MARZO 2008 Lunedì 31 Ore 16.00
Dr. Alessandro Marchi
UNO SGUARDO SUL TRECENTO NELLE MARCHE LA PITTURA DEL SECOLO DI GIOTTO NELLE TERRE TRA ADRIATICO ED APPENNINO
La presenza documentata di Giotto a Rimini, sullo scadere del secolo Tredicesimo, diede vita ad uno fra i più importanti fenomeni artistici del passato: la cosiddetta scuola riminese del Trecento.
Giotto dipinse a Rimini, nella chiesa di san Francesco, un importante ciclo d’affreschi, che si tende a pensare illustrassero le Storie di Cristo, concentrate sugli eventi della Passione, intorno ad una Crocifissione monumentale, affollata e ricca di episodi collaterali. Purtroppo la riforma malatestiana della chiesa, perpetrata a metà quattrocento da Sigismondo Pandolfo Malatesta, ha cancellato quegli affreschi; ed oggi noi ne assaporiamo il valore dalle numerosissime opere che i pittori di Rimini ne hanno tratto, divenendo quel ciclo linfa vitale e motivo d’ispirazione per tutta la scuola pittorica riminese.
I pittori di Rimini, che conosciamo per nome (si chiamavano Foscolo, Giuliano, Giovanni, ed erano fratelli carnali), impararono l’arte sui palchi della chiesa di San Francesco in Rimini, accanto a Giotto, e la propagarono in un vasto ambito territoriale, dapprima intorno la città adriatica, poi in Romagna ed in Veneto, quindi nelle Marche, che è la regione più recettiva, in cui si annoverano numerose le intraprese pittoriche di schietta marca “riminese”. Le Marche vennero profondamente sollecitate dal novissimo linguaggio pittorico”riminese”, di squisita ed inedita origine “giottesca”, e furono, per così dire colonizzate in toto, da nord a sud, dalla presenza di tavole e soprattutto d’affreschi dipinti dai pittori originari di Rimini.
Sulle orme di Giovanni Baronzio, registriamo ad esempio,
formato l’eloquio vivace ed originale di un pittore che conosciamo col
nome convenzionale (imposto dalla critica) di Maestro
dell’Incoronazione d’Urbino, attivo tanto nell’entroterra di Fano quanto
nella stessa Urbino, così a Fabriano. A seguire, abbiamo poi una serie di artisti, che le vicende storiche tendono a lasciare nell’anonimato, tra cui distinguiamo il grande maestro attivo nell’Abbazia di San Biagio in Caprile, il cui nome convenzionale di “Maestro di Campodonico” va forse sostituito con il nome reale di Bartoluccio da Fabriano, pittore altrimenti conosciuto in carte e documenti. Quest’ultimo autenticamente marchigiano, per una sua vena peculiare di eloquio pittorico, efficacemente originale nella commistione di linguaggio scaturita dalla conoscenza della pittura assisiate (in particolare del senese Pietro Lorenzetti), accanto ad un substrato riminese, unito ad un ‘feroce’ espressionismo di marca, per così dire, appenninica. Il Maestro di Campodonico costituisce la testa di ponte di una cultura pittorica autenticamente marchigiana, che annovera numerosi epigoni e figure minori, accanto a pittori come il Maestro del Polittico di Ascoli, attivo tanto ad Ascoli Piceno come a Camerino, che costituiscono lo snodo verso i ‘cosiddetti’ Maestri di Offida, che sono l’apertura alla cultura gotico-internazionale.
Pertanto un paesaggio variegato e complesso, che attraverso le immagini si tenterà di chiarire, in questa conversazione che rappresenta, in sostanza, un invito all’esplorazione della nostra bellissima regione marchigiana (le Marche, appunto al plurale, in cui diversità e alternative costituiscono l’eccellenza).
Alessandro Marchi
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