PASQUALE ROTONDI

IL R.  ISTITUTO DI BELLE ARTI DELLE MARCHE IN

URBINO

 FELICE LE MONNIER - FIRENZE - MCMXLIII-XXI

 

 I - LE  ORIGINI

 

Tutti coloro che, prima di noi, hanno avuto occasione d'interessarsi della storia del R.  Istituto di Belle Arti di Urbino, [1] hanno ritenuto vano ricercarne l'origine anteriormente all'anno 1861, e cioè all'anno in cui Lorenzo Valerio, Commissario Straordinario per le Marche, proclamava la fondazione in Urbino dell'Istituto di Belle Arti.

E, poiché nel Decreto di fondazione si parla chiaramente di una preesistente Scuola d'arte annessa all'Università, l'esistenza di tale Scuola è stata da tutti considerata come non degna di rilievo, senza che alcuno si prendesse la cura di esaminare, sulla base di documenti o di altre memorie, se veramente essa costituisse, per importanza e per antichità, un serio precedente storico per il nostro Istituto.

Era invece sufficiente leggere un po' meglio le stesse disposizioni che Lorenzo Valerio aveva decretato, per convincersi subito dell'importanza che la Scuola d'arte dell'Università aveva a quel tempo.  Era infatti proprio ad essa che, nello stesso anno 1861, in data 3 gennaio, con Decreto n.  705, [2] Lorenzo Valerio assegnava il delicato compito di custodire, raccolti in Museo, « i monumenti e gli oggetti d'arte appartenenti alle Corporazioni religiose soppresse delle Marche » ed era la medesima Scuola che — come è chiaramente espresso nelle premesse del Decreto n.  740 del 8 gennaio 1861 [3] — doveva tramutarsi, come infatti si tramutò, nel R.  Istituto di Belle Arti.

Per stabilire poi a quale età risalissero le origini di detta Scuola, e quali fossero quindi in Urbino le origini dell'insegnamento artistico, non sarebbe stato difficile rintracciarne i primi indizi durante i primi anni del secolo scorso.

Si era infatti precisamente durante il periodo napoleonico, quando un Liceo veniva instituito in Urbino, nei medesimi locali che già durante il Governo Pontificio erano stati del Collegio dei Nobili.  E poiché probabilmente una Scuola di disegno doveva essere compresa tra gli insegnamenti praticati in detto Collegio, che vantava una tradizione didattica tra le più aristocratiche e complete, tale Scuola di disegno passò, per volontà del Comune, a far parte anche del Liceo.

Dai documenti purtroppo scarsi che siamo riusciti a rintracciare, [4] abbiamo potuto desumere che le materie d'insegnamento vi erano costituite dallo studio dell'ornato, della figura e del disegno, a cui si aggiungeva, nel 1814, una cattedra di pittura, affidata all'artista Francesc'Antonio Rondelli [5]

Che tali insegnamenti fossero tenuti in molta considerazione e che la Scuola andasse nel frattempo acquistando una certa rinomanza, può essere documentato tra l'altro anche dal dono che il Viceré Eugenio Beauharnais, al tempo del Regno Italico, le fece di due busti marmorei di Raffaello e del Bramante, tuttora custoditi presso l'Istituto.[6]

Cessato però il dominio napoleonico e ripristinato il Governo pontificio, anche la Scuola d'Arte veniva chiusa, né forse sarebbe stata più ripristinata se l'Università degli Studi d'Urbino (come sempre gelosa custode del patrimonio spirituale della Città) non l'avesse accolta tra le varie discipline che io quel tempo vi si insegnavano.  E fu appunto in seguito a tale trasferimento dal Liceo all'Università che la Scuola ebbe modo di prosperare e di organizzarsi in una forma più completa, costituendo così un vero presupposto ideologico alla successiva fondazione dell'Istituto di Belle Arti.

Alle cattedre già esistenti di ornato, disegno, figura e pittura si aggiunse, nel 1833, quella di scultura, a coprire la quale la Congregazione degli Studi nominava il prof.  Giovan Battista Pericoli, e cioè lo stesso scultore che, trent'anni più tardi, sarà nominato Direttore dell'Istituto.  Successivamente, essendo deceduto il Rondelli, l'insegnamento della pittura veniva affidato, nel 1836, al prof. Costantino o Crescentino Grifoni, [7] lo stesso artista cioè che nell'Istituto ebbe la Cattedra di scenografia.

Nel 1848, essendosi gli Insegnanti compromessi nei moti politici, venivano dal Governo Papale destituiti.  Ma la Scuola poteva, subito dopo, riaprire i suoi Corsi e continuare la sua vita, fin quando col Decreto Valerio era essa stessa tramutata in Istituto di Belle Arti.  [8]

Ciò avveniva quando pochi mesi erano passati dall'atto plebiscitario di fedeltà delle Marche a Vittorio Emanuele.  Né il Regno d'Italia era stato ancora proclamato, e già l'attenzione del Commissario Straordinario Lorenzo Valerio si rivolgeva ad Urbino con sollecita cura e, memore del luminoso passato della nobile Città dei Montefeltro, decretava provvedimenti atti a ripristinarne la gloria dell'Arte.

Merito non comune fu quello d'avere individuato, fino in quei primi albori di risorta unità nazionale, il ruolo che Urbino poteva avere, in virtù delle sue stesse tradizioni, tra le altre città marchigiane.  Ripristinarne l'impronta originaria con l'arricchirne di nuovo il patrimonio artistico, già depredato in guerra ed in pace per alterne vicende che non è qui il caso di narrare, ecco il primo pensiero di Lorenzo Valerio che difatti — come s'è già detto — stabilisce (con Decreto n.  705 del 3 gennaio 1861) « che siano devoluti alla città di Urbino i monumenti e gli oggetti d'arte appartenenti alle Corporazioni Religiose soppresse delle Marche ».  [9] E poi, quasi nell'intento, davvero intuitivo e moderno, di non vedere quella tradizione spenta e circoscritta in un'arida atmosfera da Museo, ma piuttosto di vederla operante ed utile alla formazione di nuove coscienze e di nuovi sviluppi, ecco affidare quelle opere alla Scuola d'arte presso l'Università e quindi, a maggiore ampliamento di questa prima idea, con successivo Decreto n.  740 del 6 gennaio 1861, [10] ecco lo stesso Lorenzo Valerio trasformare detta Scuola d'Arte in « Istituto di Belle Arti delle Marche », nel cui Museo dovevano essere raccolte le opere d'arte di cui al precedente Decreto, con la condizione che ad un Insegnante della Scuola ne rimanesse affidata la custodia e la salvaguardia.

La fisionomia di città dell'arte, che poi Urbino dovrà con l'andar del tempo assumere, già s'intravede nel primo pensiero di chi così decretava in quei primi giorni dell'anno 1861, invocando, quasi a giustificazione del suo operato, i nomi di Raffaello e Bramante, figli di Urbino « antica sede di una Corte gentile, che, monda di delitti e lontana da basse ambizioni, amò sinceramente il bello e le sue manifestazioni ».

Cosi, con Raffaello e con Bramante, la Corte dei Montefeltro era non a caso rievocata dal Legislatore all'atto stesso di decretare la fondazione dell'Istituto di Belle Arti di Urbino.

E se infatti in detta Città una tradizione artistica è possibile rievocare, soltanto alla Corte dei Duchi essa può far capo: alla Corte di quel Federico e di quel Guidubaldo che qui trassero d'ogni regione d'Italia gli artisti più eletti, attuando miracoli eterni di bellezza e concretando in essi gli ideali più puri del più puro Rinascimento.

Luciano Laurana e Francesco di Giorgio e Baccio Pontelli e Piero della Francesca e Paolo Uccello e Melozzo e Giusto e Berruguète qui aprono la strada al formarsi d'una scuola locale: a Giovanni Santi e Timoteo Viti ed Evangelista da Piandimeleto e Fra' Carnevale; ma, più ancora, al Bramante ed a Raffaello, mentre più tardi Federico Barocci Urbinate diffonderà per il mondo il fascino d'un suo nuovo linguaggio.

E per opera di questi Grandi, Urbino rimarrà nelle Marche l'unica città che ha pronunziato, nel campo delle arti figurative, parole che escono dal carattere regionale, per assumere una più decisa consistenza di profonda universalità.

Ma, al tempo dei Decreti dì Lorenzo Valerio, che mai era restato di così luminosa grandezza ?  Lo stesso Palazzo Ducale, l’edifizio che aveva visto trascorrere tra le sue architetture miracolose tempi di così alte civiltà, era ora abbandonato agli usi più vili, dopo che i Legati pontifici, lasciata per sempre la città, avevano permesso devastazioni e manomissioni di suppellettili, di decorazioni e di ambienti.  Nulla dunque da meravigliarsi, se, dovendosi decretare la sede in cui l'Istituto con la sua Galleria dovevano essere sistemati, non si pensasse neppure lontanamente al Palazzo, le cui sale monumentali erano invece destinate, in un'ibrida unione, a sede di depositi, uffici statali, carceri giudiziarie.

L'Istituto, come lo stesso Decreto stabilisce (art.  3), avrebbe dovuto avere la sua sede nell'ex-Convento dei PP.  Gerolamini, che anzi (art.  7) avrebbe anche dovuto subire alcuni adattamenti.  Ma, non sappiamo per quale motivo, quando, a distanza di ben tre anni dal Decreto d'istituzione, esso iniziò la sua vita, trovò sede non nel predetto ex-Convento dei Gerolamini (presso il quale erano state invece sistemate le Scuole Normali e il Convitto), ma nell'ex-Monastero di San Benedetto, dove il Gherardi, nella sua Guida di Urbino, [11] descrive, oltre ai gessi di proprietà dell'Istituto, anche le opere costituenti la sua Galleria: e tra esse, ad esempio, la predella di Paolo Uccello, la Prospettiva attribuita a Pier della Francesca, l'Ultima Cena di Giusto Gand, la Madonna di Casa Buffi, il San Rocco, l'Arcangelo Raffaele e la Pietà di Giovanni Santi, l’Ultima Cena e la Resurrezione di Tiziano, alcuni bozzetti del Barocci ed altre opere che oggi costituiscono il nucleo centrale della Galleria Nazionale delle Marche.

Custode geloso di questo considerevole patrimonio artistico, che sarebbe andato forse altrimenti disperso, l'Istituto di Belle Arti di Urbino, approvato con Decreto Reale il suo Statuto in data 31 maggio 1863, [12] inaugurava i suoi corsi il 2 gennaio 1864, [13] come si rileva dalle due seguenti iscrizioni che furono incise a ricordo di quella data e che tuttora si leggono presso l'attuale Segreteria, dove furono trasportate:

***

 AFFINCHÈ NEI POSTERI DURI LA MEMORIA E LA RICONOSCENZA

A VITTORIO EMANITELE II RE GALANTUOMO RE SOLDATO RE ELETTO

SI SCOLPIVA QUESTO MARMO COMMEMORANTE IL GIORNO

II GENNAIO MDCCCLXIV

SACRO E SOLENNE PER URBINO CHE IN TEMPI DI NAZIONALE RISORGIMENTO

VIDE INAUGURARSI QUESTO MARCHIGIANO ISTITUTO

CONSACRATO ALLE ARTI BELLE

AD ONORE E MEMORIA

DI LORENZO VALERIO

R.  COMMISSARIO GENERALE STRAORDINARIO DELLE MARCHE

CHE CON CIVILE SAPIENZA

DECRETAVA LA FONDAZIONE

DI UN ISTITUTO PER LE BELLE ARTI

NELLA PATRIA DI RAFFAELLO

IL CORPO ACCADEMICO

PER DEBITO DI GRATO ANIMO

FECE SCOLPIRE QUESTA ISCRIZIONE

IL II GENNAIO MDCCCLXIV

GIORNO DELL'APERTURA

 

***

 

Avvenuta l'apertura della nuova Scuola, questa iniziava il suo funzionamento secondo le norme dello Statuto: con un corso elementare o preparatorio di quattro anni tendente « a disporre gli allievi a quella parte delle Arti belle a cui vogliono dedicarsi »; con un corso superiore di tre anni frequentato da « coloro che di proposito vogliono diventare artisti », ed infine con un corso serale d'ornato « per comodo degli operai ».  Agli alunni dell'Istituto — reputati idonei in un apposito esame — erano inoltre assegnate ogni anno tre pensioni triennali (di pittura, scultura e architettura), da utilizzare per un corso di perfezionamento in Roma o a Firenze o a Venezia.

Le materie d'insegnamento praticate nell'Istituto erano quelle di pittura e disegno, di scultura e figura, di architettura e geometria, di ornato e decorazione, di prospettiva e scenografia, di storia ed infine di anatomia « con obbligo, — per quest'ultima materia — di fare non meno di dodici preparazioni osteologiche e miologiche sul cadavere » sotto la guida di un professore dell'Università.

Con Decreto ministeriale 18 ottobre 1897, [14] l'Istituto di Urbino era inoltre dichiarato sede di esame per il conseguimento delle abilitazioni all'insegnamento del disegno nelle Scuole Tecniche e Normali del Regno e successivamente, nel 1910, esso era dichiarato sede di esame per il conseguimento del diploma di « Professore di disegno architettonico ».  [15]

La Presidenza e la Direzione dell'Istituto, in questo suo primo sorgere, furono affidate allo scultore Giovan Battista Pericoli che, unitamente alla Cattedra di scultura, tenne tali cariche fino alla sua morte (1884).

 

***

 

Al Conte Pompeo Gherardi fu invece affidata la Segreteria, mentre nello stesso tempo veniva costituito il Corpo Accademico e si procedeva alla nomina di numerosissimi Professori e Soci Onorari, tra i quali spiccano i nomi di Vittorio Emanuele II, di Napoleone III, di Luigi I di Portogallo, di Giuseppe Garibaldi, di Giuseppe Verdi, di Gioacchino Rossini, di Alessandro Manzoni, di Niccolo Tommaseo, di Alassimo D'Azeglio, di Terenzio Mamiani, di Alessandro Dumas, di Victor Hugo, di Cesare Can, del Faruffini, dell'Hayez, dell'Induno, dell'Ingres, del Morelli, del Tenerani, dell'Ussi, e tanti e tanti altri nomi di personaggi dalle più disparate tendenze: nomi che denotano la evidente preoccupazione, da parte degli Urbinati, di dare al nuovo Istituto gloriosi e potenti patrocinatori.

Molti dei quali, occorre notarlo, si dimostrarono assai sensibili alla loro nomina, tanto da indirizzare alla direzione parole assai lusinghiere, che non vanno qui trascurate, poiché documentano l'unanime consenso provocato dovunque dalla nascita della nuova scuola.

Ed ecco infatti come si esprimeva, ad esempio, lo stesso Fondatore dell'Istituto, Lorenzo Valerio:

Como, il 5 gennaio 1S64. 

Onorevole Sig.  Direttore,

Niente era più giusto che un Istituto di Belle Arti per le Marche avesse sede in quella Città medesima che aveva veduto nascere Bramante e Raffaello; ed io son lieto che la mia straordinaria missione in coteste Provincie mi abbia fornita propizia occasione di pagare a nome d'Italia questo tributo alla patria di quei due sovrani ingegni.

Bene auspicando alle sorti del nascente Istituto, altamente apprezzo l'onore di esserne socio, e ringrazio col più vivo dell'animo il Corpo accademico cui piaceva concedermi un tale attestato di fiducia, del quale mi professo oltremodo sensibile e riconoscente.

Lo ringrazio ancora della bella iscrizione commemorativa con cui associava il mio povero nome, al nome immortale del Re; assicurandolo che se la iniziativa della fondazione dell'Istituto da me presa ha in sé alcun merito, questo non poteva ottenere una più ambita ricompensa.

Sono poi particolarmente grato a Lei, Signor Direttore, delle gentili espressioni di che erami cortese nel rendermi note le disposizioni adottate dall'Onorevole Corpo accademico, e La prego di gradire le assicurazioni della mia più sincera stima.

Obb.mo suo

L.     Valerio

 

 

Ed ecco la nobilissima lettera inviata da Giuseppe Garibaldi:

Caprera, 10 gennaio 1864

Egregio Sig.  G.  B.  Pericoli

Presidente del Corpo Accademico di

Urbino.

Ringraziate da parte mia i componenti il Corpo Accademico di Belle Arti di Urbino e dite loro che sono orgoglioso di appartenervi come Socio.

La patria di Raffaello ha il dovere di ricordare all'Italia che fu grande anche quando non guerriera.

In tempi di servitù, come quelli di oggi, ricordino gli Italiani più che altri Michelangelo e siano artisti per alzare baluardi contro gli stranieri.

Credetemi sempre vostro

G.       Garibaldi.

 

 

Ed ecco quella di Gioacchino Rossini:

 

Parigi, 10 febbraio 1864

Prestantissimo Sig.  Presidente

dell'Istituto di Belle Arti delle Marche in

Urbino.

Niuna cosa potea su questa Terra giungermi più gradita del vedermi eletto Membro Onorario del nascente Istituto di Belle Arti fondato nella patria di quel divino Raffaello, che fin dalla mia adolescenza ammirai, che poscia con amore studiai (più ancora dei miei Classici musicisti), e posso arditamente dire col Poeta:

Tu se' solo Colui da cui appresi Lo bello stile che m'ha fatto onore.

Permetta, sig.  Presidente, che io le offra i più sentiti sentimenti di riconoscenza per la lusinghiera partecipazione che le ha piaciuto farmi del segnalato onore ricevuto, e a pari tempo lasci ch'io la supplichi a volere essere mio caldo Interprete presso quei generosi Componenti il Corpo Accademico; infine ritenete tutti, o miei Amati Colleghi, che nessuno vince in gratitudine in dolcezza

Rossini.

 

 

E quella di Terenzio Mamiani:

Di Firenze li 28 gennaio 1864

Al Sig.  Presidente dell'Istituto di Belle Arti in

Urbino.

Carissimo mi riesce l'onore di venire ascritto fra i Soci di codesto Istituto di Belle Arti.  Perocché in Urbino esso è come nella patria sua naturale e non potrebbe, pur volendo, rimanersi oscuro e dimenticato, ma pel nome di Raffaello dovranno tutti e sempre inchinarlo, siccome io fo con profondo affetto e con l'animo pieno di auguri felici e gloriosi.  Accolga, dunque, Sig.  Presidente, l'espressione sincera della mia vivissima gratitudine e voglia compiacersi di farla nota in persona mia ai degnissimi suoi colleghi.

Mi creda suo riconoscente e devoto

Terenzio Mamiani

 

 

A cui va aggiunta, per quanto d'età parecchio più tarda, quella che fu indirizzata da Giovanni Pascoli in occasione della sua nomina a Socio Onorario:

Barga, 31 agosto 1907

Ill.rno Sig.  Presidente,

di nessun altro onore al mondo potrei sentire l'intima famigliare dolcezza che ho sentita della nomina che la S.  V.  111.ma mi ha annunziata.  Io assistei fanciullo con ignara ma devota ammirazione alle prime prove di codesto Istituto, e conobbi e amai come tutti amavano il suo geniale valentissimo fondatore, il cui figlio era mio caro compagno.

Grazie, dunque.  Ciò che mi riconduce a Urbino, mi fa sentire non so qual'aura di felicità e di bontà.

Della S.  V.  Ill.ma, Signor Presidente,

Dev.mo Giovanni Pascoli

 

***

 

A tale unanime consenso subito seguirono, fin nel primo anno di vita dell'Istituto, prove ancor più tangibili di simpatia, come ad esempio quella del Canonico Conte Nicola Mauruzi della Stacciola che lasciava per titolo di legato al nuovo Ente una pregevole raccolta di maioliche e di oggetti d'arte, che andarono ad aumentare la collezione delle Opere artistiche di cui s'è dianzi parlato.

E, fin da quei remoti anni di vita, il Corpo Accademico, affissando lo sguardo sul Palazzo Ducale di Urbino, iniziava il compito nobilissimo, che è doveroso riconoscere a tutto vanto dell'Istituto, di salvaguardare l'insigne monumento dai danni derivantigli dalla sua infelice destinazione, ed indirizzava perciò al Ministero efficaci segnalazioni, tendenti ad ottenere provvedimenti per la salvezza del Palazzo Ducale.

Quindi, a divulgare i risultati raggiunti durante il primo triennio d'insegnamento, ecco nel 1867 l'Istituto che tiene una Esposizione Artistico-Industriale, ricevendo in premio dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio la medaglia d'oro di prima classe.

Ed, intensificando l'azione per la salvezza del patrimonio artistico urbinate, ecco ancora nel 1870 l'Istituto partecipare all'acquisto della Casa di Raffaello, e quindi, nella persona del suo Segretario Conte Pompeo Gherardi, farsi iniziatore di nobili istituzioni, quale fu appunto la fondazione della R.  Accademia Raffaello.  [16]

Ma, fin da quegli anni lontani, il desiderio dell'Istituto era di trovare la sua degna sede in quel pianterreno del Palazzo Ducale, ove — come s'è detto — erano sistemate nientemeno le Carceri.  Nel 1881 si presentò propizia l'occasione con la richiesta, da parte del Ministero dell'Istruzione Pubblica, che fossero intanto trasferiti nel Palazzo i quadri più significativi di proprietà dell'Istituto.  Il Corpo Accademico fu allora assai pronto a concedere i quadri, purché l'Istituto stesso trovasse nel Palazzo la sua degna sistemazione.  E si riuscì cosi, dopo molti mesi d'indugi e di alternative, nel nobile intento.  Nel 1883 infatti il primo nucleo della Galleria passava nel Palazzo Ducale e veniva sistemato nella Sala della Jole, [17] mentre più tardi, trasferiti la Scuola e il Convitto Normale dall' ex-Convento dei Gerolomini a quello di San Benedetto, che l'Istituto lasciava libero, le Carceri potevano passare ai Gerolomini, liberando così il pianterreno del Palazzo Ducale, dove l'Istituto finalmente trovava la residenza ideologicamente più rispondente alle sue medesime finalità didattiche.  [18]

Tutta questa trasformazione, preparata con paziente fervore e realizzata gradatamente fin da quando il Pericoli presiedeva e dirigeva l'Istituto, fu completamente attuata soltanto nel 1885, dopo la sua morte, e cioè quando, a dirigere le sorti della scuola, era stato chiamato un artista di ben più notevole fama e valore: lo scultore Ettore Ximenes.

 

***

 

L'Istituto aveva così, finalmente, la sua Sede.  Né deve meravigliare se tanto insistiamo sulle sue relazioni coi monumenti urbinati e particolarmente col Palazzo Ducale.  Soltanto a chi vive a contatto di giovani coscienze di artisti, non può sfuggire l'importanza profonda che un ambiente monumentale può in essi operare.  È come se ne bevessero quotidianamente la medesima vita traspirante dall'immensità delle strutture possenti.  Ed il Palazzo Ducale di Urbino è un organismo cosi suggestivo e vitale, da rendersi esso solo capace, come già fu capace per un Bramante o per un Raffaello, di generare impulsi nuovi e fecondi di purissima arte, solo che la coscienza della sua sublime presenza sia opportunamente suscitata ed eccitata nell'animo degli alunni che hanno il privilegio di vivervi.

Quale sede dunque, per un Istituto di Belle Arti, più atta e vitale ?

Gli stessi risultati didattici — intensificato che fu l'insegnamento — non si fecero attendere a lungo e rimangono documentati dal Diploma d'onore di primo grado che l'Istituto si guadagnò nell'Esposizione di Camerino del 1888, nel Diploma di medaglia d'oro dell'Esposizione di Senigallia del 1904 e nel Diploma di benemerenza dell'Esposizione di Macerata Marche del 1905, dove la Maestà del Re ebbe parole di viva ammirazione per la Mostra dei lavori colà approntata.

Il risultato più pratico di tali affermazioni può essere anche colto dall’aumentare del numero di allievi, che da un minimo di venti (nell'anno scolastico 1884-85) saliva gradatamente ad ottantasei nell'anno scolastico 1912-13.  [19]

 

***

 

È però proprio contemporaneo a questa iniziale attività dell'Istituto il sorgere in Urtino di una nuova esigenza scolastica, costituita precisamente dalla necessità di poter avere una Scuola d'Arte e Mestieri, a cui fosse possibile indirizzare quei giovani urbinati che intendessero divenire dei buoni artigiani, tralasciando di toccare le vette della pura arte.  Non sembri dunque strano che, fin dal nascere d'una simile necessità, i suoi fautori si appoggiassero alla maggiore autorità dell'Istituto, nel tentativo di addossare a quest'ultimo la Scuola: precorrendo cioè una condizione che, come vedremo, ebbe successivamente a verificarsi.

Fin nel 1879 ecco infatti il Corpo Accademico, nella sua adunanza del 3 agosto, esaminare una lettera del Comitato, che si era costituito in Urbino sotto la Presidenza del Conte Camillo Castracane Staccoli, al fine d'instituirvi una Scuola Professionale d'Arte e Mestieri, lettera nella quale si richiedeva l'uso di un locale nel quale la Scuola avesse potuto trovare ospitalità iniziando le sue funzioni sotto la sorveglianza dell'Istituto stesso.  Tale idea fu quindi ripresa, l'anno successivo, dall'Amministrazione Comunale, per aderire alla cui richiesta il Corpo Accademico fece anche approntare un completo progetto presentato il 17 ottobre 1880 ed esaminato sopraluogo, nel 1881, da un ispettore ministeriale, senza che peraltro alcuna decisione fosse adottata.  [20]

Ancora più tardi — e precisamente nel 1885 — c'era perfino chi parlava di trasformare l'Istituto di Belle Arti in una Scuola a tipo industriale e di tale idea si faceva patrocinatore lo stesso Municipio, contro le opposte tendenze del Corpo Accademico, che invece difendeva i suoi naturali interessi.  [21] Sembrava, ciò malgrado, che la trasformazione dovesse proprio verificarsi, ed infatti, ai primi del 1891, era lo stesso Ministro della Pubblica Istruzione che presentava in Parlamento un progetto di legge in cui tale trasformazione era proposta ed elaborata: minaccia che fu possibile allontanare soltanto grazie all'energia dimostrata dalla Presidenza, che, nel 1893, cercando di sventare il pericolo con l'andarvi incontro, favorì la promulgazione di un nuovo Statuto, nel quale si decretava l’instituzione di un insegnamento pratico (industriale), collateralmente a quello già praticato dall'Istituto con intenti invece più artistici.  [22]

Ma, se tanti intrighi a danno del nostro Istituto possono sembrare strani proprio al sorgere della sua attività ed al suo primo affermarsi, occorre pur riconoscere che essi stanno a testimoniare la effettiva presenza in Urtino d'una necessità assai viva e sentita: l'interesse cioè ben individuato e plausibile di avere, accanto all'Istituto di Belle Arti d'importanza regionale e magari nazionale, una Scuola minore ma rispondente a talune esigenze delle industrie locali.  Accanto all'arte, insomma, rimane sempre la vita con le sue necessità ed i suoi inderogabili bisogni; ed erano appunto queste necessità e questi bisogni che dovevano essere, più o meno tardi, appagati; non perciò sopprimendo l'arte.

Fu così che, col R.  Decreto 14 settembre 1920, n.  1789, [23] in seguito alle rinnovate premure del Municipio e del futuro Presidente Luigi Renzetti, fu instituita in Urbino, alle dipendenze del Ministero dell'Industria e del Commercio, una Scuola d'Arte e Mestieri, che iniziò il suo funzionamento soltanto con l'anno scolastico 1922-23, col rilevante numero di settanta iscritti, distribuiti nelle due sezioni di meccanica e di ebanisteria, a cui si aggiunse poco dopo l'insegnamento del ferro battuto, mentre fu anche tentato l'impianto d'una sezione elettrotecnica.

Una scuola era questa, occorre ripeterlo, originata esclusivamente da precise esigenze industriali.  I suoi prodotti furono (e sono tuttora per la massima parte) orientati verso la meccanica, che sempre vi ha avuto il maggior numero di allievi.  E questi prodotti sono costituiti da utensili da laboratorio, armi, apparecchi di precisione.  Perché dunque noi parliamo oggi, in questa monografia dell'Istituto del Libro, di una simile Scuola? Tra le due istituzioni quali rapporti possono infine correre ?

È che la Scuola passò, il 9 settembre 1924-II, alle dipendenze della Direzione Generale delle Arti presso il Ministero dell'Educazione Nazionale, e, quindi, essa fu unita col R.  Decreto 9 febbraio 1931-IX, n.  571 [24] all'Istituto del Libro, di cui tra breve passeremo a parlare.  Quali siano stati gli intenti del Legislatore nel proporre tale fusione non è facile analizzare, ove si vada oltre i limiti pratici d'una più sana economia e d'una minore dispersione di forze.  Ma non crediamo di errare scorgendo nel provvedimento anche il desiderio di una maggiore unità, ancora purtroppo non raggiunta, per quanto enunciata, [25] nel senso che si sarebbe dovuto indirizzare la Scuola d'Arte (e particolarmente la sezione di Meccanica) verso le esigenze tipografiche: preparazione di caratteri, ecc, in modo d'avere anche in questa branca quell'indirizzo unitario, a cui soltanto sono legati i migliori frutti.

Si è invece preferito lasciare la Scuola d'Arte in un suo isolamento, forse dipendente dalla stessa sua sede appartata.  [26] E, volendone accrescere il significato artistico, quando ad essa fu aggiunta la sezione del Ferro Battuto, non si fece che riprodurre esemplari di gusto assai sorpassato; mentre la sezione di ceramica, istituita nell'estate 1928, non ha mai potuto trovare sviluppi decisivi per la stessa mancanza di un'attrezzatura e di locali idonei, malgrado che la sua produzione lasci tuttora presagire notevoli risultati.  [27] D'altronde è pur logico che l'impegno per sviluppare la vita dell'Istituto maggiore ha distratto quasi per intero, dai problemi della Scuola minore, ogni energia di quanti, in questi ultimi dieci anni di vita, ne avevano la responsabilità.

Lasciata dunque da parte la Scuola d'Arte, che attraversa ora un periodo risolutivo di assestamento, giova tornare, dopo questa breve parentesi, alla vita ed alla storia dell'Istituto di Belle Arti.

 

***

 

Che, dopo la grande guerra 1915-18, si trovava in condizioni ben simili a quelle di tutti gl'Istituti del tempo: e precisamente in quelle condizioni di disorientamento e disgregazione che favorirono la riforma del 31 dicembre 1923-11.

Il R.  Decreto n.  3123, di tale data, premeva efficacemente perché fosse dato al vecchio Istituto di Belle Arti un preciso indirizzo verso l'arte applicata; e la minaccia di perdere altrimenti il contributo ministeriale non lasciava dilazione alcuna alla Presidenza ed a quanti avevano interessi con le sorti della Scuola.  [28] D'altronde era appena dell'anno innanzi un progetto della medesima Presidenza (tenuta allora dal Gr. Uff. Luigi Renzetti), che intendeva affiancare all'Istituto di Belle Arti un corso libero dell'arte del libro, da affidare alla direzione d'un grande xilografo marchigiano: Adolfo De Carolis.

Orbene, se tale progetto non s'era potuto effettuare per diverse ragioni nel 1922, non era adesso il caso di elaborarlo e proporlo come definito assetto dell'Istituto d'Arte?

Arte applicata al Libro.  Non v'era forse in Urbino tutta una tradizione umanistica a ciò favorevole ? E, nello stesso Palazzo Ducale, non aveva un tempo trovato ospitalità una delle più ricche e rare biblioteche del Rinascimento, realizzata dalla colta pazienza di Federico da Montefeltro? A quale città poteva dunque, meglio che ad Urbino, essere riconosciuto il diritto di ospitare un Istituto che si prefigge — si noti bene — la « decorazione e la illustrazione del libro »: e quindi i problemi medesimi che avevano costituito nel nostro Medioevo e nel nostro Rinascimento uno degli aspetti vivi dell'arte e che avevano trovato nella Corte Urbinate una fonte di cosi fine mecenatismo ?

Trentamila ducati d'oro era costata al Duca Federico la sua raccolta di libri, e Vespasiano da Bisticci scriveva di lui:

A lui solo è bastato l'animo di fare quello che non è ignuno che l'abbia condotto da mille anni o più in qua, d'aver fatto fare una libreria, la più degna che sia mai istata fatta da quello tempo in qua.  Non ha guardato nè a spesa né a cosa ignuna, e dov'egli ha saputo che sia libro ignuno degno, o in Italia o fuori d'Italia, ha mandato per essi.  Sono anni quattordici o più che cominciò a fare questa libraria, e a Urbino e a Firenze e in altri luoghi, ha avuti trenta o quaranta scrittori, i quali hanno iscritto per la sua signoria.

Né, come è stato più volte proclamato, il Duca Federico riservava la sua incondizionata ammirazione soltanto ai libri manoscritti e miniati, dispregiando le opere a stampa.  Ad uno spirito universale come il suo, non poteva sfuggire il valore delle opere tipografiche, il cui incremento egli indubbiamente favori nel suo Ducato con l'instituzione di tipografie, la storia della cui produzione è ancora da fare.  Ad una tipografia urbinate appartiene ad esempio un' «Ars Scribendi epistolas, Marii Philelphi.  Urbini, 1481».  Ed una stamperia viene impiantata, qualche anno dopo la morte del Duca, da Mastro Arrigo da Colonia, d'ordine di Messer Federico Galli.

Non manca neppure una tradizione editoriale più recente.  Un Olivo Cesano « stampatore archiepiscopale » è presente nel 1581 in Urbino con la sua stamperia; e nel 1629 il Duca Francesco Maria della Rovere stabilisce un provento a favore del tipografo Marcantonio Mazzantini « per il tempo che farà esercitare la stampa ».  [29] Nei secoli XVIII e XIX ecco infine in Urbino la vasta ed eletta produzione della cosidetta « Tipografia della Cappella » impiantata nel 1725 dal Consiglio di Reggenza della Cappella del Duomo, sotto l'auspicio del Cardinale Annibale Albani.

Ma se tante e tali notizie stanno a documentare tutta una lunga tradizione dell'arte tipografica in Urbino, non è ad esse che certamente è possibile ricorrere ove si desideri cogliere il vero presupposto alla creazione dell'attuale Istituto del Libro.  Altri centri avrebbero in tal caso avuto maggiore diritto ad ospitare il nostro Istituto.  Ma, quando si pensi ai libri miniati della Biblioteca Ducale, a quegli stupendi esemplari che, a parere del Duca Federico, erano da ritenersi « la suprema eccellenza del suo magno palazzo », [30] quando si pensi al carattere umanistico di quella raccolta ed a ciò che detta raccolta rappresentava di fondamentale nei rapporti con l'architettura dell'edifizio che l'ospitava, e quando infine si colgano le ragioni intime, supremamente strutturali e monumentali, che giustificano la decorazione dei libri della Biblioteca Ducale, allora soltanto si può comprendere come in Urbino — e solo in Urbino — ove l'umanesimo è ancora vivo nell'ambiente e nei monumenti, potesse sorgere un Istituto che si dedica alla decorazione del Libro nel senso più finemente umanistico dell'espressione.

Fu dunque intuito geniale e fecondo che guidò il Presidente Luigi Renzetti nell'ardita proposta.  Il suo progetto iniziale presupponeva — è vero — troppo ampi sviluppi: scuole non soltanto di lingue morte, ma perfino di slavo e di ebraico ..., ed, affiancata all'attività didattica dell'Istituto, una vera attività editoriale.

Ma, ciò malgrado, la vitalità del progetto rimaneva sempre grande.  Ed un'accurata revisione, che ne fu effettuata per conto del Ministero dal prof.  Vittorio Grassi e dal prof.  Giuseppe Fumagalli, portò subito ad una sua giusta e nuova edizione, in seguito alla quale era possibile, il 1° febbraio 1925-III, riaprire l'Istituto nella nuova veste [31] ed il 9 dicembre 1928-VII decretarne la regificazione e il nuovo Statuto, [32] che in massima conservavano, almeno formalmente, all'Istituto di Belle Arti di Urbino l'aspetto giuridico che gli derivava dal Decreto Valerio, dando però effettivamente vita ad un organismo che, al di là dell'iniziale importanza regionale, ne assumeva invece una nazionale, di eccezionale singolarità.


 


 


[1] Cfr. G. Franceschini, Note sulle origini e le vicende dell'Istituto di Urbino, in « Rassegna dell'Istruzione Artistica », 1931, p. 12 (Numero speciale dedicato a detto Istituto). Cfr. anche gli scritti comparsi rispettivamente a p. 21 e a p. 43 dei due fascicoli pubblicati per la Prima e la Seconda Giornata della Tecnica (1940-1941) dal Provveditorato agli Studi di Pesaro.

[2] Cfr. Appendice I, p. 77.

[3] Cfr. Appendice II, p. 87.

[4] Nell'Archivio Comunale di Urbino, all'indice degli anni 1799-1812, figura infatti anche « La Scuola di disegno presso il Liceo » ; inutili sono state .però le nostre ricerche per rintracciare la cartella corrispondente, che deve purtroppo considerarsi smarrita.

[5] Ecco il Decreto podestarile del 9 aprile 1&14, esistente agli Atti dell'Archivio Comunale di Urbino (Pubblica Istruzione, anni 1814-1818) : « Comuni; di Urbino - Avviso - II Consiglio Comunale nella seduta dei 17 settembre 1813 avendo deciso di attivare una Scuola di pittura a vantaggio della gioventù studiosa di questa città, prescegliendo a tal scopo il sig. Francesc'Antonio Rondelli, e simil decisione essendo stata dalla Superiorità sanzionata, il pubblico è avvertito che il suddetto Professore darà principio alle sue lezioni nel giorno 15 cor. nel locale del R. Liceo Convitto dalle ore dieci alle undici antimeridiane. - Dalla Residenza Municipale, 9 aprile 1814. - II Podestà ».

[6] Cfr. Pompeo Gherardi, Guida d'Urbino, Urbino, ed. Rocchetti, 1875,. p. 67. — Ecco anche una lettera attualmente custodita nell'Archivio dell'Università di Urbino, indirizzata il 25 marzo 1S64 dal Direttore dell'Istituto, G. B. Pericoli, alla Commissione Provinciale di detta Università, nella quale è attestata la provenienza dei due busti marmorei dai locali della Scuola di disegno presso il Liceo :
« N. di prot. 804. — Urbino, li 25 marzo 1S64. — Alla Onorevole Commissione Permanente Provinciale per l'Università degli Studi di Urbino. — In seguito di quanto V. S. 111. si compiacque rispondere, con foglio citato a margine, alla nota di quest'Ufficio n. 67, degli 11 febbraio p. p., il sottoscritto non mancò di praticare le dovute ricerche per conoscere la destinazione primitiva dei due semibusti in marmo rappresentanti .Raffaello e Bramante che attualmente esistono nell'Aula di questa Università degli Studi. Le indagini fatte darebbero come risultato che i semibusti in parola furono donati al Liceo Convitto dal Principe Eugenio Viceré d'Italia nel 1S12 ; e che restaurato il Governo papale e cessato il Liceo quelle due opere passarono, con la massima parte delle altre cose che gli appartenevano, alla pref. Università. Siccome poi attestano persone degne di ogni fede li due semibusti furono collocati nella scucia di disegno da dove non vennero tolti, se non quando nel 1860 i locali dell'Università furono restaurati a cura dell'attuale Reggente che per abbellimento poneva i due marmi nell'aula maggiore, ove tuttora si trovano. 11 sottoscritto, in vista del sopraesposto, da cui è facile intendere che la primiera destinazione dei semibusti in parola dovette essere per la scuola di disegno che a principio faceva parte del Regio Liceo, .torna a pregare questa Onorevole Commissione perché voglia essere cortese di fare in modo, interponendosi se occorre presso la Deputazione provinciale, che tali opere siano dall'Università fatte passare all'Istituto di Belle Arti. — II Direttore: Giov. Batt. Pericoli ».

[7] Cfr. deliberazione del 17 agosto 1836 agli Atti dell'Università : « II Consiglio della Comunità di Urbino delibera il contributo di se. 120 annui per l'instituzione d'una cattedra di pittura stipendiata con la stessa entità di quella già esistente di scultura ».

[8] Per tali notizie, riferentisi alla vita della Scuola d'Arte presso l'Università, cfr. D. Gramantieri, Discorso tenuto per la Mostra del iSSg-go, Urbino, Tipografia della Cappella, 1891. Va inoltre notato che, nell'Archivio Universitario di Urbino, esiste un Registro contenente i nomi di tutti gli alunni inscritti annualmente nella Scuola d'Arte dal 1834 al 1860, Così pure esistono tutti i documenti concernenti i premi concessi a detti alunni dal 1835 al 1862.

[9] Tale Lecreto (cfr. Appendice I, ;p. 77) non poteva avere una completa attuazione, dato che il 7 luglio 1865 una nuova legge fu votata in Parlamento, il cui art. 24 stabilisce che « i libri, manoscritti, documenti, archivi, oggetti d'arte appartenenti a Case religiose o Enti morali soppressi, si devolveranno a pubbliche Biblioteche od a Musei nelle rispettive Provincie ». Sicché Xjrbino non potette più concentrare tutte le opere d'arte dell'intera regione e fu invece costretta ad accontentarsi delle sole opere delle chiese soppresse nel suo territorio.

[10] Cfr. Appendice II, p. 87.

[11] Op. cit, pp. 55 e sgg.

[12] Cfr. Appendice III, p. 90.

[13] La prima adunanza del Corpo Accademico era stata tenuta presso il Palazzo Comunale il 7 dicembre 1S63 ed in essa era stato eletto Direttore lo scultore Giovan Battista Pericoli e Segretario il Conte Pompeo Gherardi. Venivano inoltre fatte premure al Comune, in occasione di tale adunanza, perché fosse sollecitata l'apertura dell'Istituto. Veniva inoltre deliberata l'opportunità di procedere con sollecitudine alla compilazione del programma (cfr. Manoscritto delle Delibere del Corpo Accademico agli Atti dell'Istituto).

[14] Cfr. Appendice IV, p. 104.

[15] Tale notizia è ricavata dall'opuscolo Cenni cronistorici edito dal l'Istituto nel 1913 presso la Tipografia Arduini di Urbino. I diplomi di disegno architettonico furono nel 1910 conseguiti dai Signori Faitanini Luigi di Monte Scudo, Rumi Umberto di Modena, Fiorentini Alfonso di San Leo e Priori Enrico di Roma (cfr. op. cit., p. 16).

[16] Con la quale l'Istituto ha sempre mantenuto e continua a mantenere vive relazioni che hanno modo di esternarsi ogni anno in occasione delle cerimonie per la commemorazione raffaellesca. In tale occasione l'Accademia Raffaello procede, con solenne rito, dinanzi alle maggiori Autorità provinciali, alla premiazione degli alunni dell'Istituto che si sono distinti per la loro sensibilità artistica.

[17] ~ Passata la Galleria dell'Istituto nel piano nobile del Palazzo Ducale, essa vi ricevette nel 1912 un ordinamento autonomo, rientrando a far parte della Soprintendenza alle Gallerie delle Marche nel frattempo-instituita.

[18] Cfr. per tutte le notizie surriferite gli Atti manoscritti del Corpo Accademico (voi. 1879-1885), nonché lo studio di Luigi Renzetti, Urbino nell'Ottocento, Manoscritto agli Atti della R. Accademia Raffaello.

[19] Su questo primo periodo deli'Istituto cfr. le due pubblicazioni : Cenni cronislorici del R. Istituto di Belle Arti delle Marche nel primo cinquantennio di vita, Urbino, Tipografia Arduini, 1913 ; ed Atti del R. Istituto di Belle Arti delle Marche (Alino scolastico 1914-15), ibidem, 1916

[20] Cfr. Libro delle Delibere del Corpo Accademico 1S-9-1S83, agli Atti dell'Istituto.

[21] Cfr. Libro delle Delibere 18-9-1885.

[22] Cfr. L'Ordine, Corriere delle Marcite, Ancona, 10-11 settembre 1885; II Corriere Metaurense, Urbino, 25 ottobre 18S5 ; II Cittadino,Urbino, 2 giugno 1890; D. Gramantieri, Discorso per la Mostra tenuta nell'anno scolastico i88g-go, Urbino, Tipografia della Cappella, 1891.

[23] Cfr. Appendice V, p. 105.

[24] Cfr. Appendice IX, p. 122.

[25] Nell'articolo sull'Istituto comparso nel fascicolo per la Prima Gior nata della Tecnica 1940-XVIII, edito dal R. Provveditorato agli Studi di Pesaro, p. 27.

[26] La Scuola d'Arte ha infatti la sua sede in Via Bramante, nell'ex- Convento di San Francesco, ben lontano dal Palazzo Ducale, ove invece ha sede l'Istituto.

[27] Non possiamo però tralasciare di trattenerci, sia pure brevemente, .sull'ordinamento didattico della Scuola d'Arte nelle attuali condizioni. Essa si compone di tre distinte sezioni : quella del Ferro, quella del Legno e quella della Ceramica, ognuna delle quali è costituita da un corso triennale inferiore a cui segue un corso biennale di perfezionamento. L'attività, che tuttora viene svolta nella sezione del Ferro, è costituita quasi completamente da una preparazione degli allievi verso una produzione meccanica : strumenti di precisione per gabinetti di fisica, armi, utensili da laboratorio e, soltanto occasionalmente, qualche oggetto di artigianato, come ad esempio soprammobili, ecc.

Maggiormente rivolta a forme d'arte è invece l'attività del reparto del Legno e di Ebanisteria, con una larga produzione di oggetti intagliati, di mobili e di legni lavorati a tarsia, che vogliono tener desta la tradizione quattrocentesca urbinate che ha così nobili esempi nel Palazzo Ducale, e che effettivamente sono riusciti più volte ad affermarsi, come ad esempio in occasione della fornitura del cofano portabandiera che fu offerto dal Fascio Pesarese alla torpediniera «. Libra ».

Ma, come è facile immaginare, il reparto della Scuola d'Arte più vivamente interessato ad una vera attività artistica è quello della Ceramica, che fu fondato nel 1928 allo scopo di risvegliare in Urbino quella tradizionale produzione che nel Cinquecento raggiunse raffinatezze ed originalità ineguagliabili. Purtroppo, però, la sede di tale reparto non è stata finora adeguata a tali scopi, che essa si è dovuta scindere in due sottosezioni : una ospitata all'ultimo piano dello stesso Palazzo Ducale, ove sono le aule d'insegnamento, e l'altra ospitata nel fabbricato di Via Bramante, ove invece si trovano gli impianti per la cottura delle argille. Se naturalmente tale stato di cose ha influito sugli ulteriori sviluppi della Scuola, non occorre perciò trascurare i risultati conseguiti. Da quando infatti la Sezione di Ceramica fu istituita sotto la guida di G. C. Polidori, per essere quindi affidata al prof. Federico Melis, sono stati realizzati lavori di notevole importanza artistica, che hanno guadagnato alla Scuola risultati assai lusinghieri in molte manifestazioni : ad esempio, nel 1932 (nella Mostra Didattica di Valle Giulia a Roma), nel 1936 (nella. Triennale di Milano) e nel 1939 (nell'Esposizione di Roma, nel Palazzo dell'Esposizione) : Mostre nelle quali si distinsero anche le altre due Sezioni del Ferro e del Legno.

In questi ultimi anni poi — e proprio per opera del prof. Melis — sono state compiute interessanti e riuscitissime esperienze nell'intento di sfruttare i materiali locali per la manifattura delle terre cotte ; così come sono stati realizzati notevoli lavori decorativi, con risultati tecnici •ed artistici della massima considerazione.

[28] L'art. 80 del Decreto in parola così infatti si esprimeva : « II contributo annuo dello Stato a favore del R. Istituto di Belle Arti delle Marche in Urbino verrà soppresso dal i° gennaio 1925-IV, se entro quella data gli Enti locali non avranrfo compiuti gli atti necessari per la trasformazione in Istituto d'Arte ».

[29] Per queste e per altre notizie sulla « Tradizione del Libro e dell'Arte della Stampa in Urbino» cfr. A. Fattori, nel suo Discorso inaugurale dall'anno scolastico IQ2J-28, pubblicato presso le Officine dell'Istituto, in appendice al programma per il 192S-29. Cfr. anche A. Nei'pi, La Scuola del Libro in Urbino, nel « Lavoro Fascista » del 9 luglio 1931-IX ; e G. C. Polidori, in « La Provincia di Pesaro e Urbino », Roma, « Latina Gens » ed., 1934, p. 414.

[30] Cfr. Castiglione, II Libro del Coriegiano.

[31] Cfr. per questo interessante periodo le seguenti pubblicazioni : 1) R. Istituto di Belle Arti delle Marche per la decorazione e illustrazione del Libro in Urbitw, 1925 (pubblicazione premiata alla Mostra Didattica di Firenze, marzo-aprile 1925-III) ; 2) A. P. Marchetti, L'Istituto di Belle Arti delle Marche dalla trasformazione alla regificazione, in «TJr-binum », 1931, n. 6 (vi sono pubblicate le relazioni e i decreti ministeriali relativi alla regificazione)

[32] Cfr. R. Decreto 9 dicembre ig28-VII, n. 3003, pubblicato in Appendice VI, p. 107.

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