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Poesie Lette

DON AMATO CINI   -  1988 Ricordo all'ACLI

Luciano Mastellari legge "PER GIORNI PIŁ UMANI"

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PER GIORNI PIŁ UMANI

Io che nacqui tra boschi di carpini e querce
sopra un giaciglio di stridule foglie
e che vidi come ai tempi d'Omero
arare i bifolchi con aratri di legno,
ho forse vissuto un millennio
se guardo la luna adesso violata,
che ai giorni d'infanzia era un cerchio maligno
ove irsuto errava Caino gravato
da un fascio di spine.

Allora per me tutto il mondo finiva
ai fossi, alla cerchia dei colli,
ai campi irti d'estate di secce e di crepe
illusi da effimeri tuoni,
da un vagolare di nuvole
subito perse per l'alto,
ed era uno strusciare di canne
a ogni bava di vento, il fiatare
dei gufi dai tronchi incavati, la biscia
acquattata tra giunchi e falaschi
o attorta livida ai fusti, il falco librato
che in cerchi calava a ghermire i colombi,
i giorni di polvere e di afa
tra il sordo ronfare di trebbie;
era la migrazione autunnale
dei coloni che avevano in bocca
un acre sapore di cose disfatte,
di latte corrotto,
verso altri poderi e disumane fatiche.

Era la neve e la morte, la furia
invernale sugli alberi,
l'operaio in fondo alle cave dal volto
tramato di rughe, dalle mani sterpigne
che percuotevano sempre,
solitarie sempre le pietre,
e non sapeva di scavarsi una fossa.

Era la donna irosa vestita di nero
che portava sotto il zinale una lurida lama,
e come un corvo gracchiava al di lą delle fratte,
confini inviolabili tra l'uno e l'altro podere;
era l'uomo asociale e bizzarro
tenero solo con brade fameliche gatte,
il pazzo che nudo al sole d'estate errava
pei campi arso da lussuria bestiale,
il suicida impiccato a una trave
d'un suo tugurio con gli occhi sbarrati
tra le grida rituali di una donna infedele.

Ma era anche il biolco dal pelo rossigno,
il fauno dei campi concorde col giro dei mesi:
fra luminose ginestre cantava a distesa,
cantava sempre canzoni d'amore
dietro l'aratro, o sul carro ricolmo
di fieno, o presso le fonti imitava
dolce fischiando per gli ombrosi torelli
assetati, il fluire dell'acqua.
Dormiva d'estate sotto le querce
tra un fitto frinir di cicale,
profetava, di sera, mirando le Pleiadi
ascendere in cielo, i giorni di pioggia e di sole.

Altro il fauno non seppe, altro non disse,
ma io che vidi, come nei tempi remoti,
arare i bifolchi con aratri di legno,
che per diverse stagioni ed eventi,
per acque molte e tempeste,
e sangue e sommosse di popoli,
e i forni di morte e Hiroshima,
il gulag e la nube di Seveso,
pervenni a questo black-out delle genti,
sono qui a implorare sotto infinite
galassie mute sulle umane fatiche
giorni pił umani,
prima che l'acque diventino amare,
e perisca la vita, e il giudizio si compia,
e scenda il sipario
sulla nostra demenza.