PASQUALE ROTONDI IL R. ISTITUTO DI BELLE ARTI DELLE MARCHE IN URBINO FELICE LE MONNIER - FIRENZE - MCMXLIII-XXI
II - VITA DELL’ ISTITUTO
Era però questa medesima eccezionale singolarità che rendeva difficoltosi i primi passi della nuova scuola. Non si trattava infine, come poteva sembrare, di mutare soltanto nome; ma questo mutamento presupponeva tutta una sostanziale riforma e l'istituzione di un nuovo impianto, la cui realizzazione non era né facile né economica. Occorreva, come era enunciato nello stesso progetto ministeriale, che agli allievi fosse data una preparazione complessa e profonda in tutto ciò che costituisce la decorazione e la illustrazione del libro: e ciò comportava un adeguato impianto di officine e di laboratori che non potevano certo essere improvvisati. Maggiore lode spetta pertanto alla Presidenza, alla Direzione ed a quel primo nucleo d'insegnanti che, nei primi anni della nuova scuola, riuscirono tuttavia — vincendo ristrettezze ed ostacoli — ad ottenere risultati ben concreti e fecondi. [1] I primi impianti di tipografia furono ben presto realizzati, sia pure in forma rudimentale, e contemporaneamente ad essi presero anche vita i tre laboratori di xilografia, di calcografia e di litografia. I corsi furono, fin dall'inizio, due: inferiore e superiore, ciascuno dei quali avente la durata di tre anni. Non troppo complesso il programma d'insegnamento. Nel corso inferiore, accanto al disegno di ornato, al disegno architettonico, allo studio della prospettiva e teoria delle ombre, all'anatomia artistica, ecco primeggiare l'insegnamento del disegno e della plastica dei caratteri. Nel corso superiore la xilografia e i fregi tipografici, la litografia e la decorazione del libro, la calcografia e la illustrazione del libro sono altrettanti insegnamenti che indicano invece un indirizzo meno generico e più diretto ai fini precipui dell'Istituto, così come si può riscontrare nei programmi delle materie culturali, che erano generici nel corso inferiore (italiano, storia, geografia, matematiche, scienze, storia dell'arte e del costume); mentre divengono più specifiche nel corso superiore (storia dell'incisione, storia dei costumi, chimica dei colori), con un completo e strano abbandono della letteratura italiana, della storia, ecc.[2] Un corso libero di disegno decorativo ed un corso preparatorio di disegno elementare completavano la fisionomia didattica dell'Istituto del Libro nel suo primo fiorire. Ma ecco, fino da quei primi albori di vita, concretarsi negli insegnanti e nella direzione desideri di più precisi indirizzi: 1) che l'insegnamento nel corso inferiore dovesse essere rivolto, dati i suoi scopi, a fini più pratici e che perciò dovesse essere maggiormente sviluppato tutto il reparto della tipografia; 2) che la composizione illustrativa fosse maggiormente curata e che, nei corsi superiori, accanto all'insegnamento della figura e del paesaggio, fosse letta dall'insegnante agli alunni una novella e quelli fossero gradatamente iniziati alla sua illustrazione. [3] La scuola trovava insomma fin dall'origine gradatamente se stessa. Ma del libro, del libro come complesso monumentale da fare intendere agli allievi incitandoli a trovarne la forma ed il significato, ancora non si parlava, né forse, a considerare bene la cosa, era possibile parlarne. Perché ciò fosse infatti realizzabile, era necessario un perfetto connubio tra sezione tipografica, laboratori d'incisione e sezione culturale; era necessario un perfetto coordinamento tra le singole materie insegnate; ne è certo imputabile a colpa se ciò non era ancor visto dalla Direzione in quei primi anni di lavoro. La Direzione piuttosto [4], seguendo gl'indirizzi della Presidenza, aspirava si ad una produzione libraria, ma ad. una produzione che non fosse un derivato diretto dell'insegnamento. Si pensava cioè a creare delle ricche « edizioni Urbinati » che dovevano avere con la loro rarità l'unico compito di rappresentare la vita dell'Istituto in una ristretta cerchia di bibliofili eletti: edizioni che non dovevano essere un prodotto degli alunni, ma — come poi furono — un prodotto degli insegnanti. Così pure non si parlava ancora, in quegli anni lontani, di un adeguato impianto del laboratorio di rilegatura, che invece era stato previsto nel progetto ministeriale. Ma è altresì naturale che tali sviluppi potessero verificarsi soltanto gradatamente, man mano che la scuola, su cui pesavano tutte le prime spese d'impianto, realizzava nuove economie e nuovi contributi. È infatti da notare che, se con la successiva regificazione dell'Istituto venivano anche ad esso assegnate nuove disponibilità, nel 1925, quando la scuola cominciava a funzionare nel suo nuovo indirizzo, le somme disponibili erano ancora quelle di cui in precedenza essa era dotata. Somme che non erano davvero sufficienti per alimentare, non solo, ma addirittura per impiantare il nuovo organismo. A maggior ragione va dunque riconosciuto e lodato l'ardimento di chi, sfidando un tale stato di cose, volle egualmente dar vita ad una creatura che poi doveva affermarsi con tanti buoni frutti. Né questi si fecero attendere a lungo: anzitutto attraverso pubblici riconoscimenti ottenuti in manifestazioni regionali, come ad esempio nelle Mostre tenute nel 1926 e nel 1927 a Pesaro con larga partecipazione di opere d'insegnanti e di alunni, e quindi col più alto riconoscimento dello stesso Ministero dell'Educazione Nazionale che volle, nel 1928, procedere finalmente alla regificaziome dell'Istituto, dando, con quest'atto, il maggiore impulso alla sua medesima vita. Col Regio Decreto 9 dicembre 1928-VII, n. 3063, [5] non si procedeva infatti soltanto al riconoscimento della già esistente scuola, ma si stabilivano nuove e valide basi per il suo successivo fiorire; anzitutto incrementandone il lato economico con un contributo statale di L.198.277,50, a cui sono da aggiungere le L.16.555,20 dovute dalla Provincia di Pesaro e Urbino, le L.19.102,50 dovute dal Comune di Urbino, le L.5.094 dovute dal Consiglio Provinciale dell' Econonia di Pesaro, le L.2.000 dell'Amministrazione della Cappella Musicale di Urbino, le L.20.000 a carico del Fondo per il Culto, le L.1.702,40 a carico del bilancio universitario provinciale, le L.638,40 del bilancio comunale di Urbino ed infine le L.1.000 del Collegio « Raffaello » di Urbino. Ma dove il R. Decreto in parola — avente effetto dal 1° novembre 1924-III — contribuiva ancor più validamente ad assicurare la vita dell'Istituto era nelle disposizioni emanate nell'annesso Statuto, nel quale sono date precise norme riguardanti il personale insegnante ed amministrativo, oltre al riconoscimento della necessità che le officine della scuola fossero ordinate in modo appropriato alle sue finalità artistiche e professionali. Fu proprio in dipendenza di tale disposizione e dei conseguenti provvedimenti che si rese possibile l'inizio di un'attività editoriale dell'Istituto, destinata a prendere sempre più larghi sviluppi. Come però s'è già detto, questa prima attività non era collegata all'insegnamento che nell'Istituto si faceva, nel senso che essa non costituiva il frutto diretto di quell'insegnamento. Si trattava invece del prodotto isolato di qualche insegnante o del medesimo Direttore, come infatti avvenne nel fascicolo Le aquile feltresche di Bruno da Osimo, stampato nel 1928, e nei due volumi Brani scelti del Cortigiano, a cura di Luigi Renzetti e San Francesco Santo d'Italia di Dario Lupi, comparsi rispettivamente nel 1928 e 1929 con xilografie di Aleardo Terzi. Fu soltanto qualche tempo dopo, e precisamente dal 1930 in poi, [6] che la produzione libraria s'identificò quasi unicamente nei lavori stessi degli alunni e cominciò quindi a rappresentare l'indice più sicuro del valore e dell'efficacia dell'insegnamento impartito. [7]
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S'iniziava effettivamente col 1930 un'epoca davvero propizia all'attività ed al successo dell'Istituto. Il medesimo Ministero dell'Educazione Nazionale dimostrava d'interessarsi con la più amorevole cura della nostra scuola e decretava, il 7 agosto 1930-VIII,[8] che in essa, per il successivo anno scolastico, fossero istituiti corsi biennali di perfezionamento nelle singole specializzazioni professionali, autorizzando, con successivo Decreto 14 ottobre 1930-VIII, [9] che agli alunni, risultati idonei agli esami finali di tali corsi, fosse rilascialo un diploma di abilitazione all'insegnamento professionale per la materia nella quale si erano specializzati. Inoltre, il 30 ottobre 1930-IX, il Ministero stesso affidava all'Istituto il compito di attendere alla edizione della « Rassegna della Istruzione Artistica »: la rivista ministeriale che, per ben otto anni, e cioè fino a quando essa fu assorbita da « Le Arti », trovò in Urbino una veste tipografica accuratissima e degna. Finalmente, col Regio Decreto 9 febbraio 1931-IX, n. 571 [10], si apportava l'ultimo ritocco alla fisionomia dell'Istituto, provvedendo alla fusione sua con la locale Scuola d'Arte (di cui s'è fatto cenno) e costituendo così, nel suo aspetto tuttora vigente, con uno Statuto rinnovato e più snello, l'attuale organismo. Fu anzitutto realizzata una precisa distinzione nei risultati didattici dell'Istituto. Per poter infatti dare a quest'ultimo un carattere esclusivamente artistico, si correva il rischio di annullare il valore dell'insegnamento in esso impartito per tutti quegli allievi che, non avendo notevoli possibilità creative, dovevano arrestarsi ad apprendere semplicemente un mestiere. Si rese quindi necessario incrementare il corso inferiore, indirizzandolo maggiormente ad un carattere tecnico, sicché gli allievi, da esso usciti, col titolo di «Artiere del Libro», avessero una completa preparazione in tutte le varie branche tipografiche (tecniche della stampa, fotoincisione, rilegatura, ecc). Fu perciò indispensabile l'impianto di grandi ed adeguate macchine tipografiche, di numerosi tipi di caratteri, d'un laboratorio completo di rilegatura del libro ed infine d'un reparto dedicato esclusivamente alla fotoincisione. Il corso inferiore, cosi attrezzato, ebbe la sua vita in comunione con i tre corsi della Scuola d'arte per il Legno, per il Ferro, e quindi per la Ceramica, nel senso che ai singoli allievi sono comuni gl'insegnamenti di lingua italiana, di cultura fascista, di religione, di lingua straniera, di storia e geografia, di aritmetica, di scienze, di disegno geometrico e ornamentale e di plastica; mentre sono diversi gl'insegnamenti di laboratorio. Inoltre, nel corso inferiore dell'Istituto del Libro, sono instituiti altri insegnamenti specifici, quali il disegno della prospettiva, il disegno e la plastica dei caratteri, la teoria delle macchine, i fregi tipografici e la storia dell'arte. Agli alunni che, superate le tre classi inferiori, hanno acquisito il titolo di Artieri del Libro e posseggono qualità artistiche tali da poter continuare il loro cammino, si apre il corso superiore, esso pure di tre anni. Qui sono completati e perfezionati tutti i precedenti insegnamenti di laboratorio e culturali, a cui si aggiungono le tre discipline artistiche più tipiche nell'arte tipografica: e cioè la calcografia, la litografia e la xilografia, i cui elementi sono coordinati nell'insegnamento — fondamentale per l'Istituto — della Composizione illustrativa. Da questo corso triennale superiore gli allievi escono col diploma di «Maestro d'Arte del Libro», che da loro anche diritto di presentarsi all'esame di Stato per l'abilitazione all'insegnamento del disegno nelle Scuole medie, o d'inscriversi nelle Accademie di Belle Arti. Inoltre, a quei licenziati che abbiano particolari attitudini possono schiudersi nello stesso Istituto le porte del Corso biennale di Perfezionamento in una delle seguenti materie: calcografia, litografia, xilografia, composizione illustrativa; con l'obbligo di presentare, quale saggio, all'atto di diplomarsi, un libro interamente illustrato (o in edizione definitiva oppure allo stato di progetto), accompagnato da una dissertazione scritta su un argomento tecnico riferentesi al tipo d'incisione da lui scelto e da un'altra dissertazione scritta sull'arte e lo stile di un Incisore antico o moderno. Il Diploma di Perfezionamento, rilasciato dall'Istituto, equivale a titolo dì abilitazione all'insegnamento professionale del tipo prescelto d'incisione, in quella scuola ove tale insegnamento s'impartisce.
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Questi, a sommi capi, gl'indirizzi dell'Istituto di Urbino: ben si scorge quanto singolari e complessi. Passiamo ora ad esaminare altrettanto rapidamente i vari metodi pratici per tradurre nella realtà dell'insegnamento tali indirizzi. [11] Premettiamo anzitutto che non deve meravigliare se talvolta tali metodi furono inadeguati. Perché fosse possibile individuare il giusto cammino, molti tentativi, molti indugi, molte esperienze si rendevano indispensabili. E neppure possiamo oggi affermare che tutto sia stato compiuto, anche se intuito. Più difficoltoso è l'insegnamento nel corso inferiore, dato che in esso convengono ragazzi che, .provenienti quasi sempre dalle scuole elementari, non possono ancora avere — se non raramente — alcuna particolare preparazione per lo studio che essi intraprendono. Data anzi la eccezionale essenza di tale studio, si è più volte tentato di ottenere l'instituzione di un esame speciale di ammissione all'Istituto; ma finora tali pratiche non hanno avuto alcun risultato. Comunque, il primo problema che si presenta all'Insegnante è quello di creare, fin dalle prime prove, nei giovanissimi allievi quel senso di nitore e di compostezza che è una delle principali doti dell'arte tipografica. E perciò lo studio dei caratteri si svolge impratichendo gli alunni a tracciare a mano libera, con segno deciso e nitido, lettere di vari alfabeti, e quindi parole e frasi e fregi e riquadrature geometriche, in modo che nell'allievo nasca automaticamente l'amore per la giusta e nitida spaziatura, il gusto per i giusti rapporti di bianco e di nero. Inoltre, perché a tale preparazione si aggiunga una perfetta conoscenza della plastica dei caratteri, si procede a formare lettere nella plastilina e nel gesso o nel linoleum; sicché l'alunno acquista dimestichezza con questi che sono elementi fondamentali della sua vita di artiere, elementi che vengono sussidiati da una continua esperienza nel laboratorio di composizione a mano ed in quello d'impressione tipografica, e di rilegatura, con un complesso di esercitazioni che costituiscono esse stesse il tirocinio indispensabile per ulteriori conquiste. Ecco poi, fin dal corso inferiore, l'alunno avvicinarsi al vero nella copia di piccoli oggetti, o fiori o animali imbalsamati, dapprima isolati e poi uniti insieme e riprodotti in nero o a colori, secondo la fantasia dei giovani allievi. Che, superato il terzo anno d'insegnamento, hanno ormai una preparazione sufficiente per affrontare i più complessi problemi inerenti alla composizione illustrativa ed alle tecniche tipografiche, il cui studio viene iniziato e svolto nel corso superiore. Ed infatti, mentre nei primi tre anni lo studio dei caratteri era limitato a poche lettere e a poche frasi per volta, ora — nel corso superiore — tengono tracciate intere pagine, tentando accostamenti dì caratteri diversi, di iniziali, di fregi, al fine di abituare gradatamente gli allievi alla soluzione dei complessi problemi della composizione tipografica. Lo studio del vero è inoltre completato dalla figura e dal paesaggio, nonché dallo studio del disegno prospettico. Si comincia seriamente a parlare di composizione illustrativa, prima in poche elementari tracce, quindi sempre più intensamente, ponendo le basi dei profondi nessi esistenti tra illustrazione e decorazione e composizione dei caratteri: ed insomma sviluppando un vero insegnamento di estetica tipografica, a cui si associa nel reparto di rilegatura una produzione indirizzata a fini più nettamente ed esclusivamente artistici. Parallelo a tale preparazione corre l'insegnamento delle tecniche incisorie, in ogni loro più diversa manifestazione: in calcografia, dalla punta secca al bulino ed all'acquaforte in tutte le sue varie sottoforme; in xilografia in tutte le varietà dei bulini o di sgorbie su legno di testa o di filo o su linoleum; in litografia dalla riproduzione a pastello e a penna su pietre lisce o granite, all'incisione litografica, in nero o a colori; e perfino in fotomeccanica, pur essendo tale reparto appena costituito nei suoi elementi essenziali. Un susseguirsi d'intenti, un ricercare appassionato di espedienti tecnici, un continuo ed originalissimo superamento delle proprie possibilità, durante cui l'allievo, quando ha autentico spirito di artista, è agevolato a trovare se stesso, a trovare la sua tecnica: quella tecnica nella quale potrà, negli ultimi due anni dell'Istituto, perfezionarsi diventandone maestro. [12] Ed allora, in questi due ultimi anni, ecco finalmente presentarsi in tutta la sua complessa molteplicità lo studio del bel libro: l'opera d'arte letteraria divenire opera d'arte figurativa: e perché tale miracolo possa avvenire, l'educazione dell'alunno concentrarsi tutta nella educazione del suo intuito e del suo gusto.
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In questo fervido e fecondo operare si svolge l'intima vita dell'Istituto di Urbino. Ed è certo che, se passiamo a paragonare il suo attuale momento con quelli precedenti, rimaniamo colpiti sopratutto da una constatazione, e cioè dalla libertà goduta dagli alunni in ogni loro manifestazione artistica. Se infatti nell'Istituto l'Insegnante è guida solerte e luminosa ai suoi allievi, ciò non va inteso nel senso che egli impone loro il suo stile e la sua personale visione dell'arte. Che invece agli allievi è lasciata ogni iniziativa di ricerca nella manifestazione del proprio Io, mentre l'Insegnante non fa che seguire tale ricerca, assistendo col suo consiglio e mai imponendosi, intento piuttosto all'educazione del gusto, anziché alla proclamazione d'uno o d'un altro stile. Tale moderno indirizzo di libertà creativa, affermatosi pienamente nell'Istituto in quest'ultimo quinquennio di attività, [13] ha avuto naturalmente, come conseguenza diretta, un'accresciuta molteplicità creativa, unitamente ad una varietà maggiore di premesse e di risultati. Mentre infatti, ad esempio, nei primi anni della scuola, salvo qualche eccezione, gli insegnamenti si svolgevano nell'orbita delle antiche edizioni, che erano studiate ed imitate, senza peraltro attendere alla complessa unità del volume che si andava illustrando, ora si cerca invece con tutti i mezzi di liberare gli allievi da ogni pregiudizio; indirizzandoli verso la sola meta di creare, nella decorazione e nella illustrazione di opere letterarie, antiche o moderne, quel complesso monumentale che solo può essere indice del bel libro e solamente può dirsi raggiunto quando un perfetto equilibrio è realizzato tra contenuto dell'opera letteraria e forma tipografica, ivi comprese le illustrazioni, le decorazioni, i caratteri ed il formato stesso del volume. La cui monumentale unità è pertanto divenuta il centro stesso degli scopi didattici dell'Istituto. Né, d'altronde, poteva essere diversamente, quando si pensi ai fini medesimi che all'Istituto erano stati preposti. Fin nei Corsi inferiori, in quello studio dei Caratteri e dei Fregi tipografici che vi è impartito, quali risultati pratici potevano — ad esempio — nascere da un insegnamento freddo e vuoto, basato unicamente sul paziente ricalcare di forme antiquate e superate? E, nei corsi superiori, l'insegnamento delle tecniche incisorie, se impartite con fine a se stesso, poteva essere ritenuto idoneo fin quando esso non fosse stato invece sorretto da una più ampia concezione dei fini decorativi a cui necessariamente quelle tecniche dovevano essere indirizzate nel caso specifico della illustrazione del libro ? Se inoltre era compito dell'Istituto preparare degli artisti illustratori e decoratori del libro e se, per perseguire tale scopo, si rendeva necessario che gli allievi stessi si trasformassero, almeno una volta tanto per una prova finale, in tipografi-editori, era sufficiente che essi si addestrassero esclusivamente in una delle tecniche incisorie oppure soltanto nello studio dei caratteri? Decorare, illustrare un libro non è soltanto prepararne le tavole e i fìnalini, come a persona inesperta può sembrare. Ma tutto invece deve contribuire a quello scopo: il formato del volume e la copertina, i margini ed i fregi, il tipo dei caratteri e le tavole illustrative, il colore degli inchiostri, il colore e lo spessore della carta, ecc.: tarati elementi disparati e vari, ma che devono essere tutti indistintamente presenti a chi si dedica a questa delicata attività. Ed ecco pertanto che, in una collaborazione lunga ed assidua tra insegnante ed allievo, la preparazione di quest'ultimo si compie gradatamente in ognuno di questi rami dell'arte libraria. Sicché alla continua pratica conseguita nella tecnica della composizione tipografica fa rispecchio la preparazione effettuata nella composizione illustrativa, fondendosi in un tutto unico con la tecnica incisoria da ogni allievo preferita. Si vede dunque quanto complesse siano state le nuove fondamentali premesse dell'Istituto che, una volta realizzate nella pratica dell'insegnamento, hanno costituito la ragione principale dell'affermarsi della nostra scuola in quest'ultimo decennio. Profondamente legati a quelle premesse, e perciò altrettanto particolareggiati nei loro scopi e nel loro carattere, sono anche — occorre notarlo — gl'insegnamenti delle materie culturali [14] e particolarmente dell'Italiano, della storia, della storia dell'Arte e della storia del Costume. Ed infatti, se tali materie hanno una grande importanza anche in tutti gli altri Istituti d'Istruzione Artistica, in questo di Urbino (e particolarmente nel Corso Superiore ed in quello di Perfezionamento) esse costituiscono un vero fondamento per la formazione spirituale dell'allievo, ove però esse siano insegnate con particolari intenti, senza mai perdere di mira gli scopi della nostra scuola. Che, insegnare ad esempio l'Italiano in un Istituto del Libro, non vuoi dire soltanto esporre notizie più o meno minuziose della Storia Letteraria d'Italia, per passare quindi al commento estetico dei nostri Classici, cosi come ampiamente si pratica altrove. Ma vuol dire invece abituare l'alunno a penetrare nello spirito medesimo di quelle letture, in modo che egli possa coglierne anzitutto il significato figurativo, desumendolo da quello letterario. Ogni volta che per il poeta, come per il futuro illustratore, l'origine dell'arte sia sorta da emozioni nate da immagini visive, il commento estetico più adatto per i nostri alunni è quello che riesce a mettere in evidenza le finezze di quel passaggio da immagine visiva ad immagine letteraria. È infatti proprio nella esatta individuazione di quel trapasso e nella possibilità che esso stesso divenga materia concreta d'ispirazione artistica che consisterà poi il segreto di un'arte che si propone la vera illustrazione del libro: non cioè illustrazione come sinonimo di traduzione da un linguaggio (letterario) in un altro linguaggio (figurativo), ma invece come risultato di ispirazione, nato da quei medesimi fatti emotivi che originarono il fenomeno letterario e che ora si rinnovano nella mente e nell'anima e nella sensibilità dell'illustratore del libro. Parallelo all'insegnamento dell'Italiano, cosi inteso, e ad esso ausiliari, devono svolgersi gl'insegnamenti di Storia, Storia dell'Arte e Storia del Costume, in quanto essi devono formare nell'allievo la cultura necessaria per la esatta comprensione dell'ambiente e della civiltà in cui l'opera letteraria trova il suo sviluppo sia come fatto narrato, sia come momento storico in cui la narrazione avviene. Alla Storia dell'Arte infine, e particolarmente alla Storia della Pittura e dell'Incisione, è affidato il compito di affinare negli alunni le loro possibilità creative attraverso l'indagine puramente estetica e, finché è possibile, anche tecnica, delle opere prese in diretto esame. E’ così che, in perfetta unità d'intenti, insegnamento artistico ed insegnamento di materie culturali, concorrono alla formazione del giovane illustratore, che è portato gradatamente, attraverso un continuo affinamento della sua sensibilità, a compiere dapprima incisioni su un tema dato dall'insegnante, passando quindi a studiare tutto il complesso organico di una edizione, dalla illustrazione alla decorazione, ai caratteri, alla composizione, alla legatura ed infine al bel libro. Ed è proprio alla coscienza con la quale quegli insegnamenti sono impartiti, alla unità con cui i loro vari risultati sono amalgamati dalla assidua cura di una vigile direzione, è proprio a questi eccezionalissimi caratteri che si devono i brillanti risultati finora conseguiti dall'Istituto nelle varie manifestazioni che si sono succedute in quest'ultimo suo decennio di vita. Ma sarebbe, nello stesso tempo, inesatto e deplorevole trascurare, tra gli elementi formativi della nostra scuola, la sede medesima in cui vivono i suoi allievi: questi allievi nati in un clima unico in Italia, nel clima monumentale ed eroico del Palazzo Ducale di Urbino, a contatto di un umanesimo continuamente in vita, essi che si dedicano proprio ad un'attività che per ispirazione è così vicina ai caratteri più squisitamente umanistici della nostra medesima razza. In questo Palazzo Ducale, Reggia meravigliosa del nostro Rinascimento, la yita dell'Istituto trova effettivamente le ragioni medesime della sua essenza ed è qui che la sua sede deve essere conservata anche quando, con l'attuazione della Carta della Scuola, l'Istituto vedrà accresciuta ad otto anni complessivi la vita dei suoi corsi, a cui seguirà un biennio di Magistero. Le assicurazioni che il Ministro Bottai ha voluto dare in proposito alla R. Accademia Raffaello, costituiscono esse medesime un' autentica vittoria per la nostra scuola, poiché la fiducia del Ministro costituisce il più alto riconoscimento per le realizzazioni finora attuate dall'Istituto. [15] Giova pertanto sperare che presto si compia tale auspicata riforma e che per allora l'Istituto veda altresì realizzato il complesso progetto di sistemazione che lo porterà dal pianterreno al secondo piano del Palazzo Ducale, in aule più adatte alle esigenze didattiche per luminosità e per ampiezza. Se infatti, al tempo in cui l'Istituto aveva soltanto gli insegnamenti di architettura, pittura e scultura, non v'era alcuna grave difficoltà a che tali discipline fossero insegnate in ambienti di grandissima rarità architettonica, occorre riconoscere che poi, avvenuta la, riforma della scuola in Istituto del Libro, quei medesimi ambienti divennero sempre più inadatti allo scopo. La necessità di uno spazio vitale divenne poi, ad un tratto, cosi impellente, da condurre persino ad un atto i cui risultati gravano ancora su quanti sentono un vero culto ed amore del bello. Ed infatti, mentre in un primo tempo le aule esteticamente più rappresentative del pianterreno del Palazzo Ducale (e precisamente quelle attigue ai Torricini, ivi compresa la Cappella del Perdono e lo studiolo di Guidubaldo), erano state pienamente rispettate, essendo adibite agli uffizi della Direzione, poi, urgendo la necessità di impiantare con maggiore larghezza di spazio i laboratori di calcografia e di litografia, la Direzione passò in un altro ambiente (del resto inadatto), e le macchine litografiche e i torchi e i laboratori di fotografia andarono ad assieparsi in pieno ambiente monumentale: si può comprendere con quale benefizio del medesimo, creando una condizione che è — non indugiamo a proclamarlo — un autentico sconcio. A tale stato di cose, che di per sé ripugna al più primitivo senso estetico, si aggiunga la considerazione di altri reparti dell'Istituto: del reparto Foto-Incisione, ad esempio, che si trova in aule inadatte ed infelicissime, della Biblioteca che non ha un ambiente per suo conto, [16] del reparto di Composizione che è in locali troppo angusti, ecc.
Inoltre tale progettata sistemazione rendeva assolutamente impossibile il restauro del lato meridionale del Palazzo e precisamente di quel Cortile del Pasquino su cui si affaccia l'ampio loggiato che permetteva ai Duchi la visione della campagna immensa, fino a quel monte Catria che da lontano, nelle albe limpidissime, veniva ammirato dai Cortigiani delle Veglie che se ne esaltavano. [17] Nacque così in noi l'istigazione a cercare una soluzione migliore, progettando la sistemazione dell'Istituto nell'intero secondo piano del Palazzo che è dotato di moltissimi ambienti ricchi di luce e di spazio, ed in tutto rispondenti, con notevoli benefizi, alle esigenze dell'Istituto.
Né
per benefizi intendiamo soltanto quelli più strettamente
didattici, quale, ad esempio, la distribuzione dell'intera scuola
in un
solo piano (contrariamente al vecchio progetto che ne prevedeva lo sviluppo
in tre piani distinti), ovvero l'ampiezza del
complesso edilizio. Per benefizi intendiamo invece qualche cosa di molto più vivo e sostanziale: benefizi morali, prima che materiali, perché è lo spirito che — (particolarmente nella scuola) — deve sempre avere il completo trionfo sulla materia. Ed il primo vantaggio che occorre annoverare è quello che più di tutti si avvicina alla moderna interpretazione di rapporti tra antico e moderno nell'Arte: rapporti che non conoscono limitazioni o barriere; rapporti per i quali tutta l'Arte antica deve essere proiettata nel presente, deve fluire nel presente, non come peso di morti tradizionalismi, ma come vita imperitura ed eterna. Non dunque netta separazione dei due organismi che l'antico Palazzo accoglie nel suo capace grembo (Galleria Nazionale da una parte ed Istituto d'Arte dall'altra), ma confluenza e collaborazione feconda dei due organismi che dal Palazzo traggono le ragioni intime e suggestive della loro medesima vita. E prima di vedere in qual modo quella confluenza e quella collaborazione si compiano, occorre pur dire che la loro precisa riconferma è anzitutto giustificata dalle più intime ragioni stori-che. Ohe cosa era infatti, alla sua nascita, la Galleria Nazionale di Unbino, molto ma molto tempo prima che essa ricevesse autonomia di vita ? Null'altro essa era, se non la Galleria dell'Istituto di Belle Arti, quale la volle nel 1861 la sagace intelligenza di Lorenzo Valerio e quale infatti essa si mantenne anzitutto nell'ex-Convento di San Benedetto di fronte a San Paolo e quindi nel medesimo Palazzo Ducale, quando l'Istituto (e con esso la Galleria) vi fu trasferito. «Galleria dell'Istituto»: così decretò nel 1861 Lorenzo Valerio, col pensiero rivolto ai giovani artisti che nelle opere della Galleria avrebbero trovato 1'ispirazione migliore. Perché ora dunque separare i due organismi, ora che il Palazzo Ducale li ha meglio unificati nel dominio assoluto dello spirito ? Non separarli bisogna, ma avvincerli maggiormente e giustificarne più profondamente l'unione, per vivificarli e vivificarne il Palazzo medesimo che li ospita. Tratto di unione tra i due organismi il grande Salone decorato dal Brandani, adiacente nel piano superiore allo Scalone d'onore. Qui l'Istituto d'arte esporrà, con frequente vicenda, il fior fiore delle sue opere. E qui, dopo visitata la Galleria, gli studiosi e i turisti saliranno ad ammirare la mirabile vitalità del monumento insigne, in cui l'Umanesimo rivive a distanza di secoli attraverso la prodigiosa attività d'una scuola unica nella nostra Patria, che al libro ed ai suoi problemi incessantemente si dedica. In questo avvicendarsi di Mostre dell'attività editoriale ed artistica dell'Istituto, Mostre che saranno aperte ai medesimi visitatori della Galleria e che pertanto porranno allo stesso piano morale le moderne creazioni con le antiche, i giovani allievi dell'Istituto vedranno indubbiamente il premio più ambito alla loro fatica, l'ispirazione migliore per ascese sempre più alte.
[1] Presiedeva l'Istituto in quei suoi primi passi il suo stesso animatore Luigi Renzetti ; ne era Direttore Aleardo Terzi ; mentre tra i primi insegnanti giova menzionare Ettore Di Giorgio, Francesco Carnevali,. Bruno da Osimo [2] A proposito anzi della letteratura italiana, è stranissimo quanto si le^ge nella relazione per l'anno scolastico 1925-26 del Direttore Terzi : che cioè l'insegnamento dell'Italiano avrebbe dovuto limitarsi soltanto alle poche nozioni necessarie alla correzione dei testi e delle bozze di stampa [3] Cfr. Relazione Terzi e Carnevali sull'anno scolastico 1925-26, con servata nell'Archivio dell'Istituto. [4] Cfr. Relazione Terzi, 1925-36, cit [5] Cfr. Appendice VI, p. 107.
[6]
Durante questi due anni scolastici, e cioè il 1928-29 e il 1929-30, [7] Su tale prima attività editoriale dell'Istituto cfr. lo scritto di O. Emanuelli, in « Rassegna dell'Istruzione Artistica », cit., p. 87, anche per definire come, prima di noi, era invece sentita e giustificata tale attività. [8] Cfr. Appendice VII, p. 120. [9] Cfr. Appendice Vili, p. 121 [10] Cfr. Appendice IX, p. 122. [11] Cfr. su tale argomento lo scritto di Francesco Carnevali, Dell'insegnamento artìstico, in «Rassegna dell'istruzione artistica», cit., p. 38; e le due Relazioni del Direttore Dei.itala e dello stesso Carnevali tenute, nell'aprile 1941-XIX, l'una a Pesaro e l'altra in "Orbino, in occasione dei convegni didattici promossi dal R. Provveditore Roberto Mazzetti, [12] Per gli impianti tecnici dell’ Istituto cfr. lo scritto di Luigi Servolini, in « Rassegna dell'istruzione artistica », cit., p. 68. [13] In questi ultimi anni la Direzione dell'Istituto è stata tenuta dal prof. Mario Delitala che, successo nel 1934 ad Ettore Di Giorgio, dirige tuttora la nostra Scuola con tanto appassionato fervore e competenza di Maestro. Nel medesimo periodo, la Presidenza dell'Istituto è stata, tenuta dal Gr. Uff. Ugo Mancinelli, dall'Avv. Antonio Santini, dall' Avv. Carlo Garganico e finalmente (dall'aprile 1941-XIX) dall'Autore della presente monografia. [14] Per definire come erano invece intesi prima di noi gli scopi di tali insegnamenti, vedi lo scritto di Agostino Fattori, Gl'insegnamenti culturali nell'Istituto del Libro, in «Rassegna dell'Istruzione artistica», cit,, p. 55. [15] Ecco la lettera indirizzata, in data 2 giugno 1941-XIX, dall'Eccellenza Bottai al Presidente della R. Accademia « Raffaello » : « In relazione alla proposta contenuta nella nota sopra citata, si fa presente che il Regio Istituto di Belle Arti per la Decorazione e la Illustrazione del Libro in Urbino, è previsto nel progetto di riforma dell'Istruzione Artistica come Istituto d'Arte di otto anni. Nel progetto medesimo è anche previsto il corso biennale di magistero in detto Istituto. — II Ministro Bottai ». [16] E guai se la Biblioteca (già abbastanza ricca di opere a stampa dal '500, '600, '700 sulle quali gli allievi possono studiare direttamente l'arte editoriale antica) prendesse quello sviluppo che noi ci auguriamo sinceramente di poter dare. Che per la nostra Scuola la Biblioteca dovrebbe essere quanto di più eletto e completo si possa mai immaginare. [17] Cfr. a proposito di tale complesso restauro il nostro scritto : Un disegno di sistemazione del Palazzo Ducale di Urbino, in « La Rinascita », luglio 1941-XIX, p. 639. continua ---> |