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Poesie Lette

DON AMATO CINI   -  1988 Ricordo all'ACLI

Luciano Mastellari legge "CANTO DEL NOMADE"

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CANTO DEL NOMADE

Non soccorso da umana ragione, nè da rosa
di venti vado per ambigui sentieri,
e non lascerò questa tenda di nomade
fino a quando, dice lo Spirito,
una donna infeconda non generi
un figlio - di - gioia,
e non incontri il diletto una vergine
che ora lontana tra stoppie e papaveri
bruna spigola al sole, perché ora è tempo
di cercare un arcano paese
per solitudini arse ove il Potente
non parla dal fuoco di strani roveti,
nè irrompe a cavallo di nubi dal cielo
a misurare la terra.

Io non ho da narrare prodigi
se non questa pazienza di ore deserte.
Non m'appartengono neppure i ricordi,
quasi Ulisse che, giunto nella sua terra
con tutto il mare e le cose infinite
che vide, cercava altra meta. Ora vado
per sentieri di tigri e fuggenti gazzelle,
di cervi in foia sui monti
(un impeto di corna spezzate,
un fuoco di vita, una furia di morte),
d'aquile che piombano sopra la preda, lungo
il mare che genera sempre infinite
specie di pesci per gli avidi squali,
per paesi in rovina, tanto incalza la forza
che ha nome Vita tra stragi fatali
d'uomini e cose; ché ovunque incombe violenza,
soffrono anche le rose e i gerani,
che occhieggiano rossi sui nostri balconi.
E lo Spirito, Ragione occulta del mondo,
mi lascia in costernato silenzio
a questa fatica di sentieri sempre da farsi
ove non sono rupi da rompere
per fresche sorgive, né nubi
benigne alte sulla calura,
né terra dove sostare,
non mare,
non le infinite galassie
colme anch'esse di morte.

Passo e dico parole al deserto,
alle canne gementi nel vento.
Non ho tempo nemmeno
di gettare una rosa sulla tomba ove giace
mio padre e mia madre.
Lascio mille occasioni di sosta, l'isola
delle Sirene e Calipso dai lunghi capelli,
dalle mani avvolgenti
che tesse una tela di arcobaleni
nell'antro caldo di fiamme odorose
di cedri e ginepri,
perché lo Spirito dice: verrai nel deserto,
ti toglierò la dolcezza degli occhi.

Ora che molto ho veduto e sofferto,
spoglio di tutte le cose, io grido: Spirito
che abiti fuori del tempo,
non mi perdere in questo vento profondo,
carico d'aroma e di fiori,
nel vento bruciante
nel vento - bufera
nel vento - grandine
nel vento abissale;
nel vento amaro che viene dal mare,
che urla tra torri e campane,
che striscia su tegole rosse,
che arrossa la luna;
non mi perdere nel vento senza ragione
perché possa ridare persuaso alla terra
stregata il suo vino e gli alberi
dagli ebbri profumi, e le brune cavalle
che m'illusero su tutte le strade.

Abisso delle mie domande, tu vedi
che, uomo di breve stagione,
ho considerato il tempo e l'origine
di ciò che si muove per l'alto o fermenta
in fondo agli abissi, e ovunque fui preso
in un cerchio di orme ambigue, di labili
forme come le nuvole.

Ti ho tentato, o Assente - Presente,
ho rischiato la pietra e lo schianto,
perché tu sei la grazia e il pericolo.
Ho parlato di te con parole dementi,
e mi fu duro annunziare
la tua difficile gloria.

Aggrappato a questo pianeta
con fragili mani,
non sono che un soffio che urge
a farsi vento nel tuo impossibile vento,
una parola sillabata prima del tempo,
del sole e del mare
che anela a compiersi nella tua Parola.
Così tu mi resti il paese sempre futuro,
e mai entrerò nel tuo gioco
senza farmi deserto di voci,
o Nube oscura e lucente.

Ora navigo il mare profondo,
e attendo se mai la donna infeconda
generi un figlio - di - gioia,
se mai la vergine incontri il diletto,
e il grembo della terra in pressura
si sciolga in un riso di onde e di foglie,
come la rondine,
come la rondine che previene l'aurora.