MAGGIO 2008 Martedì 20 Ore 16.00 Dott.ssa Lorenza Mochi Onori
“La cultura romana del Settecento” Il Settecento si apre sotto il segno dell’Arcadia, l’accademia letteraria nata nel 1690 come ritorno a una norma illustre, alla ragionevolezza, al buon gusto contro le esuberanze del tardo barocco. L’Arcadia e l’Accademia di San Luca guidano questo rinnovamento. La città si trasforma sotto il pontificato di Clemente XI Albani, arricchendosi di impianti architettonici come il Porto di Ripetta, la Piazza del Pantheon, l’Ospizio del san Michele e con il restauro di molte chiese paleocristiane. Si trasforma anche la pittura, grazie a maestri come Chiari, Luti e Trevisani. Il “Settecento d’Arcadia” è profondamente innovatore ed educativo, con la sua costante attenzione ai contenuti. Il promotore più autorevole di questo rinnovamento sarà il coltissimo papa Albani che riunisce attorno a sé una corte di artisti, scienziati, archeologi, letterati. Tra questi, l’eccentrico cardinal Pietro Ottoboni che scelse di vivere per quarant’anni su una scena mondana dove musica, teatro, arredi preziosi e grande pittura si mescolano in una cornice di ineguagliabile ricchezza. L’Accademia di Francia a Roma, voluta da Luigi XIV perché gli artisti francesi potessero formarsi con lo studio delle antichità e della grande pittura italiana, s’insedia nel 1725 nel prestigioso Palazzo Mancini sul Corso, potenziando la sua attività sotto direttori intraprendenti, primi fra tutti i pittori Wleughels e Poerson. Per le sue sale transitarono per tutto il secolo generazioni di artisti destinati a grande successo dopo il ritorno in patria. Il prestigio dei rappresentanti a Roma della corte di Francia, primo fra tutti il brillante e fastoso cardinal De Polignac, assicurava all’istituzione visibilità e fama. La scena di soggetto sacro tradizionale nella cultura figurativa romana subisce nei primi trent’anni del secolo un’evoluzione profonda. Lo spunto religioso si carica di nuove istanze storiche, politiche, o prepotentemente veristiche. Queste nascono con evidenza da una nuova attenzione al fatto di cronaca e alle problematiche sociali che emergono a Roma, come nel resto d’Europa, sulla scia delle istanze del nascente Illuminismo. La storia e la cronaca forzano i limiti dell’iconografia sacra e portano le istanze dell’attualità prepotentemente alla ribalta. Nella sua veste di capitale pontificia, ma anche di crocevia internazionale della cultura, Roma vive nel ‘700 una stagione straordinaria. Dopo il 1710 si riaprono le scene, chiuse per un decennio, e riprende un’attività poliedrica che va dalle commedie, alle favole pastorali, agli oratori, ai drammi, tutti accompagnati da musica. Il teatro alla Pace, l’Alibert, il Capranica, e, dopo il 1732, l’Argentina sono i luoghi canonici di questa vera e propria passione per la scena. Anche il gioco, attività sociale per eccellenza, esce dai salotti per scendere in piazza con il Lotto, istituito da Clemente XII nel 1731 per raccogliere fondi a scopo benefico, e subito divenuto passatempo quotidiano. Per le feste si creano scene, apparati effimeri, argenti ed abiti come il magnifico vestito da sposa con lungo strascico, in seta, pizzi e ricami di argento e strass, creato per la nipote di un alto prelato. Il moltiplicarsi dei contatti commerciali con l’Oriente e l’interesse per la geografia condiviso da molti personaggi della corte pontificia, come il cardinal Domenico Passionei, grande collezionista di carte e portolani e di reperti esotici, porta alla ribalta il gusto per stoffe, decorazioni e mode di foggia orientale. Non è un caso che nel Carnevale del 1748 i “pensionnaires” dell’Accademia di Francia partecipino alle mascherate sul Corso per il Carnevale, in abiti orientali, titolando il corteo “La carovana del sultano a la Mecca”. Anche i papi, da Benedetto XIV a Clemente XIII, si appassionano alla raccolta di vasi orientali. L’Oriente, nel secolo dei Lumi è visto soprattutto come miniera inesauribile di spunti fantastici e decorativi, e diviene un luogo classico dell’immaginario collettivo che condiziona tutti i campi delle arti, ma trova il suo campo d’azione soprattutto nelle arti decorative. L’archeologia entra con prepotenza anche nella politica pontificia con la nascita di istituzioni dedicate allo studio e alla tutela delle antichità. Clemente XI Albani, affiancato dal grande archeologo Francesco Bianchini, amplia e rinnova la collezione vaticana con reperti di chiara finalità documentaria: iscrizioni, rilievi, busti di personaggi illustri utili a testimoniare una continuità fra storia antica e tradizione cristiana. Con Clemente XII Corsini nel 1734 si giunge alla creazione del primo museo pubblico di antichità, il Capitolino, con lo scopo di preservare la città dalla sistematica dispersione di reperti di fondamentale importanza. E’ all’archeologo fiorentino Gregorio Capponi che viene affidata la direzione del museo. L’accrescimento del Museo Capitolino continuerà con Benedetto XIV grazie a continui scavi e rinvenimenti di sculture di altissima qualità. Il clima cosmopolita della città si accentua nella seconda parte del secolo con l’arrivo da tutta Europa di artisti, collezionisti, antiquari, letterati. Per questo pubblico nuovo e in crescita la classicità diviene anche un fenomeno commerciale che vede moltiplicarsi la compravendita di anticaglie.Tra i protagonisti di questo clima culturale troviamo Winckelmann, Commissario delle Antichità, ispiratore del progetto all’antica di Villa Albani e amico del pittore Mengs.Tra i forestieri la colonia degli inglesi è la più numerosa. Diviene infatti sempre più frequente il viaggio di formazione a Roma intrapreso da giovani nobiluomini, i cosiddetti “milordi” che amano farsi ritrarre nel corso del loro soggiorno romano. A Batoni si deve la creazione di un repertorio preciso che riprende il viaggiatore illustre a figura intera, sullo sfondo di una natura luminosa, animata dalla storia e dalla presenza di resti classici famosi. L’amore per il mondo classico e il desiderio di ritrovare le radici del passato incidono anche sulle tematiche rappresentate portando a prediligere i soggetti romani o omerici visti come esempi di virtù morali. Dai soggetti mitologici traspare ora il valore eroico delle azioni di un’umanità superiore: Bacco, Arianna, Meleagro, Psiche, Prometeo, Ercole, Perseo Andromeda, protagonisti delle opere di questa sezione, esempi tutti di scelte estreme e gesti eroici. Le grandi tematiche morali si vanno diffondendo in un momento in cui il dibattito delle idee si fa sempre più vivace e articolato e si moltiplicano i trattati sull’arte. Da questa interpretazione rigorosa e civile delle radici del passato nascerà il fenomeno del Neoclassicismo di cui Canova esprime l’essenza più profonda e meditata. Gli ultimi trent’anni del secolo vedono la nascita di un nuovo grande museo, il Museo Pio Clementino, iniziato per volere di Clemente XIV e terminato in maniera splendida da Pio VI Braschi. Visitatissimo dai tanti viaggiatori del Grand Tour, il museo presentava, in una grandiosa architettura all’antica, opere divenute poi famosissime che si diffondono anche nelle riproduzioni e nelle arti decorative. Ma nel suo lungo pontificato Pio VI si dedica anche alla trasformazione in senso moderno della città, conferendole un nuovo assetto razionale. Lo testimonia la creazione di Piazza del Popolo, su progetto di Valadier che dota Roma a nord di un ingresso monumentale e scenografico. L’attenzione del papa si rivolge anche ai dintorni di Roma, oggetto di ricerche e studi per la bonifica dei terreni e il loro recupero all’agricoltura, in una visione moderna e civile del proprio governo temporale. La scena dipinta da Ducros con il Papa Pio VI in visita alle paludi pontine, testimonia questo clima già attento al sociale. "Posso dire che solo a Roma ho sentito cosa voglia dire essere un uomo. Non sono mai più ritornato ad uno stato d’animo così elevato, né a una tale felicità". Così scrive Goëthe al suo rientro definitivo in patria nel 1788. Un frase, questa, che rivela tutta la suggestione esercitata da Roma verso artisti e poeti stranieri, molti di questi francesi, tra cui David. Anche lo svizzero Füssli è a Roma dal 1770. La storia, non più paradigma ideale, diviene sentimento visionario nei suoi disegni, ispirati alla letteratura e venati di una sottile melanconia. Le sue fonti sono i grandi poeti del passato: Milton, Shakespeare, Dante, in un preannuncio di Romanticismo, condiviso anche da alcuni artisti italiani tra cui Cades e Giani.
Giuseppe Cades - Il simbolo della sapienza divina tra la Teologia e lo stemma di Pio VI La cultura romana di fine secolo è densa di fermenti, non solo per il clima cosmopolita che vi si respira ma anche per la presenza di personaggi anticonformisti e eccentrici nello stesso ambiente curiale. Primo fra tutti il Principe Sigismondo Chigi, personalità imprevedibile in odore di massoneria e sostenitore di correnti di pensiero radicali. Tratti analoghi di eccentrico anticonformismo caratterizzano anche l’abate Onorato Caetani, la cui inquieta intelligenza lo rese insofferente verso il mondo della curia e aperto ai vari interessi dell’eclettica cultura del momento. Una Roma trasfigurata dalla repubblica napoleonica è quella che compare nei dipinti di Giani che celebrano la festa giacobina, preludio a quella dimensione imperiale e sovranazionale dell’Europa napoleonica.
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