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Poesie Lette

DON AMATO CINI   -  1988 Ricordo all'ACLI

Luciano Mastellari legge "L'ULTIMO CANTO DI GIOBBE"

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L'ULTIMO CANTO DI GIOBBE

1
E come Giobbe sentì venir meno
il suo giorno, sotto le stelle mute
nel vuoto immenso cantò sulla cetra
l'ultimo canto all'Antico dei giorni:
Quando il melograno era in fiore
e come labbra s'aprivano al sole
le rose, vidi improvviso dal cielo
irrompere il fuoco e la terra tremare,
e il suo grembo squarciarsi in crepe e voragini.
Incombeva il cielo livido e vuoto
sul mio capo innocente,
e in un silenzio di pietra invocai
i miei figli dispersi,
maledissi col sangue impazzito
il giorno che nacqui, e fui un lebbroso
reietto tra sabbie e deserti,
e mi contamina ancora
un acre odore di fulmini.

2
Non so come, ma un giorno da un cerchio
di tenebre emerse l'aurora,
e rifluiva il mio sangue,
e l'usignolo cantava, saltava
la gazzella sui colli.
Ritornavano i giorni colmi di rose,
e io generai rugiadose,
splendide figlie. Ma ora e per sempre
si dissolve il mio cuore,
si rompe la fune e l'orcio si spezza
sul pozzo e tacciono i passeri,
e nostalgia mi prende
delle figlie del canto: odorava
Cassia di margini erbosi,
luminosa era Fiala - di - stibio,
occhi di mare, aveva Colomba
l'alito della nuova stagione,
e ricordo canti e danze armoniose
sull'erba, e rivivo
i giorni della rosa e dell'arco.

3
In questo brivido estremo di luce
a me che maledissi l'aurora impassibile
al primo mio pianto,
che venni a contesa con l'Antico dei giorni,
ora giovano ritmi sapienti
per dire il difficile canto del vento
ch'io udivo strisciare sulle aride pietre,
sul giro dei fiumi,
sulla forza immortale che volti
muta, unica e varia.
Per sapere vissi lunghe stagioni
e mai ne fui sazio,
più volte fui morto, più volte
tornai alla vita, e sempre la bevvi
come nomade l'acqua
nel deserto feroce.

4
Ora ora
un altro giorno mi prende,
vertiginoso giorno, e mi stringo
sul petto l'arco e la cetra tra erbe e
profumi di cose mature.
Non sia questa la corsa
del cavallo stramazzato nel fosso,
la beffa infinita,
perché urlerei sull'abisso
con l'urlo di mille uragani.

Non è possibile che il giorno mi muoia,
che la pietra grigia e il vuoto del vuoto
siano mia dimora per sempre,
che il sangue si perda,
e la memoria non duri.
Più beati allora i germi infiniti
che durano un'ora, e non sanno
che sia morire.
Ma io sono l'edera sui muri tenace,
e salgo e canto con le mie ferite,
col profumo di tutta la terra.

Come nei giorni
della rosa e dell'arco.

5
E poi ch'ebbe il vecchio finito il suo canto
all'Antico dei giorni,
per l'ultima volta vide salire
altissimo in cielo un arco di luna.