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MARIA GRAZIA  MAIORINO

Insegnante Poetessa Scrittrice

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DAL

2017

 


2000 -2019  Prefazioni e curatele

2017  Sarei più sola senza la solitudine  Pinacoteca di Ancona

2018  Premio Camposampiero,                  XIV ed. Presid. Giuria, A. Arslan

2018  L'azzurro dei giorni scuri,                III Edizione, Affinità Elettive Ed.

2019  Frammenti per un personaggio,      Affinità Elettive Edizioni

2020  La poesia di Costante Zoni,              Plaquette Serie Prima del Vischio

2021  La prima stagione è l'inverno,         Affinità Elettive Edizioni

2022  Lo sguardo che si alza                       Moretti e Vitali


 

Vita e opere

 

Maria Grazia Maiorino, nata a Belluno da madre veneta e padre lucano, dopo aver trascorso parte dell’infanzia e dell’adolescenza al sud, approda ad Ancona. Si laurea in lettere all’università di Urbino con Alessandro Parronchi. Dopo aver insegnato nelle scuole medie, si dedica a tempo pieno all’attività letteraria. Scrive poesie, racconti, saggi di critica letteraria i suoi testi sono apparsi in riviste e antologie. Per la poesia ha pubblicato: "E ho trovato la rosa gialla" (Forum, Forlì 1994); "Sentieri al confine", nell'antologia “7 poeti del premio Montale”, Scheiwiller (Milano 1997) "Viaggio in Carso”, Edizioni del Leone, (Spinea-Venezia 2000) "Taccuino bellunese" in “Poiesis” n. 21/22, Edizioni Scettro del Re, (Roma 2001); la raccolta di haiku “Dare la mano a un albero”, con prefazione di Paolo Ruffilli e fotografie di Giovanni Francescon, Edizioni Rocciaviva, (Belluno 2003); “Di marmo e d'aria”, Manni, (San Cesario di Lecce 2005); “I giardini del mare”, con disegni di Raimondo Rossi e prefazione di Gastone Mosci, Pequod, (Ancona 2011); “Di una luce acuminata”, plaquette a cura di G. Turria e G. Murasecchi, con quattro linoleum di Giovanna Caliari, stampata in cento esemplari numerati, Scuola di grafica-Accademia di Belle Arti, (Urbino 2015); “La pietra salvata” Il lavoro editoriale, (Ancona 2016); “Le rose di Anoar”, n. 124, Gattili edizioni (Milano 2016); due plaquette: “L’ angelo di Piero – Marisa Zoni” e “La piccola luna leopardiana di Costante Zoni”, rispettivamente n. 29 e n.32 di “prima del vischio” di Raimondo Rossi, Arti grafiche stibu (Urbania, 2017 e 2020).

Per la narrativa ha pubblicato un romanzo: “L'azzurro dei giorni scuri” (Pequod, Ancona 2006), ristampato in una nuova edizione da Affinità elettive, (Ancona 2018). Tre libri di racconti: “L’America dei fari” e “Angeli a Sarajevo”, Gwynplaine (Camerano-An, rispettivamente 2013 e 2015) “Frammenti per un personaggio”, Affinità elettive, (Ancona 2019). Di recente pubblicazione un testo misto di prosa e poesia: “La prima stagione che ricordo è l’inverno - Infanzia bellunese”, Affinità elettive (Ancona 2021).

Ideatrice del laboratorio di poesia “rosagialla”, ha organizzato molteplici iniziative culturali: il laboratorio di haiku nella Biblioteca Comunale “Benincasa” di Ancona (2000) il convegno “Le sponde della poesia” con scrittori e intellettuali marchigiani e balcanici (2001) la rassegna poetico-musicale “Le musiche della Biblioteca Benincasa” (Ancona-Pesaro-Senigallia, 2002) il laboratorio di haiku “Albero blu” (Mareno di Piave, Treviso, 2003) gli incontri di poesia e musica “Da donna a donna: riflessi di poesia” con autrici marchigiane (Ancona-Jesi, 2004), nell’ambito della Rassegna Scienziate ed artiste nelle Marche--Un contributo per la conoscenza del Novecento, del Laboratorio Culturale di Ancona il laboratorio di diaristica rivolto a familiari di malati di Alzheimer all'interno del progetto “La parola che cura” (2005-2006). In campo musicale ha inoltre partecipato nel 2003 al Concerto “Musica, haiku e immagini pittoriche”, Musica Nuova festival, XII edizione, a Senigallia al progetto Artiste in dialogo – Musica e poesia al femminile nella città di Giacomo Leopardi, dell’Associazione Artemusi(c)a: prima esecuzione per la festa della donna 2010 a Recanati, con repliche successive a Senigallia, Camerano, Ancona, Pesaro, San Benedetto del Tronto alla serata di musica e poesia, con Stefano Ragusini al pianoforte, nell’ambito della rassegna “Omaggio a Salvador Gandino / L’arte della musica attraverso la fotografia”, a cura del circolo “La finestra” di Porcia (PD). Sempre nel 2010 è stata invitata al festival-expo “Cartacanta” di Civitanova Marche, al quale ha partecipato con il libro d’artista “Dialogo tra il merlo e la foglia”, insieme al pittore Piero Piangelli.

Ha ottenuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Montale per l'inedito, ed. 1996 il Marianna Florenzi (edizione 1999) per la Poesia d'Amore (Università di Perugia, presidente della giuria Cesare Garboli) nel 2000 un suo componimento è stato finalista al Premio dell’Associazione “Amici del haiku”. Con la raccolta “Di marmo e d’aria” è stata finalista al Premio Giovanni Pascoli nel 2005. Ha vinto il secondo premio per la poesia in lingua “L’Aquila, Lo zirè d’oro”, nel 2007. Ha partecipato a tre edizioni del Premio nazionale di poesia “Il FIORE”, Chiesina Uzzanese (Pistoia): terzo premio nel 2002, finalista nel 2003, premio speciale Acsi e finalista nel 2004. Ha ricevuto il Prima Donna del CIF di Montecassiano, Macerata, ed. 2008. È stata nominata cavaliere della poesia dall'Accademia della Crescia di Offagna (2005). Terza classificata al premio “Rodolfo Mazzola”(AN) per una poesia sul tema del mare nel 2007. Nel 2016 ha vinto il primo premio del concorso letterario “Adriatico tra sponda e sponda“, organizzato dal Laboratorio Culturale di Ancona, presidente Luciana Montanari(AN) .Nel 2018, con il libro “La pietra salvata”, è entrata nella terna del premio “Camposampiero di poesia religiosa”, presidente della giuria Antonia Arslan.

E' presente in riviste cartacee e online: “Poesia” di Crocetti, “La Corte”, ”Argo”, “Poiesis”, “Nostro lunedì”, “Scirocco”, “Tracce”, “Verso”, “Paideia”, “Novanta9”, “L’immaginazione”, “UT,” “Corriere Adriatico”,“Dominicus” www.argonline.it , www.arcipelagoitaca.it, www.larecherche.it, www.fanocitta.it, http://ilmondodiutblog.blogspot.com

 

         Inoltre è presente in diverse antologie e collettanee:

Le donne raccontano: guerra e vita quotidiana, Ancona 1940-1945, a cura di Maria Grazia Camilletti, Istituto Gramsci Marche, n. 9/10, Ancona 1994

TRACCE, Premio letterario nazionale “Nuove scrittrici”, a cura di Nicoletta Di Gregorio. Edizioni Tracce, n.44/45, Pescara 1996

TRACCE, Premio letterario nazionale “Nuove scrittrici”, a cura di Nicoletta Di Gregorio. Edizioni Tracce, n.48/49, Pescara 1997

Guerra di resistenza. Le Marche dal fascismo alla liberazione, a cura di Ruggero Giacomini e Stefania Pallunto, Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione delle Marche, Falconara (AN) 1997

La Poesia delle Marche. Il Novecento, a cura di Guido Garuffi, il Lavoro e Editoriale 1998

Femminilità, Concorso letterario di narrativa e poesia ”Parole di donna”, Consulta femminile città di Lecco, a cura di Rosanna Cabras, Grafiche Cola, Lecco, marzo 1999

Atti dei convegni Fuoco, (Ancona, Il lavoro editoriale, 1999) e Aria, Battello Ebbro  (Porretta Terme, 2001), entrambi tenuti a Civitanova Marche a cura di Guido Garufi e Antonio Santori

Leggere il Novecento. Le Marche. Il Paesaggio. La Poesia, a cura di Guido Garufi,, Macerata 2004

Haiku negli anni. Haiku premiati dall’associazione nazionale amici dell’haiku dal 1987 al 2004, a cura di Nojiri Michiko e Carla Vasio, Empiria, Roma 2005

Scultura e Poesia, Angeli, Edizione Grafica Vadese, S.Angelo in Vado (PU) 2009

La passiflora non è una passeggiata en plein air, di Rita Vitali Rosati, Vanillaedizioni, Savona 2013

Femminile plurale. Le donne scrivono le Marche, a cura di Cristina Babino, Wydia, Montecassiano(MC)2014

S’agli occhi credi. Le Marche dell’arte nello sguardo dei poeti, a cura di Cristina Babino, Vydia,Montecassiano(MC), 2015

Umana, troppo umana. Poesie per Marilyn Monroe,a cura di Fabrizio Cavallaro e Alessandro Fo, Aragno, Torino 2016

UT sessanta, Antologia 2007-2017, a cura di Massimo Consorti e Francesco Del Zompo, I quaderni di UT, n.2, Fast Edit, Acquaviva Picena (AP) 2017

La visione del mondo al femminile, a cura di Luciana Montanari, Quaderni del Consiglio regionale delle Marche,n. 262, Ancona, ottobre 2018

Una notte magica. Antologia proustiana, a cura di Giuliano Brenna e Roberto Maggiani, Larecherche.it  2019

Arte e scienza: quale rapporto?, a cura di Giuliano Brenna e Roberto Maggiani, LaRecherche.it, 2020
Urbino in un giorno di sole, poesia di M.G. Maiorino

Quarantena a Combray, Antologia proustiana, a cura di Giuliano. Brenna e Roberto Maggiani, LaRecherche.it 2020

Dalla naftalina alla luna, di Rita Vitali Rosati, Affinità elettive, Ancona 2021.

 

 

 

 

Tra le recensioni e RASSEGNA STAMPA si segnalano:

L. Niccolini, E ho trovato la rosa gialla, Quei versi odorosi di M.G Maiorino, ”Corriere Adriatico”,6 dicembre 1994

L. Niccolini, Donne di guerra, narrazione al femminile, “Corriere Adriatico”, 18 febbraio 1995

T. Carfagna, Roma per Montale, tra i vincitori M. G. Maiorino, “Corriere Adriatico”, 8 giugno 1996

L. Niccolini, Ancona, L’haiku in un laboratorio di poesia, “Corriere Adriatico”, 16 maggio 1999

F.S. (F. Scarabicchi?), Viaggiare in Carso, “la Prima”, luglio 2000

C. Benussi, Haiku italiani, ovvero haiku, “La nuova tribuna letteraria 60, 2000

M. Lenti, Viaggio in Carso, Edizioni del Leone, 2000,”Punto di vista”, n.27, gennaio-marzo 2001

L. Niccolini, Ad Ancona gli esuli albanesi e bosniaci, la poesia che unisce, “Corriere Adriatico”, 1 aprile 2001

L. Niccolini, Haiku di terra, frammenti di luce in tre versi brevi, Corriere Adriatico”, 21febbraio2002

V. Cuccaroni, Le sue poesie belle come fiori, Maiorino premiata a Pistoia, “Il Messaggero”, 4 agosto 2002

L. Niccolini, Poetico dialogo con la natura, “Corriere Adriatico”, !4 novembre 2003

S. Marchetti, Garufi e i testi dell’armonia,” Il Resto del Carlino”, 11 agosto 2004

L. Niccolini, “Nostro lunedì”, Ricordando Franco Scataglini, 2004

V. Cuccaroni, Poeti e bambini, incontri a scuola a Matelica, “Il Messaggeo”, 2004

V. Cuccaroni,Maiorino, la poesia di marmo e d’aria,” Il Messaggero”, 31agosto 2005

L. Niccolini, Di marmo e d’aria è il rimpianto dell’amore, “Corriere Adriatico”, 22 maggio 2006

P. Lucarini, Di marmo e d’aria, Manni 2005, “Atelier”, n.42, giugno 2006

L. Niccolini,Le armi del cuore e delle emozioni -L’azzurro dei giorni scuri,” Corriere Adriatico” 24 settembre 2006

M. Lenti, M. G. Maiorino, Di marmo e d’aria, “Polimnia”, n 8, ottobre-dicembre 2006

A. Luccarini, M G. Maiorino, Una poetessa straniera nella sua città,”Il Messaggero”, 10 giugno, 2007

G. Duca, Ho sognato che poesia era una nave- Dialogo con M. G. Maiorino, “Scirocco”, n. 21, 2008

G. Duca, M. G. Maiorino, L’azzurro dei giorni scuri, “L’immaginazione”, aprile 2008

G. Duca, M. G. Maiorino, l’azzurro dei giorni scuri, “Fermenti”, n 1, 2008

R. Montesi, Intitolazione del parco del Cardeto a Scataglini, - I ricordi, “Il Resto del Carlino, 25 luglio, 2010

A. Luccarini, I fiori segreti di M.G. Maiorino, “Il Messaggero”, 11 0ttobre, 2011

A. Luccarini, Le emozioni di Maiorino per tornare a sperare, “Il Messaggero”, 27 dicembre, 2011

M. Lenti, I giardini del mare, disegni di Raimondo Rossi, ”Il Convivio”,  n. 1, gennaio- marzo 2012

G. Duca, M. G. Maiorino, I giardini del mare, “Novanta9”, n.15, agosto 2012

V. Cuccaroni,  I giardini del mare, con disegni di Raimondo Rossi, “ Poesia”, n. 270, 2012

A. Luccarini, L’America dei fari, frammenti della realtà, “Il Messaggero, 18 giugno 2013

G.P. Grattarola, L’America dei fari, https://www.mangialibri.com/lamerica-dei-fari

L. Niccolini, Delicatezza e tristezza nei racconti de L’America dei fari,“Corriere Adriatico”, 16 novembre 2013

G. Duca, Alfabeto della vita nei racconti di M.G.Maiorino , Angeli a Sarajevo,  22 febbraio 2016
https://www.argonline.it/maria-grazia-maiorino-angeli-a-sarajevo-racconti-gwynplaine-2015-germana-duca/

A. Luccarini, Gli angeli di Sarajevo toccano i cuori e le coscienze, “Il Messaggero”, 24 maggio 2016

Tullio Bugari, Recensione di Angeli a Sarajevo, Le Marche in biblioteca, www.altroviaggio.org, 10 ottobre 2016
http://www.altroviaggio.org/tag/gwynplaine-edizioni/

Anna De Simone, La poesia di M. G. Maiorino,  n 16, novembre 2016
http://www.ilponterosso.eu/2016/10/04/la-poesia-di-maria-grazia-maiorino/

Anna De Simone, La pietra salvata, M.G.Maiorino, “Poesia”, n 324, marzo 2017

L. Niccolini, In una rosa a Portonovo la bellezza delle donne, “Corriere Adriatico”, 18 giugno 2017

Guido Garufi, Acqua, Pietra, Parola, 26 novembre 2017
https://www.pelagosletteratura.it/2017/11/26/acqua-pietra-parola/

L. Niccolini, La pietra salvata, nota di lettura, www.arcipelagoitaca.it, XXIII apparizione

G. Mosci, Leggere la poesia di M. G. Maiorino, www.fanocitta.it

E. Loggi, La pietra salvata, il nuovo libro di M. G. Maiorino, 27 marzo 2018
http://www.ilgraffio.online/2018/03/27/nel-soffio-della-poesia-la-pietra-salvata-libro-maria-grazia-maiorino/

Luca Marin, Nei versi il senso del divino, Premio Camposampiero, “II Gazzettino”, 9 dicembre 2018

Maurizio Rossi, M. G. Maiorino, La pietra salvata,  “Periferie”, 28 luglio 2019
https://poetidelparco.it/la-pietra-salvata-di-maria-grazia-maiorino/

V. Cuccaroni, Frammenti, racconti firmati M.G.Maiorino, “Il Resto del Carlino”, 27 febbraio 2020

E. Loggi, Frammenti per un personaggio, M.G. Maiorino, 21 marzo 2020.
http://www.ilgraffio.online/2020/03/21/frammenti-un-personaggio-racconti-maria-grazia-maiorino/

 

 

 

 

 

SAREI PIù SOLA SENZA LA SOLITUDINE

Riflessioni  di Maria Grazia Maiorino sulla sua scrittura narrativa e, in particolare, sul racconto

 

Il titolo dato a questo incontro è costituito dai primi due versi di una celebre lirica della poetessa americana Emily Dickinson, vissuta a Amherst (Massachussetts) nel 1830 e qui morta nel 1886. E’ considerata tra i più grandi lirici moderni. La sua opera, con l’eccezione di sette poesie pubblicate in vita, apparve in varie edizioni postume incomplete nel 1955 uscì la prima edizione critica.

Il titolo, scelto subito, d’istinto, non prelude alla trattazione del tema della solitudine nella mia scrittura, ma vuole essere piuttosto una provocazione. Nell’era dei social, delle connessioni e della visibilità a tutti i costi, continuo infatti a pensare e a sperimentare che, almeno per me, lo spazio della creatività è una stanza interiore nella quale è possibile raccogliersi, fare silenzio e prestare ascolto. Non una torre d’avorio in cui rinchiudersi, ma un luogo aperto dove poter sentire la risonanza che i fatti reali, i sentimenti, i dubbi, le inquietudini, gli incontri, le fantasie, i sogni, hanno dentro di noi.

Risonanza è una parola importante, viene dalla fisica e dalla musica, la uso per indicare le onde sonore del reale quando ci raggiungono facendo vibrare qualche corda dentro di noi e si cercano le parole per dirlo. Risonanza è stato per molto tempo il titolo delle storie che andavo raccogliendo fin dagli anni Novanta del secolo scorso, in un cammino parallelo a quello della poesia. Ma le raccolte di racconti sono uscite molto più tardi e sono quelle che presentiamo qui: L’America dei fari (2013) e Angeli a Sarajevo(2015).

In un famoso scritto sulla figura del narratore, Walter Benjamin diceva dell’umiltà di cui questi deve dare prova. Chi racconta è qualcuno che sta accanto alla realtà che “sa orientarsi sulla terra senza avere troppo a che fare con essa”. La solitudine così intesa è una condizione esistenziale non più subita come destino, come stigma e sofferenza, ma vista come una compagna necessaria per la consapevolezza di sé e per intessere la propria relazione con il mondo. Relazione è un’altra parola importante per entrare nella mia scrittura e a questo proposito mi piace citare la quarta di copertina della seconda raccolta – non sempre gli autori sono soddisfatti delle sintesi spesso scritte soprattutto per vendere il libro, ma qui sentiamo la voce di una donna, di una lettrice partecipe che ha colto qualcosa di essenziale: “L’anima dei racconti in Angeli a Sarajevo è la relazione vissuta nelle sue varianti amicali, carnali, materne e artistiche. Ci sono amicizie a distanza che si nutrono di parole, di passioni comuni, di confronto, c’è l’amore che vive tra le macerie delle due guerre e ancora incontri che sovvertono l’ordine di una vita. La mente protagonista cuce le esperienze, le vive le rielabora per cercare un ideale porto franco, una nuova “casa delle iris”, un nido finalmente compiuto dove si uniscono solitudini e si genera poesia”. Sono parole ispirate, molto belle, immeritate. Ve le offro perché non sono le mie, perché mi hanno dato coraggio.

E’ vero, spesso i racconti si sono costruiti così, attraverso interviste domande curiosità verso le storie che volevano essere raccontate ma non potevano farlo con le voci dei loro protagonisti. Hanno attraversato la mia intimità per venire alla luce, e questa soggettività trapela di tanto in tanto, non viene nascosta. Chi scrive si mette in gioco, azzarda il discorso metanarrativo, chiede partecipazione e complicità a chi legge. Le storie sono spesso costruite per sequenze, mettendo a fuoco alcuni momenti e lasciando tra un frammento e l’altro uno spazio bianco, che sottintende un passaggio, un salto di tempo e di luoghi. Non si snodano quindi in modo realistico, oggettivo, secondo una trama- sceneggiatura potrebbero forse rientrare nel filone che viene chiamato Realismo magico: affiorano le piccole epopee del quotidiano, i momenti di grazia, in cui la vita non viene fotografata ma ricreata prendono forma le possibilità mancate, le trame della mente e le figure dell’inconscio si intravede un Oltre che è l’essenza di tutto  – questo almeno nelle intenzioni dell’autore.

Nella letteratura italiana il racconto come genere letterario ha una felice tradizione a partire dall’origine, dal Decamerone, fino a giungere al Verismo, alle novelle di Giovanni Verga, di Pirandello, di Grazia Deledda, e ai libri di molti altri autori del Novecento fra tutti mi piace ricordare Bestie di Federigo Tozzi, i Sillabari di Goffredo Parise e Il mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese. Il racconto è un tipo di narrazione che in un certo senso è a metà strada fra poesia e romanzo, e non ha bisogno di architetture complesse. Un racconto può cominciare e finire quando vuole, può essere anche di una sola pagina, o può essere lungo si legge tutto d’un fiato, in mezz’ora o un’ora, e questo mi sembra che nei tempi in cui viviamo possa essere un vantaggio. Ma gli editori non amano i racconti e scoraggiano chi li scrive a pubblicarli.

Le mie storie sono nate dal desiderio di sviluppare qualcosa che sentivo troppo compresso nella sintesi dei versi, nei quali c’erano fin dall’inizio spunti narrativi e personaggi. Ricordo che quando fui invitata a scrivere una paginetta sulla mia poetica, al tempo del mio esordio con E ho trovato la rosa gialla, (1994), scrissi che mi piacevano le poesie che assomigliano ai racconti e i racconti che assomigliano alle poesie e intitolai il testo Metafisica e pettegolezzi: registro alto e basso, epifania e spunto di cronaca, erano già allora presenti e uniti nel mio modo di intendere la scrittura.

Si scrive anche per questo, secondo me, per unire ciò che è separato – pubblico e privato, assenza e presenza, vicino e lontano, i vivi e i morti, il visibile e l’invisibile – nella repubblica dell’immaginazione cadono le ideologie, le divisioni e le contrapposizioni, perché non ci basta più la facoltà della ragione ma ci affidiamo al linguaggio dell’analogia, delle metafore e dei simboli, attingendo alle profondità del cuore, dei sentimenti, che sono universali e accomunano gli uomini e le donne di ogni paese.

A guardarli adesso, raggruppati in due libri che portano nel titolo figure care e ricorrenti anche nella mia poesia, il faro e l’angelo, mi sembra che questi racconti, di taglie, temi e tempi diversi, possano costituire una specie di romanzo-mosaico, nel quale c’è un filo rosso a unire tutte le tessere, una luce, potremmo dire, particolare, quella dello stile. Avviene qualcosa di misterioso nella lingua di uno scrittore, quando si spinge in una regione remota della propria anima egli sente nascere dentro di sé quasi una lingua straniera che detta il ritmo, le parole, l’andamento della frase, e sa che deve porre una grande attenzione alla forma, all’esattezza e al tempo di un verbo, all’imprevedibilità di un aggettivo, per esprimere la sua visione come un’onda risonante, come un raggio di luce.

Nel Novecento con il Modernismo, con scrittori come Henry James, Virginia Woolf, Proust e molti altri, all’idea del romanziere ottocentesco, che offre un ritratto “oggettivo” della realtà, si sostituisce quella di una presentazione “soggettiva” della realtà dal punto di vista di un narratore (o di un personaggio) coinvolto nella vicenda, il quale dà una versione personale degli avvenimenti, li racconta filtrandoli attraverso la sua sensibilità, li interpreta piuttosto che fotografarli, o meglio li ricrea attraverso uno stile, una voce precisa e riconoscibile. In fondo non siamo lontani dalla trasfigurazione poetica e dall’intento conoscitivo di cui la parola scritta vorrebbe farsi portatrice.

“Non è poetico quel voi. E’ strano un sentimento provato per tante donne. Molto meglio che diventino una, che quel voi si trasformi in un tu”. L’identità di Irene, la protagonista che tiene il filo di alcuni racconti, si costruisce sulla pronuncia di un NO. Dire no a un maestro. Dire no a un modo maschile, assoluto e accentratore, di guardare il mondo. Dire no a una visione del femminile che cerchi approvazione, conformandosi ai modelli esistenti, e disegnarne un’altra a partire da uno scontento, da una confusa insoddisfazione sentita proprio nel cuore della rivolta femminista. Il desiderio rimasto vuoto, nonostante la folla di parole che negli anni Settanta sembravano riempirlo, dà vita a una costellazione di storie simile ad altrettante domande. Che cosa farne della poesia? Può esistere una maternità ideale? C’è consolazione per la vecchiaia che ci aspetta? A che cosa servono i ricordi se non possono cambiare il nostro passato? Perché la mancanza a volte ci affascina più della pienezza? Perché la disciplina di un’arte lontana riesce a contenere l’ansia come una melodia del corpo, riportandoci al ritmo naturale delle stagioni? Come si può incontrare l’Altro amandolo per quello che è?

Si è molto parlato del Sessantotto, spesso tentando bilanci che non tornano. Le corde più varie hanno suonato: dalla nostalgia alla tentazione di rinnegare tutto, dal trionfalismo alla rimozione. Forse in questi anni, non più così “formidabili”, la scrittura può ancora permetterci di sostare intorno all’enigma senza cercare testardamente di risolverlo: in zone che appartengono alla storia, alla società, ai singoli individui e sono contemporaneamente senza tempo e di tutti.

Se l’ascolto prevale sul giudizio, se i personaggi ci innamorano, se ci assale lo struggimento per chi non ha voce e un impulso a non dimenticare nessuna vita, forse alla fine un disegno si vedrà, e sarà ogni lettore a vedere il proprio. Ad ascoltare la sua musica entrando in risonanza con la coralità che sale dalle pagine.

Un altro filo importante è certamente la natura, e in particolare la terra marchigiana, dal mare all’Appennino, dal profilo delle colline a quello dei paesi, con i suoi personaggi che aleggiano come numi protettori, con la città di Ancona incastonata come un luogo pavesiano tra desiderio di fuga e nostalgia, tra bisogno di appartenenza e rilkiano sguardo degli addii. Da un porto che è sogno di navi, punto di partenza per viaggi reali e soprattutto interiori, alla continua ricerca di un essere più lieve, capace di piegarsi e di risollevarsi – di spogliarsi nudo come uno stelo di ginestra e di attendere sempre la fioritura. L’aperto spesso evocato per esorcizzare la solitudine, per placare la tensione di pensieri, dialoghi, immagini, ricordi, di rappresentazioni per interni dove le donne sono spesso protagoniste e voci narranti.

Nel raccontare parole e pensieri si associano in modi rotolanti, nel gioco libero delle analogie, come a indicare un altro tempo, soggettivo, onirico, fatto di istanti, di “momenti di essere”(Moments of Being,secondo la bella definizione di Virginia Woolf), ma anche di “momenti di non essere” –vorrei aggiungere – con uno sguardo rivolto al superamento delle antinomie, a una visione unitaria del nostro vivere, nell’accettazione e nel superamento delle apparenti contraddizioni.

 Maria Grazia Maiorino

 

Testo pubblicato, insieme a brani scelti da L’America dei fari, in Angeli a Sarajevo, nel racconto inedito “Body Building” e, infine,  in Frammenti per un personaggio; è riportato anche nel volume La visione del mondo al femminile, a cura di Luciana Montanari, Quaderni del Consiglio regionale delle Marche, Anno XXIII, n. 262, ottobre 2018

 

 

 

La rosa e l’angelo. Note sulla mia scrittura poetica

 

Testo letto dalla Maiorino nell'incontro di Fonte Avellana del 2011

con una integrazione riguardante l’ultimo libro, La pietra salvata, che ha ricevuto il premio Camposampiero.

 

Mi piace introdurre questo breve intervento con le parole di Dietrich Bonhoeffer, da una lettera di Resistenza e resa: “Non c’è praticamente sensazione che renda più felici dell’intuire che rappresentiamo qualcosa per altre persone. In questo ciò che conta non è il numero ma l’intensità. Alla fine le relazioni interpersonali sono senz'altro la cosa più importante della vita… ma che cosa sono per me il libro, il quadro, la casa, la proprietà più belli, di fronte a mia moglie, ai miei genitori, al mio amico?... L’esserci-per-altri di Gesù è l’esperienza della trascendenza. Fede è il partecipare a questo essere di Gesù (incarnazione, croce, resurrezione).

Oggi rileggo queste parole con commozione considerandole una bella meta da raggiungere, ardua, ma la luce di questo faro è così intensa da gettare raggi di consapevolezza sul mio umile oscuro cammino, presente e passato, permettendomi di ridisegnare un intreccio nel quale ho sempre creduto: quello fra vita e letteratura. Credo che la mia scrittura poetica sia nata dal bisogno di cercare/trovare segni, simboli, sogni, colori, immagini che additassero la possibilità di trascendere e/o ricomporre la realtà.

Il primo libro è intitolato Ho trovato la rosa gialla: è una rosa vera, una rosa d’inverno a Portonovo essa segna un momento cruciale, personale e storico – il distacco dal femminismo e dalla politica e l’inizio di un cammino interiore verso un’identità sofferta ma autentica, costruita non sull’adesione a slogan e a razionalizzazioni, ma sul contatto faticosamente ristabilito tra cuore e mente, tra sensazioni e ragione. La poesia ha accompagnato questo cammino, ha incarnato in figure a volte enigmatiche ciò che non poteva essere raccontato altrimenti la poesia è lo spazio dove l’immaginazione lavora in tutta dignità e libertà, in un ambito in cui è autorizzata a farlo, secondo l’insegnamento di Gaston Bachelard, che me ne avrebbe dischiuso gli infiniti orizzonti, anche in relazione ai quattro elementi (e pensare che nel ’68 perfino leggere romanzi era “proibito”!).

Viaggio in Carso è il secondo titolo: Carso come luogo reale e come luogo simbolico, il mio fiume sotterraneo, l’ago della mia bussola che già indicava il nord, la terra della madre, della lingua, dell’origine, e anche dell’addio all’amore vissuto e rivissuto nel racconto di un ultimo viaggio. Mescolanza di versi e prosa, diario a più voci con inserti di autori amati che ispirano e accompagnano il cammino.

Nel terzo libro, Di marmo e d’aria, l’amore è già cantato in assenza e l’ispirazione sperimentata veramente come tale. Infatti non avrei mai immaginato che la poesia potesse soccorrermi nel momento della perdita più atroce altre volte era sceso un silenzio impotente e chiuso anche sui miei quaderni, invece l’amore ha vinto la morte suggerendomi immagini, desideri, invocazioni, ricordi, tutto quanto poteva tessere un dialogo. La poesia ha dato forma a un altro spazio e a un altro tempo, dove anche il commiato potesse seguire modi più dolci, profondi e musicali. Con gli occhi di adesso vedo già l’atteggiamento della preghiera, più chiaro e consapevole nella raccolta intitolata I giardini del mare. Di una cosa sono certa: se non avessi avuto la possibilità di questo “esercizio spirituale” della scrittura, sfociato nel quarto libro di poesie e nel romanzo dedicato a mia madre, L’azzurro dei giorni scuri, non avrei potuto dare alla sofferenza anche il volto di una pacificazione, di un ritrovamento, proprio nel senso proustiano del termine.

Non a caso, pensando agli autori che sono i miei numi tutelari, in capo al corteo ci sono loro due, Marcel Proust e Virginia Woolf, che così profondamente hanno analizzato l’animo umano con parole di poesia, pur non essendo considerati poeti. E una terza ce n’è, a guidare quello che è in effetti un folto esercito – visto quanto bene mi ha donato la lettura fin da quando ero bambina – ,Emily Dickinson, poetessa americana dell’ ‘800, capace di parlare con il cielo come se fosse un vicino di casa e contemporaneamente arcana figura di assoluto. Da lei ho cercato di imparare semplicità, concisione, confidenza con gli astri, le montagne, il mare, la solitudine e perfino la morte, una poesia che si trasforma continuamente in orazione, in colloquio con il divino, e che si specchia negli esseri più piccoli e all’apparenza insignificanti un alto pensiero poetante in metafore del femminile, dell’accoglienza e della bellezza. A lei si collega la mia genealogia di poeti angloamericani (quelli italiani fortunatamente facevano già parte dei miei studi scolastici), da Amy Lowell a Sylvia Plath, da Pound a Eliot a William Carlos Williams, da Edgar Lee Masters a Wallace Stevens e a Louise Gluck. Su questi due ultimi vorrei soffermarmi.

Stevens è stato una scoperta importante venuta dalla pratica dell’haiku e della meditazione zen. Nato in Pennsylvania nel 1879, visse quasi sempre nella città di Hartford, Connecticut, dove dirigeva una delle maggiori compagnie di assicurazioni americane. Il mondo come meditazione: ultime poesie 1950-1955 si intitola una sua raccolta, pubblicata da Adelphi, nel 1986, la prima che lessi, anni fa il titolo, tratto da quello di una poesia, contiene una sintetica dichiarazione della poetica di Stevens: opporre alle frammentazioni e lacerazioni del nostro tempo la possibilità di una poesia della coscienza come mondo, additato attraverso illuminazioni ed enigmi destinati a rimanere tali esplorato attraverso uno scandaglio durato tutta la vita, nutrito di letture bibliche, coerente, teso alla bellezza e alla spoliazione, all’osservazione della natura nei suoi elementi essenziali, e alla contemplazione dell’umano fino alla fascinazione degli aspetti angelici che possono irradiare da esso.

Ed ecco la poesia messa in esergo a I giardini del mare, alcune strofe da Angelo circondato da contadini. Una natura morta, in un quadro ricevuto in dono, ispira il poeta a scrivere questo monologo-risposta alla domanda che costituisce l’incipit del testo: C’è forse un benvenuto alla porta a cui nessuno viene? Così, in una specie di annunciazione laica, assistiamo all’apparizione di un angelo che è nello stesso tempo realtà incarnata e infinita possibilità, pronuncia sulla soglia dell’indicibile come acquee parole nell’onda L’angelo necessario, come qui viene chiamato, è anche il titolo dato da Stevens alla sua unica raccolta di saggi (ed è significativo che Massimo Cacciari intitoli un suo libro L’angelo necessario, proprio in omaggio al poeta americano, rivalutato da noi dopo il riflusso degli anni Ottanta). Egli ha rinunciato alla religione dei Padri Pellegrini, sbarcati nella Nuova Inghilterra nel 1620, ma con la stessa forza e fede nella parola ha fatto una “religione” del sentire, del vedere, e dell’essere, come afferma Massimo Bacigalupo nella bella Antologia da lui curata per le edizioni Einaudi, Harmonium (1994), dal titolo della prima raccolta di versi, pubblicata da Stevens all’età di 44 anni. L’harmonium evoca musicalità e sacralità, ma anche un’ atmosfera quasi domestica di piccole chiese di campagna è uno strumento moderno che sta all’organo – osserva acutamente il critico – come l’America sta all’Europa.

Infine L’iris selvatico di Louise Gluck, considerata uno dei maggiori poeti americani contemporanei, uscito nel 1993 e per me lettura recentissima. Un giardino dove i fiori parlano direttamente con il poeta-giardiniere e alle loro voci si alternano la voce di Dio e quelle dei canti di vespri e mattutini: insomma anche qui una meditazione molto colloquiale con echi orientali che mi ha ricordato l’haiku di Momoko Kuroda: Sul monte ai fiori /dei mille alberi più alti / chiedete ai fiori.

Ho spesso pensato all’ultimo verso, chiedete ai fiori, come a un mio possibile titolo, tanto questa domanda mi è entrata nella mente e nella pelle. Dal tempo della rosa gialla sono passati più di vent’anni e mi sembra di non avere fatto altro che sfogliare quella rosa dai petali inesauribili, che ora riappare come Volto, volto marino e volto cancellato (è l’immagine che ho scelto per la copertina fra gi angeli donati da Raimondo Rossi e che ho accostato alla poesia I giardini del mare,). La rosa rifiorisce invisibile in fondo a un giardino ancora più vasto e simbolico, quello del mare, protagonista assoluto della seconda sezione del libro ma presente sempre, non solo come classica figura dell’inconscio e infinito orizzonte, ma anche come compagno, come fondale della memoria, come possibilità di ricomposizione, di ascolto e di preghiera. A condizione di mollare gli ormeggi, di abbandonare vecchie certezze, di accettare il mistero e di imparare a vivere sempre più profondamente l’eternità di ogni istante di pienezza e di vero incontro, nella gioia come nel dolore l’unica eternità a noi concessa qui sulla terra. Empatia vissuta e raccontata con ogni essere, umano, vegetale, inorganico, affinando la capacità di cogliere il momento in cui avviene una “carezza” e una breve epifania illumina la scena.

Intanto si può dire che chiunque preghi si mette in attesa di qualche intervento diverso e superiore e in realtà si esprime con parole poetiche, con dei motivi poetici che generalmente sono offerti per noi dalla grande tradizione cristiana  …  La poesia, quando è poesia di un vero poeta, non può che dare mano a trasformare la preghiera in una forma che è di tutti. Ecco perché il grande libro della poesia del nostro secolo, come del resto di tutti i secoli passati, è sempre una poesia che non si sottrae alle domande eterne dell’uomo.(Carlo Bo nel saggio Poesia e preghiera del 1992, ripubblicato nel recente volumetto del Premio di Poesia religiosa di Sassoferrato). Il discorso poetico, che si piega naturalmente verso la preghiera, e viene infatti definito come verticale rispetto all’orizzontalità della prosa, può rimanere in un territorio del tutto laico o può venarsi di fede, essere attratto dal sacro, dai riti, dalle figure, dai dogmi che appartengono alla religione può diventare poesia religiosa, mistica, invocazione, lode, supplica, parola che sempre più sfida l’ineffabile e la trascendenza. Per quanto riguarda me posso concludere dicendo che finora la poesia è stata la mia fede - spero che in futuro possa nascere la poesia della mia fede.

 

Aggiungo a questo scritto, dopo dieci anni, un cenno al libro successivo edito nel 1916: ha un titolo emblematico, La pietra salvata, e credo abbia realizzato la mia speranza riguardo al cammino spirituale, portandomi anche fisicamente nei luoghi dei pellegrini, la Terra Santa e Lourdes, ma soprattutto testimoniando l’approfondimento ulteriore di una spiritualità volta sempre di più alla ricerca di un legame, nel senso più ampio del termine, tra la terra e il cielo. Ho partecipato a un solo premio, Il prestigioso Premio di Poesia Religiosa di Camposampiero, ed. 2018, dedicato a David Maria Turoldo, che è stato per tanti anni presidente della giuria, e sono entrata nella terna dei finalisti. Questa la motivazione, letta durante la cerimonia, che si è tenuta nell’auditorium dei Santuari Antoniani a Camposampiero (PD) dalla scrittrice Antonia Arslan, l’attuale presidente della giuria:

“Un’aspirazione alla bellezza che si rivela come una forza intimamente religiosa percorre come una corrente veloce, e dà sotterranea unità a ogni paesaggio, ogni figura, ogni tappa, di questo libro

interessante e stimolante, che appare davvero – fin dal titolo e dalla splendida copertina, che riproduce una “croce di pietra” medievale armena incisa come un ricamo nella pietra, dal simbolo circolare dell’universo su su fino alla Crocifissione – come una riflessione sulla vita, sulla morte, sul divino.

Una riflessione unificata e resa poesia da uno sguardo di ferma, consapevole saggezza. Paesaggi, fiori, persone, città vengono attraversati da una forte tensione creativa e si riflettono in una parola poetica connotata da un timbro e da un ritmo segreto di malinconia diffusa, che ogni tanto si accende in luminosi colori, come improvvisi slanci di affettuosa adesione al mondo creato e di ricerca di Dio.

Ogni sezione del testo contribuisce a tracciare l’itinerario di questo percorso verso la “pietra salvata”: partendo dalle occasioni di scrittura estemporanee di un blog l’autrice si addentra in fulminei ricordi delle sue tante patrie (come l’appartata piazzetta si Santa Maria dei Battuti a Belluno), disegna nell’aria una serie di eleganti haiku cui dà un titolo importante (Come un perdono), e approda al Viaggio in Terrasanta e alla mistica Gerusalemme, “Madre delle madri – approdo degli approdi / esilio degli esili – croce delle croci / ancorata sul Monte e ogni volta disfatta / come una tenda dei patriarchi”.

Maria Grazia Maiorino                         
Monastero della Croce                         
Fonte Avellana(PU), 6-8 luglio 2011   

 

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MARIA GRAZIA  MAIORINO

Insegnante Poetessa Scrittrice

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