

    L'ufficio del Tiranni stabilì infine per la prima volta la data esatta del martirio del santo198 all'anno 287, secondo anno dell'impero di Diocleziano199. Tale data fu accolta dal Manassei (1613/1627-. Il Conti invece preferì l'anno 297, dodicesimo dell'impero di Diocleziano, nel quale fu particolarmente violenta la persecuzione contro i militari cristiani. Il Baronio nel Martirologio (1585-1586- preferì invece l'anno della grande persecuzione di Diocleziano, la decima (303-, seguito dallo Jacobilli (1647-. Più generici le lezioni castellane (1654- e Wadding (1657-, che si limitarono a datare il martirio sub Diocletiano. La data del 303, accolta dal Certini, è divenuta in un certo qual modo la più autorevole, ma, come si vede, ferma restando la datazione agli anni delle persecuzioni di Diocleziano (287/303-, mancano

    documenti incontrovertibili e non c'è accordo tra gli studiosi. Occorre però ribadire che anche la datazione sub Diocletiano non riposa su alcun dato certo ed è attestata unicamente dalla tradizione agiografica.

    L'ufficio del Tiranni continua con il lungo resoconto (il testo occupa le ultime due lezioni, la V e la VI- della translatio da Città di Castello ad Urbino nel 1068. Vi si legge un episodio inedito: durante il viaggio di Mainardo verso Urbino il popolo di Città di Castello, venuto a conoscenza della sottrazione delle reliquie, esce dalla città armato («cum armatorum hominum manu»- per recuperarle. Ma, sul punto di raggiungere il corteo vescovile, una nube bianca avvolge Mainardo e i suoi, salvandoli dal nemico e rinnovando in un certo qual modo il miracolo biblico della fuga degli Ebrei dall'Egitto (cfr. Es 14, 19-20-. Infine Mainardo arriva ad Urbino, dove edifica un tempio al nuovo santo protettore. Per questa sezione l'ufficio del Tiranni attinge dalle lezioni urbinati, sintetizzandole, ma aggiungendovi il motivo encomiastico delle molte vittorie conseguite dagli urbinati sotto il vessillo del santo.

    Segue il resoconto della inventio del vescovo Brancaleoni, operata il 18 dicembre 1360 a causa del raffreddamento della fede popolare. L'ufficio si conclude con un solenne elogio della città e del popolo di Urbino. Forse proprio in questo suo spiccato municipalismo, per quanto mai polemico, mai antagonista con Città di Castello, risiede il carattere originale dell'ufficio del Tiranni, che è, come dicevamo, la prima fissazione completa e affidabile della leggenda del santo nella forma che diverrà tradizionale, ma anche un elogio della città favorita dal santo e un percorso a ritroso nella memoria storica, una risalita alle origini della chiesa urbinate.

    Rispetto ai testi più antichi (I-III-, i più recenti offrono minori spunti di interesse per la biografia di san Crescenziano, ormai stabilmente codificata, ma non è da sottovalutare il loro peso per la storia delle chiese locali, in particolare di quella castellana. Mentre la tradizione urbinate risale al secolo XVI, quella castellana appare in ritardo: per assistere ad un rilancio del culto di san Crescenziano a Città di Castello dobbiamo infatti attendere l'epoca moderna. La prima biografia 'castellana' del santo è quella inedita del Manassei (testo VI-, inserita nelle sue vite dei santi di Città di Castello, del 1613/ 1627. Il Manassei dimostra di conoscere l'ufficio urbinate del Tiranni, da cui copia, con poche differenze. Il nome del santo ritorna da

    Crescentino a Crescenziano (Crescentianus-, come diventerà tradizionale a Città di Castello; la translatio ad Urbino, sezione del testo dove più forti erano i riferimenti alla città marchigiana, è molto ridotta, trattata in modo sbrigativo; in fine della biografìa trova spazio la notizia inedita della translatio della testa del santo a Città di Castello nel 1613 (su cui vedi sopra-.

    Dalla Vita del Manassei attingono certamente (non mancano i richiami letterali-200 gli uffici di Città di Castello del 1654 (testo X-, nei quali la translatio ad Urbino è ancora più ridotta. La translatio viene invece recuperata nell'ultima versione urbinate della biografìa del santo, l'ufficio del Wadding del 1657 (testo XI-, per il resto molto simile agli uffici di Città di Castello. In esso si trova la definitiva spiegazione della doppia forma del nome, un 'piccolo errore' (modicus error- degli urbinati nato in occasione della translatio verso la loro città201.

    L'immagine preferita del santo nella tradizione castellana dal secolo XVII in poi è, com'era prevedibile, quella dell'evangelizzatore e del martire. Queste due caratteristiche della vita di Crescenziano furono particolarmente apprezzate, mentre la translatio ad Urbino, episodio storico forse non troppo glorioso, rivestì minore interesse.

    Le successive biografie del santo non apportano novità sostanziali alla leggenda ormai formata e si configurano piuttosto come studi storico-critici o divertissements letterari, composti secondo il gusto altisonante della retorica barocca.

     

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    S. CRESCENTINO PATRONO Urbino e Città di Castello

    URBINO - La festa di San Crescentino cade il primo giugno. Una festa che tutti gli urbinati sentono in modo particolare, come dimostra l'alta partecipazione alla processione che si snoda nel centro storico della città. Quest'anno l'Arcidiocesi di Urbino, Urbania e Sant'Angelo in Vado con l'Accademia Raffaello fanno precedere alla ricorrenza, un evento culturale di notevole spessore. La presentazione del libro (il 25 maggio alle 17.30- "San Crescenziano di Città di Castello: storia e culto di un Martire dalle origini all'età moderna". In una sede prestigiosa: la casa natale di Raffaello. Il libro, curato da Andrea Czortek e Pierluigi Licciardello, raccoglie gli Atti del Convegno tenutosi a Città di Castello il 26 e 27 settembre 2003. Ripercorre la via della cristianizzazione nell'Alta Valle del Tevere, al tempo della decadenza dell'Impero Romano. Ed il ruolo dei Martiri, tra i quali San Crescenziano (o Crescentino-. Partendo dalla nuova distrettuazione amministrativa fino all'affermazione e diffusione del culto di questo Martire che, con il vescovo Mainardo (1058- approda in Urbino. Con i curatori del volume, il libro sarà presentato dall'Accademico prof. Sergio Pretelli, dell'Università degli Studi "Carlo Bo".

    (Foto: S. Crescenziano uccide il drago - Marco Benefial 1747-49 - Presbiterio del Duomo di Città di Castello-

     

    Nel Duomo di Città di Castello

    Città di Castello insieme ad Urbino condivide il culto e la protezione del martire Crescentino. Evangelizzatore insieme con altri compagni dell'alta valle del Tevere ed in particolare dell'antica Thifernum Tiberinum, secondo la "Passio" subì il martirio sotto l'imperatore Diocleziano presso la Pieve dei Saddi ad una distanza di circa 20 chilometri da Città di Castello. Numerose sono in questa città e nel territorio della sua Diocesi le testimonianze iconografiche

    sul martire che 1 tiiernati chiamano Crescen-ziano" e che celebrano il 2 giugno. Sentita è ancor oggi dalla devozione popolare la memoria del Santo che si manifesta con la partecipazione alla liturgia nel giorno della festa e nella richiesta di "fare il cerchiello'cioè di ricevere sul capo la reliquia di una parte del cranio per essere liberati da mal di testa. A Pieve dei Saddi, come nel santuario mariano del Belvedere, così nella chiesa della Madonna del Buon Consiglio e nell'Oratorio di Morra sono visibili le testimonianze pittoriche che celebrano il martire Crescentino. Ma è soprattutto la bella e imponente cattedrale tifernate che ne custodisce la memoria. In essa se ne invoca la protezione insieme a tutti gli altri santi martiri, confessori, pastori, laici, religiosi e religiose di cui è ricca la Chiesa di Città di Castello, che mostra una particolare venerazione per il suo apostolo, dal quale è stata fecondata con il seme del Vangelo ed irrorata dal sangue del suo martirio.

    Nella rinascimentale basilica cattedrale possiamo scorgere un vero e proprio itinerario iconografico su san Crescentino che ne descrive le fasi salienti della vita, come la "Passioni ha tramandato.

    Fabio Bricca

    da:  Il nuovo  amico del 20 maggio 2006

     

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    San Crescentino (Crescenziano)  -  patrono di Urbino