Luisa e Mario, gli zii

 

Quando ancora non sapevo scrivere, o meglio fino a quando tutti ritenevano che non lo sapessi fare, lasciai alla mia unica sorella, di sei anni più grande di me, un messaggio un po’ sgrammaticato ma risentito ed offeso, per rivendicare la mia assoluta innocenza rispetto all’ennesima calunnia di averle rovinato quaderni e libri di sua proprietà.

Il fatto che ci dividessero sei anni non ha reso agevole e tranquillo il nostro rapporto, caratterizzato da una divergenza endemica. Io ero sempre impegnata ad imitare i suoi gesti e comportamenti, per non essere da meno; lei probabilmente era altrettanto impegnata ad evitarmi ed allontanarmi, rappresentando soltanto un fastidioso ed assordante intralcio alla sua tranquilla infanzia, improvvisamente lacerata dalla mia comparsa.

Lei è sempre stata la sorella maggiore e le sarà stato ripetuto fino alla nausea “lasciala stare, è ancora piccola, non può capire”. Io sono sempre stata la sorella minore e mi sarà stato ripetuto con la motivazione contraria “lascia stare tua sorella, lei è grande”.

E alla fine ci siamo lasciate stare veramente, crescendo ognuna per conto proprio, senza condividere molto altro rispetto ai canonici momenti di vita familiare

 

Io e la zia ci assomigliamo molto, lo affermano tutti coloro che ci incontrano, soprattutto se in momenti separati. Stessa voce, stesso sorriso, stesso modo di parlare e di gesticolare. Insomma nessuno ha dubbi sul fatto che siamo sorelle. Eppure a ben guardare non c’è proprio questa perfetta somiglianza, tanto meno se si supera la l’apparenza e si scende in profondità.

Al riparo da sguardi superficiali e frettolosi ci si può accorgere di sostanziali differenze caratteriali, che oserei definire speculari. Alla sua emotività un po’ ansiogena corrisponde una mia sostanziale tranquilla razionalità; alla sua predisposizione a seguire regole e convenzioni, rispondo con una discreta insofferenza per il rispetto assoluto e prioritario della forma, sotto ogni sua manifestazione, che sia un abito, un comportamento, un discorso; alla sua spiccata vena diplomatica che le impedisce di esprimere con esplicita spontaneità pensieri ed opinioni, corrisponde il mio  “parlar chiaro” e diretto, che non lascia spazio ad equivoci o fraintendimenti e, ovviamente, indispone tutti coloro che diventano bersagli delle mie  “esternazioni”. In virtù di facili semplificazioni cui tutti sono portati per liquidare rapidamente una, altrimenti, difficoltosa opera di analisi e introspezione che possa condurre ad una discreta conoscenza delle persone che ci circondano, soprattutto se fanno parte (casualmente) della stessa famiglia,  la zia è quella saggia, diplomatica, in grado di mediare e smussare gli spigoli, filtrare emozioni e sentimenti, raccogliere consensi; io, al contrario, sono quella intollerante, impaziente, aggressiva, colei che sputa sentenze, un “orso scontroso” o, in alternativa, un “cane che abbaia” (sintetiche definizioni con le quali i miei familiari amano spesso descrivermi).

 

Le nostre esistenze, mai come in questo periodo, hanno assunto ritmi e stili completamente opposti. Lei, lanciata (forse trascinata) nella ricerca e coltivazione di relazioni “importanti”, sulla scia di Mario, marito carrierista che ha interpretato la propria vita come un puzzle, collocando, uno dopo l’altro, i tasselli giusti per garantirsi fama, potere, denaro; io, relegata in casa dalla tua comparsa, costretta a diradare e selezionare ulteriormente i già sfoltiti rapporti sociali. E comunque si tratta di rapporti tra persone “semplici”, che non  rivestono cariche di prestigio e potere, che non guadagnano decine di migliaia di euro al mese, che non saranno mai utili un domani, “in caso di bisogno”.

 

Ma anche in passato, a ben vedere, di scelte diverse ne abbiamo compiute molte. Ad esempio, tra gli undici e i tredici anni, la zia volle fare la comunione, perché non avendo ancora consumato questo rito, si sentiva diversa da tutti gli altri suoi coetanei, già “comunicati”. Poi, dopo vent’anni di matrimonio, celebrato in Campidoglio, lei e Mario si sono “risposati” con cerimonia religiosa.

Io non ho mai provato particolare interesse per la religione cattolica come per nessun’altra religione, a parte una  certa curiosità intellettuale che mi ha portato a documentarmi, ad informarmi, anche a leggere qualche “sacra scrittura”. Non ho frequentato parrocchie e catechismi, non ho fatto la comunione né la cresima, non mi sono sposata in chiesa, non ti ho nemmeno battezzato.

Dopo alcuni tentativi, la zia ha incontrato Mario, erano giovanissimi, frequentavano il primo anno di università, da allora non si sono più lasciati e lei è passata dallo status di figlia a quello di moglie e poi di madre, nel giro di otto-nove anni.

Le mie relazioni sentimentali sono state più numerose, più travagliate e intervallate da lunghi periodi di solitudine; sono uscita dalla famiglia senza l’abito da sposa; ho trascorso la mia prima giovinezza assaporando e sperimentando i molteplici significati della vita da single, dove si prova euforia ma anche sconforto e desolazione, dove ci si sente invincibili e spavaldi, ma anche tristi e vulnerabili, dove si subisce il fascino della libertà e dell’autonomia, ma anche il desiderio di essere in due, soprattutto nelle fredde e piovose serate d’inverno.

Mi sono sposata a 37 anni e sono diventata madre a 41, mentre la zia si ritrova a 50 anni in procinto di festeggiare le nozze d’argento e con un figlio ultraventenne.

 

Ebbene, nonostante queste indiscutibili differenze, anagrafiche, caratteriali e di vita vissuta, continuo a pensare alla zia come ad una persona nota, simile, vicina. Sebbene risultino latitanti quella familiarità e confidenza che renderebbero meno superficiale e difficoltosa la nostra comunicazione, si sono creati momenti di sincera empatia durante i quali sono state inaspettatamente sollevate le invisibili saracinesche che hanno da sempre impedito l’ingresso nelle rispettive interiorità.

Quando, ad esempio, l’incauto Mario, ancora giovane fidanzato, aveva speso senza avvertirla i soldi che stavano mettendo da parte per il futuro matrimonio. Lei mi venne a cercare, in lacrime, singhiozzante di rabbia e dolore, per dirmi che avevano litigato, che si erano lasciati, che non si sarebbe mai sposata con uno così. Io, colta di sorpresa, mi ritrovai, forse per la prima volta, investita del ruolo dell’amica consolatrice. Le dissi cose ragionevoli, cercai di calmarla, invocai l’amore che Mario comunque provava per lei. Sentimmo suonare alla porta e dopo pochi minuti comparve proprio lui, in carne ed ossa, atterrito e pallido. Io mi ritirai in silenzio, fiera di essere stata coinvolta in un affare di simile portata. Avevo circa diciassette anni.

Quando, ancora, di ritorno dalla mia prima vacanza trascorsa con il tuo futuro padre, ero pronta a lasciar perdere tutto, data la terribile esperienza appena vissuta. Era stata una vacanza orribile, sempre a litigare, a discutere su ogni cosa, era un uomo insopportabile, dicevo, testardo, ottuso, inutilmente orgoglioso. E in quell’occasione fu la zia ad ascoltarmi paziente, a dirmi cose ragionevoli, a propormi di offrire al giovane Marcello un’altra possibilità e poi decidere definitivamente.

Quando, infine, all’indomani dell’aborto spontaneo, la zia si presentò a casa, quasi all’improvviso, portandomi in dono una nuova confezione di profumo, lieve segnale di vicinanza, delicato invito ad andare avanti perché la vita non si era fermata in quel maledetto pomeriggio di fronte un monitor grigio e silenzioso.

 

E, ancora una volta, la tua nascita ha provocato l’ennesimo stravolgimento di abitudini e consuetudini, in questa famiglia imbrigliata  e incastrata nei propri tumulti interiori, che non riesce a superare la barriera del silenzio per dare voce e colore ai propri sentimenti.

Da quando hai cominciato a crescere nella mia pancia, la zia è diventata premurosa e attenta alle mie condizioni fisiche e psicologiche, seguendo settimana dopo settimana il mio lento procedere verso il parto.

Nel giorno della tua nascita si è ritrovata commossa, un po’ confusa, sorpresa a stringerti tra le braccia, incredula e timorosa di non sapere come comportarsi. Da quel momento non ha più smesso di  meravigliarsi di fronte alla tua bellezza, alla tua simpatia, alla tua impressionante somiglianza con me, dedicandoti sempre un sorriso, un abbraccio, un dono, una parola affettuosa.

Anche Mario, noto per il suo approccio superficiale e distratto verso tutto ciò che esuli dalla sfera del lavoro, ha manifestato leggeri segnali di cedimento alla tua irresistibile capacità di attrazione e coinvolgimento. Superati i primi mesi durante i quali reagivi alla sua vista  mettendoti a piangere senza tanti preamboli, ora hai finalmente deciso di accettarlo nella schiera degli “amici”, ai quali riservare un sorriso e un ammiccamento. Addirittura lo chiami per nome e lo riconosci in fotografia, nonostante una frequentazione non di certo assidua.

Forse anche dentro di lui si è accesa una nuova luce, dopo che la tua presenza gli ha ricordato quanto prezioso e insostituibile possa essere il sorriso di un bambino.