Àssica (dare l')    stuzzicare

 

La manìa del diavolo tentarello

II significato attorno al quale convergono i più è: stuzzicare, aizzare, provocare alfine di far verificare un evento.

Per quanto concerne il nostro entroterra va però detto che raramente l'assica sconfinava nel pesante o, ancor peggio, nella cattiveria.

Se la città offriva ben poco ai giovani, che erano costretti a studiarle tutte, cercando emozioni nel terrapieno del Mercatale o al torrione di S. Bartolo, figuratevi la campagna chiusa nel più totale isolamento e assillata dai lavori agricoli per buona parte dell'anno.

L'inventare qualcosa per rompere la monotonia era, dunque, una tentazione alla quale difficilmente si poteva resistere.

E, allora, quale migliore divertimento poteva trovare il bambino del dare l'assica, facendo boccacce al fratello o tirando i capelli alla sorellina sempre, s'intende, di nascosto dai genitori?

Come non approfittare, nelle serate di veglia, del bicchiere di troppo, trangugiato da quella mummia del vicino di casa per indurlo a rivelare la verità sul tentativo di fuga della moglie gelosa?

Carica di tensione era, se mai, l'assica che intercorreva tra ragazzi rivali in amore o divisi da vecchie ruggini di campanile. Qui, per accendere la miccia e finire a spintón dietro la siepe, bastavano un risolino ironico sotto i baffi, il toccarsi il gomito nei giri di valzer o, più semplicemente, uno sguardo furtivo, rubato alla ragazza contesa.

Per Luigi di Ca' la Pensa, omone saggio e riverito in tutto il comprensorio delle Capute, l'assica voleva l'assica.

Per l'ennesima volta l'ufficio daziario di Urbino lo aveva sollecitato, con cartolina a carico del destinatario, a pagare l'importo di 228 lire per un maiale mai macellato.

Indispettito per la provocazione, una uggiosa mattina del novembre del '39, appesa la lampada ad acetilene alla canna della bicicletta, si avviò verso la città deciso a chiarire il tutto nella maniera più appropriata. Giunto alla sede delle Imposte, allora ubicata sotto i portici di San Francesco e appoggiata la bicicletta al muro, si diresse verso il massiccio bancone che faceva da divisorio e iniziò a regolare, con la flemma che gli era abituale, i sofisticati congegni della lampada che prese immediatamente a soffiare, spargendo tutt'attorno un odore acre e puzzolente di gas acetilenico.

Mentre i dasieri, esterrefatti, si guardavano negli occhi in un silenzio di tomba, Gigi continuò nella sua àssica collocando il lume al di là dello sportellone a vetri e accendendolo per una lingua di fuoco, a tutto gas, che faceva impressione.

Qui, cari signori, è ora di vederci chiaro ! disse cadenzando le parole e tirando fuori dalle tasche, uno ad uno, gli avvisi di pagamento.

In effetti, mai quell'ufficio, umido e maleodorante, aveva goduto di tanta luce come in quei momenti di paura. Tanta da consentire ai tremolanti dazieri di recuperare la pratica giusta a tempo di record, sebbene scivolata, chissà da quando, dietro il grande armadio spartito della parete di fondo. Evidentemente nessuno, tra loro, ricordava l'ammonimento legato all'antico detto marchigiano: En i gì a de l'assica. Che era come dire: non stuzzicare il vicino di casa permaloso e manesco; lascia stè el chèn ch' dorm ! non avvicinarti troppo al bua che da de scorne ! (che ha il vizio di menare le corna).

Diciamo però che quella di Gigi era, grazie a Dio, un'àssica antiburocratica, a fin di bene. Sicuramente più edificante di quella, tutta particolare, messa in atto da noi cacciatori, ai tempi d'oro della migratoria, nei brulli seminati dei Forquini, nei pendii della Conserva o, più in là, nella piantata di Mercantino. Si trattava di un uccello (per lo più finto) posato in bilico sulla cima di un palo e mosso, alla bisogna, con una cordicella allungata fino dietro il riparo. Era una provocazione, un invito irresistibile per le ingenue allodole e per i babuss (passeracei che il Conti chiama anche saltinpali) che continuavano a girare attorno per delle ore, facendo prova di buttarglisi addosso.

L'àssica che io mi ostinavo a dare ai miei cugini, invece, mandava in bestia nonna Assunta: te s'è pègg del diavle tentarèll !, brontolava tra i denti.