Brùscle (el) lo spazzolone di pungitopo
L'omaggio augurale della gente povera
Utile supporto alle quotidiane fatiche del contadino, el brusche, potrebbe definirsi una semplice scopa (granata) al servizio della stalla.
Occorre comunque ricordare le stranezze della lingua italiana e dei dialetti in particolare. Il brùscolo, nelle conoscenze della gente dei campi, era accumunato al pungitopo o ruscus aculeatus. Ed è da dire che niente era più resistente (una volta legato a mazzi sulla cima di un palo) per spasè i pavimenti sconnessi (i piancìtt) dagli strati di scompèssa (sporcizia) e di sterco.
Una pianta, il pungitopo, che non so per quale misteriosa ragione, sta sparendo dai nostri boschi, dopo aver rappresentato, per secoli, l'omaggio augurale che le genti più povere si scambiavano a Natale; così come ne faceva dono l'uomo all'amata, con tante bacche (preziose come rubini) quanti erano i figli che preventivava di mettere al mondo.
Dicevano i vecchi dell'urbinate che la pianta ch' picca (che punge) fa i mirècle. Era un riferirsi alle proprietà curative, oltre che del bruscle, del brugn'le, dl'acàcc, dl'urticca, del stupión, del róv, del ginépre, dl'usmarìn (biancospino, acacia, ortica, scardaccione, rovo, ginepro, rosmarino).
Nel caso del ruscus era loro convincimento che giovasse per la sua azione diuretica e antinfiammatoria; come vasocostrittore, senza sottolineare, poi, i benefici per le vene varicose e le emorroidi.
Checco Travaglini, nobile signore di Cal Fabbro — costantemente chiuso in casa, si malignava, per una forma di misantropia da contagio lunare — non aveva altri commensali, al di fuori dei gatti, che facessero onore alla sua arte culinaria. Tra i numerosi piatti dei quali era creatore impareggiabile, si distingueva una frittata con germogli di pungitopo, molto somiglianti agli asparagi, oltre a una salsa per gnocchi di polenta che don Luigi Mariotti (detto ”Mezz’orecchia”) riteneva incomparabile per il suo gusto amarognolo. Insomma, una cosa da òli sant.
Dalle stelle alle stalle è un comunissimo modo di dire che ha il solo pregio di ben sottolineare l'altalenante destino dell'uomo. Se fosse possibile, per analogia, trasferirlo alle piante, il pungitopo ne sarebbe l'interprete più convincente: sugli altari, per l'affetto e la considerazione dell'uomo; a terra per la funzione di brùscolo in continuo movimento per ammucchiare el stabbi, per pulire el riól (scanalatura in cemento per far scorrere acqua e liquami), per arfè la stalla (riassestare la paglia).
Un proverbio urbinate (divenuto, ormai, nostalgica rievocazione del passato) assicura che la pulisia sta ben anch tla stalla. In verità il contadino la riordinava anche due volte al giorno, addirittura orgoglioso di ricevere un cenno d'assenso del padrone e la sbirciata invidiosa dei vicini di casa.
E l'ordine?
A fine giornata c'erano ancora cento cose da rimettere al posto giusto: el giógh, sempre pulito e perfino spalmato di grascia per non irritare il collo dei buoi; el capsón da tenere sempre in vista nel barbachèn della parete centrale; la mècna dla fritta da isolare con vari accorgimenti perché nessun vitello incappasse nei suoi micidiali falcioni.
Infine, la gréppia (mangiatoia) da pulire ad ogni carico di fieno, verificando, nel contempo, la solidità del suo impiantito d'ambròll, messo a dura prova dal continuo strattone delle catene.