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Maria Grazia Maiorino

DI MARMO E D'ARIA



 

 

Da IVª di copertina

 

Un costante ritmo interno anima versi stesi su uno spartito che accomuna musica e silenzio a dire di perdita e ritrovamento, di dialogo e mutismo, di segni certi e di esclusioni, di esistere e morire. La vita si racconta così: l’ossimoro regna sovrano.

 

OCCASIONI   Collana curata da Anna Grazia D Oria

© 2005 Piero Manni s.r.l.   Via Umberto I, 51 - San Cesario di Lecce
e-mail: info@mannieditori.it      www.mannieditori.it
 

In copertina: Carlo Carrà, Vele, 1937     Progetto grafico di Vittorio Contaldo

 

 

INDICE

DI MARMO E D'ARIA (1998-1999)
(Alcuni testi appaiono cliccando le voci evidenziate)

     Esergo

  9 Come turgide lacrime cadute

10 Ti porto il biancheggiare veloce delle    rondini

11 Ridere e piangere insieme      quest’emozione certa

12 Anche la morte

13 Hermes Orfeo Euridice

14 Ti cerco nelle nuvole chiare

15 Che cosa resta? cielo critto

16 Seduti in poltrona

17 Il grillo stecco mi è volato dalle mani

18 Ora ascolto più a lungo

19 Letti tutti i libri

21 Come ventate passano gli amici

22 Toccano terra

23 Il bisogno di parlare dei morti

24 Che cosa faresti al mio posto stasera?

25 Ogni volta dove ti vedo?

26 Mi è bastato

27 Dopo la morte si potesse avere

28 In cielo è ricomparso l’azzurro

29 Amore stasera ha mille braccia

30 Ancora una domenica di sole

31 Per te

32 Lei è bionda e c’è il vento

33 Se ti penso come un guscio

34 Cielo di quando tutti i desideri

35 Avrei voluto scegliere un dolore

36 Oggi tu c’eri

37 Io e te Alice

38 Non essere attraversato

39 Scompaginate

40 Spalancati come due abissi

41 Le ninfee di Monet

 

TACCUINO BELLUNESE (1999)

45 I due castagni sono molto vecchi

46 Riconosco subito la casa

47 Cimitero di montagna quadrato

48 Lui resta davanti al televisore

49 A spandere la luce della neve

50 Disabitato il giardino e la sua villa

51 S’illuminano di gialli paglierini

52 Entri disegnato dalla notte

53 Vibrò

 

FIGURE  (1998-2004)

59 Ho chiamato sorella la tua assenza

60 Alice ti scrivo spettinando

61 Ferma a semaforo

62 Tra una pioggia e un ’altra pioggia

63 Napoli ha colori di cartapesta

64 Arrivato da un’altra stagione

65 Fra quinte grigionere

66 Carta d’identità

67 Tenue vernissage dei nostri frammenti

68 Quando la nostalgia ti porta sempre al  mare

69 Oggetti a un tratto apparite

70 Nel cerchio delle luci dei paesi

71 Di un viaggio in Jugoslavia

72 Mare che continuamente ritorna

73 C’è un mare amato dalla terra

74 La canzone del lilla

75 Giacinto bianco

76 Erba di pratoline sponda innevata

77 Solita ora di un giorno qualunque

78 Gatto che dal melo scendi giù

79 Venticinque anni dopo

80 Padre da dove ritorni?

82 Note

-- Recensioni di Gastone Mosci

-- Recensione di Germana Duca

 


 

 

Maria Grazia Maiorino,  Il Messaggero  31/08/2005 http://www.mannieditori.it/rassegna/maria-grazia-maiorino-di-marmo-e-daria

La poesia di marmo e di aria
di Valerio Cuccaroni
 

Di marmo e d’aria come le iscrizioni dei templi corrose dal vento. Il titolo del nuovo libro di Maria Grazia Maiorino (Di marmo e d’aria, Manni, Lecce 2005) dice il segreto nascosto nelle sue pagine, quell’ansiosa ricerca di un amore scomparso troppo presto e delle parole per elaborare il lutto, che rappresenta il leit motiv della prima omonima sezione. Una ricerca che può contare su molte tracce, lasciate nelle tele che decorano la casa e nei mobili costruiti dalla mano sapiente dello scomparso. Ma che si rivela una ricerca tormentosa, perché al suo posto l’amore scomparso ha lasciato un vuoto vertiginoso. A riempirlo la poetessa chiama gli oggetti. i sogni e i ricordi, ma un grido musicato, note di pianto ne escono, lancinanti, per quanto discrete, fatte di immagini e non di lamenti.

Di marmo e d’aria racconta l’elaborazione di un lutto, tentata con tutte le armi, ma prima di tutto con quelle della scrittura e della magia, la magia di Bruno, che deriva dalla profonda conoscenza della natura. Maiorino è sempre stata poetessa della natura, panica, e ciò ritorna nelle altre due sezioni del libro. In Taccuino bellunese (1999) leggiamo: ho sfumature minerali vene/ che scorrono nei monti piene/ rimbalzanti di torrenti e placide/ rive fluviali e in Figure (1998-2004): vorrei raggiungere/ la grazia animale – essere come te/ una con il mondo.

Nonostante i più strazianti dolori, Maiorino è riuscita ancora una volta a proiettarsi fuori di sé, e questa dote ha premiato l’Accademia della Crescia di Offagna, conferendole il titolo di “Cavaliere” lo scorso 30 luglio, per i suoi meriti nel campo della poesia e della promozione culturale.

Valerio Cuccaroni

 

 

Di marmo e d'aria di Maria Grazia Maiorino

Una poesia di visitazione,

Gastone Mosci, “Novanta9”, L’Aquila, giugno 2007, n.10

 

Ho partecipato, in Urbino e in Ancona, alla presentazione dell’ultimo libro di poesia di Maria Grazia Maiorino, “Di marmo e d’aria” (Manni 2005) e mi sono ritrovato a fare alcune riflessioni a voce e a pormi la questione, “dove va la poesia?".  Del resto è naturale questa domanda per chi ha a lungo frequentato Carlo Bo, che immancabilmente interrogava il poeta, che stava leggendo, e se stesso. La sua lettura tendeva ad entrare nell’animo e nella scrittura dell’autore e nello stesso tempo cercava risposte pubbliche, civili (il canto come forma ed espressione dell’esistenza). La poesia doveva attraversare il mare della vita e non perdersi nel semplice esercizio interiore ed intellettuale…

Dove va la poesia? Di fronte a questa domanda senza fine quale contributo porta Maria Grazia Maiorino?  Una prima scelta di campo comprende il sistema dell’occhio, la civiltà dell’immagine. Il paesaggio e i pittori guidano la sua interrogazione: paesaggio come territorio, contesto, luogo di vita; visione come articolazione di una pittura di sensi e di colori, il ritorno e l’osservazione dei soggetti amati. Poi c’è lo spazio della musica: canto e suono, canto minimo di haiku e canto maggiore di testi come Letti tutti i libri, Hermes Orfeo Euridice, Giacinto bianco, Venticinque anni dopo.

Il volumetto comprende tre sezioni: “Di marmo e d’aria”( 1998-1989), “Taccuino bellunese”(1990) e “Figure” (1998-2004). La prima poesia dispone a una poesia di visitazione. La Maiorino è alla ricerca di qualcosa che si definisce nel corso del canto: le voci sovrane, l’amore, la morte. Ma chi è il guerriero invocato nella dedica? La vita e l’amicizia, il testimone dell’esistenza, chi silenziosamente ti accompagna, un angelo o uno spirito comune o un fantasma. Il guerriero è come l’angelo, un intermediario che annuncia, di marmo e d’aria, un ossimoro, la figura di tempi di desolazione e quindi anche di domande assolute, la vita e l’amicizia, l’amore e la morte. Secondo dato: la visitazione è come un movimento, ricerca di luoghi di esistenza e contatto con la natura, l’ambiente, il paesaggio. Uno spazio preciso ha il viaggio fisico o interiore sostenuto dall’emozione. E quindi la poesia è come un happening, scena teatrale, discorso, dialogo, incursione verso la morte, che è comprensione della vita e sguardo verso l’eternità.

Il “Taccuino bellunese”. Nove testi di un pathos intensissimo, una plaquette a sé, un canto del ritorno, una melodia nel teatro dei luoghi e dei ricordi. Oggi si chiama poesia dell’identità con il primato del territorio, canto di desideri. La poesia per l’autrice è un disegno di luci e di movimento come un quadro di Monet. Poesia di luoghi e di desideri conosciuti, che hanno risorse antiche nei boschi, nel verde, nel cimitero, nella casa. Riconosco subito la casa / anche se l’orto è spoglio / una vecchia s’affaccia sospettosa / chiedendomi se cerco qualcuno / le rispondo cerco la mia infanzia / la vendemmia il géscol posso / andare a vedere? (p.46).

I ventidue testi di “Figure” rappresentano un insieme, sono tessere che pongono domande, sono sospiri di chi ha attraversato la vita, di chi cerca un orizzonte senza fine. Sono “cantos”: hanno una pienezza d’espressione e la tentazione di un itinerario misterioso, sono come la pittura di Libero Ferretti, una tapisserie di segni e di specchi. Poi il mare domina con le sue luci e i suoi silenzi e una musicalità dissonante. La stessa tensione per le città che sono universi interiori, sensazioni e luoghi.

C’è un mare amato dalla terra / dai nidi di legno dei porticcioli / quando le barche s’accostano mute / e camminano ombre lungo i moli / sola la luna corre sui crepacci / delle nuvole si spegne e’accende / come un faro per altre direzioni / ci sono tutti i mari del passato / nei nostri occhi stasera che non osano / guardare lontano. (p. 73)

Vorrei porre anche la poesia della Maiorino in quello slancio e in quel dialogo d’amore e di riflessione
profonda della vita, di cui ho detto all’inizio, ma nello stesso tempo sento di definirla una delicata poesia civile, una poesia di cittadinanza che salva i luoghi e i desideri.

Gastone Mosci

 

INDICE

 

Mio guerriero di marmo e d'aria  (Esergo)

Power is only pain –
Stranded, trho’ Discipline -

Till Weights – will hang –

                     

 

La forza è solo pena
costretta in disciplina
fino a che i pesi pendano
Emily Dickinson
 

 

Hermes Orfeo Euridice

Quel bosco di marzo nell’incertezza del tempo
la ginestrella cominciava a fiorire
un Mercurio ragazzo mi prestò le sue ali
per salire leggera con la morte sul cuore
la tua morte alla fine delle canzoni
Andavamo tra viburni e lecci
come una conchiglia si apriva sul mare
il bosco dall’alto ne raccoglieva la voce
le mani strette davanti alla tomba
sussurrato il patto in un bisbiglio
così nuda - figlio - non ero mai stata
Euridice Orfeo immobile alle soglie

Andavamo tra viburno e lecci
la ginestrella cominciava a fiorire
i cavalli erano lì ad aspettarci
uno bianco e uno biondo
nel grande pianoro
le groppe quiete come colline
madre e figlio cavalcammo fino al cielo
fino all’isola del nostro marinaio
a tracolla aveva una chitarra
in mezzo al petto un bocciolo di rosa
e c’era il vento che lo portava
soffiando forte sulla sua vela
 

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Ti cerco nelle nuvole chiare

Ti cerco nelle nuvole chiare
di questa vigilia di pasqua
ti cerco nella poltrona vuota
nei giornali non letti
nei cassetti dove nulla è cambiato
come non sapessero gli oggetti
e si lasciassero accarezzare
in attesa del tuo ritorno


ti cerco ti cerco ti cerco
non viene ancora il tempo dei ricordi
non per la morte sei partito
un trillo di campanello
il tuo passo ondeggiante
i tuoi occhi pieni di stelle
un abbraccio come mille abbracci
il tuo ritorno il tuo ritorno


ti cerco amore mio nei sogni
ogni notte seduta alla finestra
ma le fate vedo scivolare via
trasformate in acque buie
e il giorno che comincia
è un lenzuolo bianco
ti cerco nell’impronta del letto
allungo la mano piango tu mi sgridi
non ami il pianto tu ami la vita
mio amore coraggioso
con le tue armi giocattolo

 

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Ora ascolto più a lungo

Ora ascolto più a lungo
il canto mattutino degli uccelli
il variare dei richiami
l’andare e venire delle voci
il vibrare penetrante degli assolo
sono la mia preghiera del mattino
il mio risveglio con te
 

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Letti tutti i libri

Letti tutti i libri
ascoltate tutte le voci
spente tutte le luci
che cosa farne di una luna quasi
piena serrata fuori dalla finestra
che cosa farne delle gardenie fiorite
del profumo che grida
la sua insistente magia
che grida prendimi
come si fa a prendere un profumo
a trattenerne il candore
di pelle lunare
come si fa a cadere nel buio
fuori dalle tue braccia?
quando nel campo di segale
tu eri l'acchiappabambini
non cadevo mai
all'inizio di ogni notte
e di ogni nuovo giorno
sapevo che c'eri
e c'era un limite al dolore
Salinger Carver Mansfield e pochi altri
Die Brucke i preferiti Il Cavaliere azzurro
parlatemi ancora di lui Rolling Stones
violenti continuate a suonare
a sognare contro
Eric Clapton insieme vorrei mandare
tears in heaven con la sua voce dolce
di quando cantava solo per me
e ascoltarlo
era come sempre
era come sempre
 

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Ogni volta dove ti vedo?

Ogni volta dove ti vedo?
là ti vedo mentre apri il cancello
e scendi gli scalini allegramente
e ogni volta festeggio il tuo ritorno
in lotta con il cane per gli abbracci

nel mio amore c’era la nostalgia
di non averti conosciuto bambina
e adesso non so come chiamarlo
questo sentimento illimitato
che continuamente t’accompagna

nel mio amore c’è la supplica
di un’apparizione
o dio pagano tra due donne assorto
esclusa dal banchetto vederti partire
e inseguire tutto il giorno
la fortuna di un sogno
innalzando ponti sulle ore lente
nella notte versate

 

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Le ninfee di Monet

Si riflette nello specchio del comò
il quadro azzurro appeso alle mie spalle
e anche quando non lo guardo
una benedizione protegge il sonno
immerso nei colori calmi dell’acqua
Portasti la grande tela in garage
a casa non c’era spazio abbastanza -
appoggiata sul cavalletto a rotelle
costruito da te come uno strano altare
ci proiettavi la diapositiva di Monet
perché restassero intatte le proporzioni
del disegno accennato sul bianco
Giorno dopo giorno l’intrico si svelava
blu di cobalto oltremare smeraldo
con pennellate di giallo
Soltanto alla fine apparvero le ninfee
rosa e al centro anelli purpurei
ti spiavo distratta ma ricordo bene
momento in cui lo stagno prese vita
la scena va vista allontanandosi
le ninfee continuano ad apparire
le loro piccole macchie chiare
fioriscono sulle cose perdute
Giverny di tutti i nostri giardini

 

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Riconosco subito la casa

Riconosco subito la casa
anche se l’orto è spoglio
una vecchia s’affaccia sospettosa
chiedendomi se cerco qualcuno
le rispondo cerco la mia infanzia
l’avventura della campagna
la vendemmia il géscol posso
andare a vedere?

Attrezzi ordinati in una baracca
riempiono lo spazio dei miei voli
superstite una pianta di vite
chi l’avrà salvata?
nel prato come un cane solitario

La memoria della vecchia è una rete
bucata dove il nome di Sarina brilla
improvviso al sole come un frutto
madre anche per quel suono
per sentirlo nascere spontaneo
dalla custodia dei luoghi sono
ritornata
 

 

Ferma al semaforo

Ferma al semaforo - solito posto -
s’avvicina al finestrino e invece
di tendere il berretto o una storia
di cartone chiede come stai? mica
tanto bene rispondo e tu? ho la
febbre ma mi alzo sempre presto
anche stamattina
                                brilla la febbre
negli occhi marocchini come una
gioia subito rubata dal verde

 

 

 

Napoli ha colori di cartapesta

Napoli ha colori di cartapesta
lustri bassorilievi di stucco
alberelli di actinidia
nati da un muro come fichi
selvatici guarda ti dico c’è
perfino il suo piccolo frutto

Napoli ha corridoi di vicoli
cumuli di calcinacci porte
murate telefoni per s.o.s.
una radiosa domenica mattina
un po’ orientale e un signore
gentile effeminato e un po’
teatrale che si sbraccia
indicando la via


La prima volta? ti chiedo o sono io
adolescente che con te mi confondo
frantumata nascente bellezza
(città terremotata?)
 

 

 

Nel cerchio delle luci dei paesi

Nel cerchio delle luci dei paesi
i discorsi sono finiti
la solitudine è tornata
ma vibra ancora l’aria
di quando inizia una storia
corpi di ragazzi si cercano
in tenerezze di gesti infantili
risate silenzi improvvisi
e tu luna guardona
ti ubriachi di nostalgia
e te ne vai un po’ con loro
prima di chiudere la porta
del cielo
 

 

 

C’è un mare amato dalla terra

C’è un mare amato dalla terra
dai nidi di legno dei porticcioli
quando le barche s’accostano mute
e camminano ombre lungo i moli
sola la luna corre sui crepacci
delle nuvole si spegne e s’accende
come un faro per altre direzioni
ci sono tutti i mari del passato
nei nostri occhi stasera che non osano
guardare lontano
                              un richiamo assopito
un luogo della città che ieri non c’era
dita di tek mani-pontili larghe
braccia-lanterne freddo nelle ossa
alberelli nudi saettanti nomi
odore dispettoso di motore
che borbotta e il fischio di un treno
c’è la tua casa qua leggera come
un suono poggiato appena sulle a

 

 

 

Di un viaggio in Jugoslavia

Di un viaggio in Jugoslavia ho conservato
un cucchiaio intagliato nel legno
manico lungo forma di cuore
e la foto di un vecchio che sedeva
intento al suo lavoro di coltello

Il vecchio era già vecchio tanti anni fa
ma che ne sarà dei bambini che guardano
timidamente o con aria spavalda
si fingono guerrieri che ne sarà
delle donne accoccolate vicino ai secchi
visi nascosti nei fazzoletti bianchi?

Così vicino l’Oriente nel mercato di Pec
così stranieri noi ma così felici e
liberi di girare per strade di terra
una mattina d’estate una qualunque
mattina del millenovecentottantatre...

La pace ragazzi ha una superficie liscia
scurita dal tempo smussata la pace
si può toccare stringere la pace è
un racconto fatto con le mani
la pace è un ricordo che non ci separi
 

 

 

Solita ora

Solita ora di un giorno qualunque
suona alla porta il tuo ricordo
indossa i panni di una venditrice
che ha i capelli lunghi come te

era un segreto commercio fra voi due
che io continuo a rispettare
acquistando asciugamani e centrini
(come ricevere una visita dall’aldilà)
 

 

 

Venticinque anni dopo

Mazzo di fiori invernali
addormentati in un giaciglio castagna
la chioccia al centro - rosei petali
piumati velluto puntaspilli -
rametti d’abete bacche fresie bianche
una sola gialla rosellina
e brillantini sparsi su tutto
Un mazzo come noi
una sera intorno a natale
lampi del flash il ristorante indiano
altri volti nei ricordi galleggiano
storie vecchie e nuove
gli anni ti sembra di toccarli
zoccoli gonnelloni ricci bruni
il disco degli Inti Illimani
tu la prof loro ragazzini
la mattina del rapimento Moro v
Torni a casa un po’ frastornata
con quel nido caduto dal cielo
da sistemare nel vaso
dove i fiori continueranno
a bisbigliare

 

 

 

Padre da dove ritorni?

Padre da dove ritorni?
Padre che mi insegnasti gli aquiloni
nei giardini di polvere e vento
padre da dove ritorni
a mischiare farina e colori
a incollare tenere ossa di canne
a mettermi nelle mani quel filo
che cerco ancora di non farmi strappare?

 

 

NOTE

 

Letti tutti i libri - Die Brùcke e Der Blaue Reiter sono i due gruppi più importanti della pittura espressionista tedesca. Il primo fu fondato nel 1905 da Kirchner, Heckel e Schmidt-Rottluff che, ferventi lettori di Nietzsche, si proponevano di costituire un “ponte” di unione fra tutti i giovani artisti antiaccademici. Il secondo si presentò per laprima volta con un’esposizione a Monaco nel 1911. Il Cavaliere azzurro era il titolo di un quadro di Kandinskij, centro ideale del gruppo, formato fra gli altri da Macke, Marc e Klee.

Hermes Orfeo Euridice - Hermes Orfeo Euridice appaiono insieme, uniti come da un passo di danza, in una preziosa metopa esposa al Museo archeologico di Napoli, ammirata fin dalla lontana adolescenza.
 

INDICE

Letti tutti i libri ha ricevuto il primo premio del "Marianna Florenzi” per la Poesia d’Amore (ed. 1999) organizzato dall’Università di Perugia, Giuria presieduta da Cesare Garboli, con la seguente motivazione: “Per la complessità della costruzione, per la modernità lessicale e delle citazioni letterarie e di costume, per la sensualità dell’amore-passione rievocato in cadenze aritmiche e audaci entro un clima di controllato romanticismo”.

 

 


 

Le ninfee di Monet - Giverny è il nome della località dove Monet scelse di andare a vivere nel 1890, costruendovi una casa e soprattutto un giardino che fu inesauribile fonte di ispirazione e capolavoro artistico esso stesso.
La poesia è arrivata terza al Premio di Chiesina Uzzanese “Il Fiore” (ed. 2002).

 

Il "dialogo" nella poesia della raccolta Di marmo e d'aria

 di Germana Duca Ruggeri

da hebenon, maggio 2006 Maria Grazia Maiorino, Di marmo e d'aria | Manni Editori -

 

... Circola nelle pagine di questa raccolta di poesie l’ossimoro morte-vita. Il libro infatti si fonda su uno dei momenti cruciali dell’accadere psichico, quello della separazione, della perdita, della nostalgia; esperienze complesse, eppure esprimibili se ci si ripara, come fa Maria Grazia, nel firmamento della poesia d’amore, ‘occasione’ di rinascita interiore, definitiva accoglienza dell’altro. Poesia d’amore - e di Amore - va da sé, in senso lato: affinità artistiche e spirituali, delicato attaccamento alla casa, agli oggetti, agli animali (specie al cane Alice, umanissima pittura di Bonnard). Insomma prossimità alla natura, nel sentimento di ogni albero e fiore, nel continuo legarsi della terra al cielo, fra scorci marini e urbani, giardini, sentieri; contemplazione di ogni dettaglio ...

A ben guardare, tale fluidità non solo ora rispecchia gli aspetti transeunti del vivere, ma diviene mezzo per transitare da una situazione all’altra, spinta a fare, ad abbandonare idee fisse - di scoramento - per riconoscersi in qualcosa, in qualcuno: Come turgide lacrime cadute / da un corpo mutilato rametti / foglie scomposta armonia / di anni fragile vita vegetale / ti raccolgo e ti do nuova terra / e mi riconosco in ogni esilio ...

Ma torniamo al principio, a Paolo - “Mio guerriero di marmo e d’aria” -, mèta d’amore su cui la poetessa trasferisce ogni energia narcisistica e creativa: quando ti lasciai per andare / a ricevere un premio in un’altra città / all’improvviso eri là tu nella voce allegra / di una giovane attrice nella mia gioia sorpresa / come non l’avessi scritta io la poesia e non fosse lei / ma te che abbracciavo. L’identità fra sé e l’altro si muta in vero e proprio maternage nella canzone stupenda del distacco, Hermes Orfeo Euridice: Andavamo tra viburni e lecci / come una conchiglia si apriva sul mare / il bosco dall’alto ne raccoglieva la voce / le mani strette davanti alla tomba ...

L’immagine della coppia, strappata al tempo umano dalla forza trasfiguratrice dell’ultimo volo, torna a ricomporsi per via fantasmatica ne Le ninfee di Monet, dove la copia del famoso quadro, realizzata da lui, protegge il sonno di lei: le ninfee continuano ad apparire / le loro piccole macchie chiare / fioriscono sulle cose perdute / Giverny di tutti i nostri giardini, attuando un magico equilibrio fra pensiero che rimugina l’assenza e visione compensatrice di ‘cose’ superstiti: “umili oggetti se animati / con quanta fedeltà voi ci seguite / piccole ancore che siete / anelli nel buio campanelle”. Il dialogo, tema tradizionale nella poesia d’amore, (qui all’altezza, specie nei moduli anaforici e iterativi, del recente Tema dell’addio di Milo De Angelis; oppure accostabile, per certe fini profondità, a Daria Menicanti di Ultimo quarto) avviene fra un io scoperchiato e un tu silente. Su tale divaricazione si infrangono i tentativi di rivivere una pienezza, un “insieme”, sino all’affiorare di un intenso desiderio di rigenerazione - “Cerco un utero per rinascere / incapsulata nella mia ombra” -, da attuare di preferenza, si direbbe, nel ventre accogliente della scrittura. Per ripetere ogni nuovo giorno la nascita di un nuovo verso, liberando l’immaginazione: direttamente scrivere a un poeta / anche se il poeta si chiama Giacomo Leopardi e finora / non avevamo osato pensarlo.

Poesia e Amore, così inafferrabili, grumi di aria che presto evaporano, possono perciò trasformarsi in forza - (La forza è solo pena / costretta in disciplina - / fino a che i pesi pendano), dice Emily Dickinson sul ciglio del libro - e imprimersi sulla carta. In pagine ora esatte e irrevocabili come lapidi di marmo – “Io e te Alice / un’arca di Noè / dopo il diluvio” -, ora abitate da un crescendo visionario e favoloso, nell’assaporamento quasi fisiologico delle parole, raccolte e combinate una all’altra come ciottoli di fiume. Simili al covolà, la pavimentazione realizzata coi sassi del Piave. O al géscol, incanto infantile che, come l’aquilone, vince sul dolore di Maria Grazia adulta e la riconcilia con la realtà, spazio-tempo da custodire, dettaglio da salvare.

Germana Duca Ruggeri

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