SCIENZA E CIVILTÀ*
L'impatto con l'evoluzione(Agosto 1984)
Seguendo sinteticamente Elwin L. Simons (Gli antichi parenti dell’uomo in “Le Scienze”, Novembre 1972), ricordiamo che il grande ordine dei Primati si suddivide nei due sottordini delle proscimmie e degli antropoidei(o, in termini più sbrigativi, proscimmie e scimmie vere e proprie). Tra gli antropoidei troviamo le platirrine (letteralmente: “dal naso ampio” o scimmie del Nuovo mondo e le catarrine (dal naso in giù) o scimmie del Vecchio mondo. Le catarrine (si veda Adolph H. Schultz, I primati in “La grande enciclopedia della natura” editore per l’Italia Garzanti, 1974) “si differenziano dalle platirrine per la forma del diaframma nasale fra le due narici che è stretto nelle prime e largo nelle seconde”. Esse “comprendono tutte le scimmie superori del Vecchio mondo e l’uomo”. Tra le catarrine troviamo gli ominoidei suddivisi in tre famiglie: Ilobàtidi, com i generi Hylòbates (Gibbone) e Symphalangus (Siamango); quindi i pòngidi con i generi Pongo (Orango), Pan (Scimpanzè) e Gorilla (Gorilla); infine gli omìnìnidi con il solol genere Homo. Naturalmente qui ci riferiamo per ora ai generi attualmente viventi. In questo quadro schemtico possiamo tranquillamente affermare che in linea di principio non si tratta – e non si è mai trattato – di dire se l’uomo “discende” dalle scimmie o meno: In questi termini banali la questione non ha mai avuto praticamente alcun senso per gli studiosi dell'evoluzione, dal tempo di Darwin o anche prima. Si tratta invece di rendersi conto (se questo può essere utile) che l'uomo è una scimmia: una scimmia del genere Homo, della famiglia degli ominidi, della superfamiglia degli ominoidei (cioè degli antropomorfi quali Gorilla e. C), dell'infraordine delle catarrine o «scimmie del Vecchio mondo». Si può anche dire che è una scimmia solo «in un certo senso» e che è particolarmente evoluto, ma né questa né altre considerazioni cambiano la sua posizione nell'albero genealogico dei primati. Dicevamo che sia Darwin sia tutti gli evoluzionisti rifiutavano e rifiutano — come è arcinoto — l'etichetta di «quelli che fanno derivare l'uomo dalla scimmia». Sono proprio certi nemici dogmatici ed oscurantisti dell'evoluzionismo in quanto tale (e non di questo o quell'aspetto sempre criticabile e perfezionabile) che ancora oggi ripetono con cieca ostentazione: «Allora, perché oggi non si vede mai un uomo nascere da una scimmia?» e simili sciocchezze. In realtà anche in un buon libro di testo della scuola primaria si può spiegare che una nuova specie animale non nasce in genere spontaneamente nel giro di una o due generazioni! Il fatto che le antropomorfe (e alla lunga altre famiglie) abbiano antenati comuni con l'uomo è accertato oltre ogni possibilità di ragionevole dubbio, anche se i tempi di evoluzione sono stati probabilmente anche più lunghi di quanto si pensasse fino a pòchi anni fa. Oggi, come avverte David Pilbeam {L'origine degli ominoidei e degli ominidi, in «Le Scienze (Scientific American), maggio 1984) si pone “ la radiazione di tutti i grandi antropomorfi da un ceppo ancestrtale verso la metà del Miocene (circa 15 milioni di anni fa, n.d.r.) e la divergenza degli ominidi da una linea di antropomorfi africani verso il tardo Miocene, forse otto o setterì milioni di anni fa” 8 e non circa quattro come si riteneva non molti anni or sono). Naturalmente gli antenati- ad esempio – degli antropomorfi ( e quindi anche dell’uomo) non avevano certo unauna costituzione ed un aspetto meno “scimmieschi” rispetto agli antropomorfi oggi viventi in Asia e in Africa. Solo in questo senso l’uomo discende da “scimmie” che comunque sono estinte da molto tempo. Ricapitoliamo a linee alcune acquisizioni praticamente certe: le scimmie americane ( platirrine) non hanno avuto alcun ruolo direto in direzione dell’evoluzione degli ominoidei (scimmie antropomorfe) che hanno avuto origine nel Vecchio mondo. È noto che a metà del Miocene tra Eurasiua ed Africa da un lato e America dall’altro si era già ampiamente aperto l’Atlantico Dello stesso ceppo degli ominoidei africani ( Pongidi) sonosono derovatio gli ominidi, mentre gli ominoidei asiatici (Ilobatidi) sono rimasti ewstranei a questo processo. A questo proposito è utile ricordare che Africa ed Eurasia sono rimaste separate a lungo in un periodo databile intorno ai 17-20 milioni di anni fa, durante il quale l'evoluzione degli animali terrestri dovette seguire necessariamente cammini diversi nei diversi continenti non tra loro collegati, analogamente a quanto, su scala ancora più vasta, era già accaduto e continuava ad accadere tra Vecchio e Nuovo mondo. Tra gli ominidi, che hanno origine circa sette o più milioni di anni fa in Africa, si è differenziato il genere Homo. (Qui seguiamo ancora, oltre ad altri lavori, il recente articolo, già citato, di Pilbeam). In particolare ricordiamo che varie classificazioni di specie del genere Homo (di Pechino, di Giava ed altre meno note) così come alcuni generi (Pitecanthropus, Sinanthropus e altre) sono oggi generalmente raggruppate nella specie Homo erectus, stabilizzata in varie forme circa un milione e mezzo di anni fa. Le varie sottospecie rappresentate in questa grande specie poterono verosimilmente in diversi periodi incrociarsi tra loro. (Si veda Williams Howells, Homo erectus, in «Le Scienze», novembre 1966). In modi analoghi, in tempi molto più recenti (da circa 40 mila a pochissime centinaia di migliaia di anni fa) tra alcune sottospecie o forme differenziate di Homo sapiens più o meno moderne (Neardenthalensis, Cromagnon, «Sapiens-sapiens» attuale) poterono verificarsi in diversi momenti incroci fecondi. L'estinzione di varie sottospecie (e, riandando indietro nel tempo) di varie specie umane o anche preumane non sarebbe stata dunque una estinzione vera e propria e totale: esse sopravviverebbero in parte nell'uomo moderno pur essendo estinte come specie o sottospecie autonome. In particolare per la verosimile incidenza del Neanderthalensis nella linea del Sapiens sapiens moderno può essere interessante, tra gli altri, l'articolo di Franco Capone «Gli italiani della preistoria» su «Scienza e vita» del giugno 1983, che contiene frammenti di interviste e contributi di diversi specialisti. Sul tema degli incroci tra sottospecie più o meno affini mi yiene in mente un parallelo che tutti abbiamo, si può quasi dire, sotto gli occhi * proprio oggi. Non è forse vero che la specie «Canis lupus» (il lupo) è in pericolo — oltre che in genere per la persecuzione diretta e l'aggressione dell'espandersi dell'occupazione del territorio da parte dell'uomo — anche, propriamente, per la presenza di un gran numero di cani domestici inselvatichiti? La pressione della tendenza all'incrocio di cani con i pochi lupi rimasti potrebbe rappresentare una insidiosissima minaccia per la specie «lupo» fino a non lasciarne più alcun rappresentante tipico. Qualcosa di simile è probabilmente accaduto in passato, insieme a tanti altri guai, ad alcune specie umane o preumane.
Queste semplici considerazioni — forse anche troppo schematiche — hanno in fondo lo scopo di mostrare (e solo per grandi linee) alcuni fra i moltissimi aspetti e fattori che rendono complessa la comprensione di certi meccanismi dell'evoluzione a chi segue (come me e come tanti altri) il progredire degli studi attraverso libri, riviste, trasmissioni radiotelevisive e altri strumenti di informazione di base. E in quest'ambito che vorrei sottolineare come in definitiva l'impatto con i temi dell'evoluzione rappresenti ancora qualcosa con cui non è sempre comodo «fare i conti».
Si sa che, come primati, noi discendiamo da mammiferi meno evoluti e come mammiferi dai rettili e così via, fino ai più primitivi vertebrati e ancora fino ai primi organismi unicellulari al di là dei quali, continuando a ritroso un cammino che si misura infine complessivamente in miliardi di anni, troviamo sulla Terra, prima ancora dei primi composti organici, la materia inorganica. E in fondo questo non «scandalizza» nessuna persona ragionevole che disponga di un minimo bagaglio di informazioni scientifiche corrette. Tuttavia ciò pone problemi estremamente spinosi a chi è legato a convinzioni filosofiche o a credenze religiose nate al di fuori (o prima) del moderno pensiero evoluzionista. Un esempio banale: i metri di giudizio morale (e quindi, specificamente, i destini «post mortem») e i discorsi sull'anima individuale nelle religioni positive valgono solo per l'Homo sapiens moderno o anche per i Neanderthaliani, o anche per le più primitive forme di Homo erectus? E per gli ominidi in genere? E andando ancora indietro? Ma in termini ancora più generali (come è stato più volte osservato) l'evoluzionismo rappresenta uno sconvolgimento totale di un sistema di certezze vecchio di millenni che — in modo diverso, ma con una precisa corrispondenza sul piano filosofico — è paragonabile alla rivoluzione copernicana: l'uomo moderno non è il centro dell'Universo nel senso che non ha una posizione assolutamente speciale, fissa e unica né come abitante in un pianeta «unico e speciale», né come essere biologicamente «unico e speciale». Oggi sono sempre più evidenti in questo senso anche meccanismi di «microevoluzione» la cui incidenza è già misurabile nell'arco di pochi millenni o anche in ordini di tempo molto più brevi. Ciò non toglie, naturalmente, all'uomo moderno neppure un'ombra del grande carico di responsabilità che egli ha oggi come rappresentante della più evoluta specie vivente direttamente conosciuta fino ad ora nell'Universo.
Il rispetto per coloro che (diversamente da me e da altri) sono legati a credenze religiose più o meno rigide non può in ogni caso confondersi con l'acquiescenza di fronte a soluzioni semplicistiche e comode di tutti i problemi. E chiaro ad esempio che, se diamo credito a «dottrine» quali il «nuovo» Creazionismo (tanto in voga negli USA e non sgradito a Mister Reagan, ma in varie forme presente anche altrove) possiamo dare le dimissioni dal ruolo di esseri ragionevoli rappresentanti della più evoluta specie vivente sulla Terra. In tal caso potremmo tornare a credere ciecamente a ciò che ci «appaga» e dormire i sonni dell'illusione e della menzogna, mentre i destini delle nostre cosiddette anime sarebbero interpretati da maghi, spiritisti, guaritori, astrologi ed altri ben foraggiati speculatori al servizio (con il supporto di mezzi di comunicazione di massa votati troppo spesso alla cialtroneria) dell'industria che produce «il sonno della ragione». Ma tra i compiti dell'Homo sapiens moderno c'è ancora quello che gli impone di rendersi conto che, ancora una volta, il sonno della ragione produce mostri.
LF S
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