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DON AMATO CINI

FERMIGNANO 1919 - Urbino 1987

 

 

Da appunti sparsi (17-07-1979)

 

Le mie giornate sono abbastanza tranquille. Godo di una buona salute, dopo l’infarto al miocardio anteriore del 17 gennaio scorso. Proprio oggi si compiono da quel giorno sei mesi, tanti quanti ce ne vogliono, a detta dei medici, per la convalescenza. Durante questi mesi ho condotto a termine una raccolta di poesia, ora sotto giudizio del critico Giorgio Bàrberi Squarotti: «I giorni del nomade». Ora attendo di partire il prossimo mese per un viaggio in Grecia.

Dunque tutto è tranquillo, eppure questa sera non ho voglia di uscire per il solito incontro con gli amici; non ho voglia neppure di seguire i programmi della televisione. Non ho voglia di niente, e ho paura. La paura è infatti il senso di ciò che non si cono­sce. È qualche cosa che non c’è, eppure ti afferra, è il presentimento di qualcosa che deve accadere, eppure non accade, ma sei convinto che accada.

Cosa è dunque questo tormento che mi abbatte?

La finestra è spalancata sulla viuzza deserta; gli alberi del giardino comunale sono immoti. Le ore segnate dall’orologio pub­blico mi fanno male al cuore. Ecco, io non so che balbettare. Non sto fermo e sono in movimento; godo di una pace più in­combente d’una guerra.

E ho ancora e sempre paura.

Potrei uscire tra la gente, ma so che dopo avrei ancora paura. Credo di sapere tante cose, ma se tu mi domandi chi sono, ti ri­spondo che non mi conosco, che la cosa più difficile è conoscer­si, che bisognerebbe conoscersi per conoscere gli altri. Ma io non ho questo potere.

Posso dirti soltanto che io ho paura.

Amato Cini

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NOTA EDITORIALE

 

Questo libro raccoglie le ultime poesie scritte da Amato Cini dal 1983 al 26 Novembre 1987 e le pochissime che non trovarono spazio nelle ultime raccolte: «I giorni del nomade» e «L’acqua dentro la roccia» (Ed. Forum, Forlì 1980-1983).

Ho trovato le composizioni inedite sparse in diversi quaderni e sento il dovere di sottolineare che tutte quelle «a largo respiro» hanno visto la luce negli ultimi mesi di vita e solo Dio sa con quale dispendio di energie.

Noi non sapremo mai, conoscendo la meticolosità dell’Autore, se le stesure sarebbero rimaste definitive, in particolare alcune di quelle inserite nelle sezioni «Non chiedere» e «Verso il deserto», scritte di getto e con mano sicura, pubblicate per mettere in luce la personalità e la sensibilità del poeta in particolari momenti.

La raccolta, nata con l'intento di fare cosa gradita agli amanti della sua poesia e soprattutto per completare il suo messaggio, è stata impostata rispettando, ove era possibile, l’ordine cronologico di stesura, tenendo presente il presumibile pensiero dell’Autore.

In merito alla sua poetica ho creduto opportuno inserire un suo scritto del 1982 e alcuni stralci critici significativi. Colgo infine l’occasione per esprimere un vivissimo ringraziamento al Prof. Giampaolo Piccari che ha contribuito in modo determinante alla realizzazione di questo libro.

Abramo Cini

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PRESENTAZIONE

(Angelo Jacomuzzi)

 

La poesia religiosa non conosce nel nostro Novecento esemplari d’eccezione. Tra le poche voci di poesia autenticamente religiosa spicca quella di Amato Cini. La religiosità non è, nella poesia di Cini, presente estrinsecamente, come argomento esplicito del discorso, ma determina il rapporto del poeta con le cose e col mondo.

Il rapporto con le cose è quello di un «analfabeta cosciente», cioè un rapporto di immedesimazione che penetra nel cuore delle cose con altri strumenti che non quelli scientifici. Il poeta non è un sapiente, ma un «contagiato»:

lo ho scelto d’essere un uomo

contagiato da un forte odore di terra

che si apre sotto l’aratro.

(Analfabeta cosciente)

La realtà gli appare come una «foresta di simboli» di baudelai- riana memoria, ma, a differenza della poesia simbolista, questa poesia, intimamente religiosa, non gioca sulle analogie orizzontali, ma vede le cose come simbolo del Trascendente, come traccia dello Spirito creatore:

Così con mute parole parlo alle cose

condotte al termine loro

dallo Spirito che abita sopra le acque.

(Analfabeta cosciente)

Il modello che sta alle spalle di questo discorso poetico non è tanto le «correspondances» di Baudelaire, ma il Cantico delle creature, «[...] il tuo canto, / frate Francesco» (Assisi). E quando si affronta la presenza dell’Altro nelle cose, si raggiungono certi esiti supremi, come in L’Angelo, un testo che spicca per un andamento intrepido come di inno, e che non nasconde l’ambizione di raggiungere il sublime.

Questa aspirazione al sublime percorre tutta la raccolta poetica ed ha il suo segno di riconoscimento nella sintassi ricca di inversioni e sempre tendente ad una predicazione multipla delle cose. Ma quest’aspirazione al sublime, questa visione trionfale delle cose create non si manifestano indisturbate e sono invece segnate da una oscura perplessità che è il segno della modernità della poesia di Amato Cini, della sua appartenenza a un mondo di crisi che la fede creaturale consola ma non risolve:

Sono stanco di vivere queste ore perplesse

 instabili come le nuvole chiare

come le nuvole nere

che in cielo si elidono sempre.

(Uccelli marini)

Il creato, a questo sguardo «perplesso», sembra minacciato dal passare inesorabile del tempo e da una immedicabile precarietà, come se la morte e la distruzione stessero sempre in agguato a impedire un canto trionfale delle cose create. Questo senso del pericolo e della minaccia trova un suo correlativo oggettivo nel simbolo biblico dell’angelo sterminatore:

E l’angelo sterminatore in agguato

dietro cespugli di ginestre sfiorite.

(Aerea forma)

La vita umana è il luogo di questa perplessità, di fronte alla vita vegetale e animale che sembra godere di una sua immunità:

Non è possibile

essere un albero /.../

non una pietra immobile

non il gatto /.../

la tua vita è piuttosto la nave

che può sempre affondare

non ti è concesso il riposo

se non per proseguire

il viaggio pieno di rischi.

(Non è possibile)

Tra lo splendore della creazione e questa perplessità dell’uomo si colloca la parola del poeta che cerca una certezza attraverso la «magia» del linguaggio, ma che si ritrova tra le mani solo parole consumate e inadeguate:

E per evocare magie non ho

che parole consunte.

(Fossati)

Sono concesse solo brevi «pause» di immedesimazione con le cose, come per eccezione e per miracolo. Qui il poeta sembra aver assorbito la lezione di Montale, che assegna, appunto, all’eccezione e al miracolo i brevi attimi di felicità e di conoscenza; e si legga, per cogliere il senso di queste intermittenze, la lirica Pausa, che è la descrizione di una immedesimazione, ma come per una pausa, nel rischio e nell’oscurità dell’esistenza umana. Questo rischio e questa oscurità che minacciano l’esistenza, le opere dell’intelletto e della fantasia, tutte le opere dell’uomo in genere, caratterizzano la sezione Non chiedere e toccano il loro apice in Lamma Sabachtani, dove è descritta la «morte dei sensi», la «memoria abbandonata», il giacere «abbandonati» del cuore e deH’intelletto.

Questo stato di smarrimento pervade tutta la sezione Verso il deserto, dove è l’esperienza della solitudine, dell’incompiutezza di ogni opera umana, e dove il poeta ritorna sotto le vesti di un «profeta sconfitto», non ascoltato dagli «amici perversi»:

Vi volto le spalle e nascondo le lacrime

perché non diciate:

Ecco il profeta sconfitto.

A mano a mano che si procede nel libro si attenua il realismo creaturale, si attenua la presenza della natura come occasione di slancio verso l’alto. Domina l’immagine del poeta perduto nel deserto, inteso qui nel senso biblico di luogo dell’esperienza della solitudine e dell’incontro col divino.

Il rapporto con gli altri si fa angoscioso e si celebra il grande incontro con la «Pietà» che viene a consolare il poeta che si presenta, ora, sotto le vesti bibliche di un nuovo Geremia, profeta inascoltato e capace di odio e amore verso i destinatari della sua parola.

In Parole mortali (nascita della poesia) è la definizione di questa parola che si presenta al Cini come capace di mille metamorfosi, eppure sempre inadeguata rispetto al mondo che il poeta vorrebbe comunicare:

E mai nessuna di queste s’adegua

al fluire delle nascite eterne,

non quelle di Alcmane in gara col canto

diffuso delle sue mille pernici,

non quelle di Dante

perduto nel volo illimite

dei suoi cherubini di fiamma.

 

Nella sezione Astronauta dell’anima il poeta fa l’esperienza della vertigine e dello smarrimento di chi si muove in «metafisici spazi», fa l’esperienza di Abramo (si veda la lirica omonima) che lascia la sua casa per una meta ignota, fa l’esperienza di una difficile fede, di una «scommessa» sul Dio nascosto / al di là della nube. Al tono descrittivo della lirica delle sezioni iniziali sottentra ora un registro visionario di discorso e i riferimenti si fanno culturalmente più alti e arrischiati: l’Apocalisse, l'Atlantide, Alcmane e Dante, la nave d’Ulisse, e sul tutto l’immagine biblica della «profetica voce», che segnala l’ambizione, in questa ultima fase della poesia del Cini, di presentare il lavoro poetico come affine al discorso profetico, ma senza l’appoggio dell’ispirazione divina, affidato alle risorse umane del mestiere, sempre così povero nelle sue possibilità rispetto alle mete espressive e comunicative che si prefigge.

A mano a mano che si procede nella lettura, si ha l’impressione che, in luogo di cedere alla stanchezza, la poesia del Cini cresca di ambizione e di forza visionaria, fino a l'Ultimo canto, uno stupendo inno rivolto allo «Spirito occulto del mondo», che bene sigilla, come il canto del cigno, questo eccezionale itinerario poetico.

Angelo Jacomuzzi

 

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Stralci critici significativi

(Raccolti da Abramo Cini)

 

La poesia di Amato Cini è intensamente apocalittica, e si colloca sul confine ultimo dell’ambiguità insita nella coincidenza fine-principio... Egli trasferisce a Dio la categoria, propria della poesia moderna, dell’assenza. Non dissacra la vita, nè dimentica la sua sacralità, ma ne vive, per così dire, la sacralità negativa. Parola tematica è il «vento», che è simbolo non tanto di potenza inafferrabile (è peraltro anche questo) quanto di trasmigrazione, di esodo, di universale ubiquità.

Geno Pampaloni

(in «Michelangelo», trimestrale arti, lettere,

cultura e attualità /

la ginestra editrice / Firenze, 24 / anno VII/1978)

 

 

Non è poesia di pace, non di consolazione: ma piuttosto è poesia di rivelazione e, soprattutto, è quella di un supremo «itinerarium in Deum», che non può avvenire che passando attraverso la petrosità e il deserto che è non soltanto il mondo, ma l’anima stessa, nella sua condizione perpetua, mai pacificata, di tormento...

Conferma dell’altissimo valore poetico e religioso della poesia di Amato Cini: anzi, di quel rarissimo miracolo per il quale le due esigenze e i due discorsi (poetico e religioso appunto) perfettamente si integrano in un risultato che rimane un acquisto definitivo e fondamentale della nostra coscienza e della nostra vita, oltre che della nostra cultura.

Giorgio Bàrberi Squarotti

(dalla premessa a «Notizie dal vento»,

Ed. Miano, Milano 1979,

e a / giorni deI nomade,

Ed. Forum/Quinta Generazione, 1980)

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L’universo del poeta è percorso da un forte anelito religioso, da un’ansia del divino che si diffonde ovunque, specie nei sentimenti, nelle passioni, nei tremori dell’anima, mentre il paesaggio si fa essenziale, raccolto in poco spazio, in linee tutte prese dalla voce dell’uomo...

Giuseppe Amoroso

(da recensione a «Notizie dal vento»

Scaffale di poesia - gazzetta del sud, 24/8/80)

 

La parola poetica diviene... diario intimo fatto di sofferenze e di paure, di attese e di speranze di fronte alla desolazione cosmica che investe tutto e tutti, individuo e storia, natura e sentimenti: la nullificazione, di leopardiana memoria, si trasforma così in utopia di vita, in voce di poesia in quanto testimonianza e rivelazione del Mistero.

Franco Di Carlo

(Forum/Quinta generazione,

Maggio-Giugno 1982, 95/96)

 

 

Un viaggio strutturato sulla figura del marinaio, solo con se stesso, con le sue stelle che gli indicano la rotta nel buio, vecchio capitano stanco di inseguire i sogni e che spera di ritornare un giorno al mare, all’origine cioè della vita.

Luigi Martellini

(da «La poesia delle Marche»,

Forum/Quinta generazione, 1982)

 

 

Quando don Cini scruta il giorno dalla sua finestra non obbedisce a un rito e nemmeno fa la sua preghiera mattutina in nome della poesia o di Dio (che per certi aspetti è la stessa cosa), no, si presenta ogni volta come uno scolaro che ignori il senso della lezione che gli verrà impartita dal maestro che poi è soltanto l’idea della vita pura, della vita da accettare senza riserve nè altri pretesti. Sta davanti alle cose, le guarda, poi se le riporta dentro e cosi il suo bisogno di poesia gli si traduce immediatamente in discorso, quel secondo discorso che doveva fare fra sé... Scrivere, parlare in poesia per lui è proprio questo, gettare dei ponti ideali fra le cose, le pietre, i dolori del mondo e la sua anima ma non per strappare delle conclusioni sospette, per insegnare o fare della morale, no, solo per rispondere nel vero del cuore alle voci che gli vengono dal di fuori. La sua è un’economia poetica generosa perchè non si pone dei limiti e neppure esige dal suo attore principale, dal suo protagonista uno schema abile, una tattica di giuoco.

Carlo Bo

(dalla premessa a «L’acqua dentro la roccia»,

Ed. Forum, Forlì, 1983)

 

 

Poesia religiosa nel senso più radicale, che la lega ai ritmi del tempo e della vita, ma anche poesia bella e fedele, che ritrova la forma unificante e eternizzante di fronte alla disgregazione, che oggi ci attanaglia come un pericolo mortale. Aver «creato» delle forme nel segno della bellezza, questo è il merito, che, senza enfasi, possiamo dire storico, di Amato Cini. Forma non ludica, ma neppure asettica, perchè in ciascuna delle poesie di Amato Cini è riflesso l’intero mondo delle sue inquietudini (corpose, gridate, insonni).

Italo Mancini

(Dal Convegno tenutosi a Urbino

il 25/02/1988

 

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INDICE

N.B. Cliccare sulle voci sottolineate

 

Pag.   Titolo

---    Da appunti sparsi
  5    Abramo Cini, Nota editoriale
  7    Angelo Jacomuzzi, Presentazione

        Analfabeta cosciente
13    Analfabeta cosciente
14    Avventura suprema - vita
15    Giorni di aprile
16    Anche adesso
17    La paura
18    La coccinella
20    Luminose colline
20    Assisi
21    L’angelo
22    Sere di luglio
23    Una melagrana nel sogno
24    La fonte di Pergamo
26    Alhambra
27    Candido
28    Lungo il metauro
29    E non sei che tremore
30    Uccelli marini
31    Aerea forma
32    Non è possibile
34    Uragano
35    Fossati
36    Come questi cespugli
37    Fine di un tempo
38    Sopra i sensi assopiti
39    Notte stregata
40    Pausa
         Non chiedere
43    Non una di queste primavere
44    Chi siamo?
46    Non chiedere
47    Se sei solo o vi sono più mondi
48    II tentativo di rimanere (Le statue)
50    Tu sei parte della terra
51    La solitudine
52    II piede di Neruda che sogna di diventare MELA
53    Lamma sabachtani (Disgusto dell’angoscia)
54    Non più domande

         Verso il deserto
57     I fiori autunnali
57    A questa primavera
58    Lunghi, oscuri latrati di cane
58    Nel metrò a Parigi
59    Come vorrei
59    E mai verrà l’ora
60    E colsi nei tuoi occhi
60    C’è un’Atlantide sprofondata
62    E a ciascun giorno basta la sua pena
62    E tu illusione
63    Cesserà la favola
63    Oscuro tremore m’invade
64    La tempesta irrompe
64    L ’uomo costringe la terra
65    E non puoi ritmare
65    Ho ietto la vita fermata
66    Lo stormire di platani
66    Tra poco sarà tutto finito
68    Mi è morto l’oracolo
69    Ecco, ho incontrato la Pietà
70    Neppure dire addio
70    Per gli altri
71    L’ergastolano speciale
71    Come l’eco d’un canto
72    Qui non v’è imprecazione
72    Ah illusione
73    Ho distrutto i miei idoli
73    E poi un giorno partirò

        Astronauta dell’anima
77    Parole mortali (nascita della poesia)
79    Venerdì Santo 1981
80    La primavera (mito)
81    II mistero
82    Foglie sull’abisso
84    Notte cortina di pena
86    Astronauta dell’anima           video
87    Abramo
89    Anima antica
92    Insonne riva
93    Per nubi ed arene
94    Al di là del ponte
95    Dissolvenze
96    Cenere
97    In labirinti di pena
98    Alla ragione
100   Fantasia di novembre
101   L’ultimo canto
105   La mia poetica
 

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Alcune poesie:

 

L’ultimo canto

Questo canto è stato composto il 26/11/1987
poche ore prima di morire.

 
Piègati sul mio delirio,
Spirito occulto del mondo,
apri i miei occhi
perchè io possa vedere
almeno un baleno del tuo fulgore,
e poi mi saranno
dolci anche le tenebre.

Apriti inatteso
come una rosa tardiva
perch’io conosca
il giorno sul punto di perderlo
con tutti i sentieri tortuosi
che mi condussero
stremato a quest’ultima spiaggia
ove dopo tante parole
ogni alfabeto mi è fatto straniero
vane le mie fatiche
impietosa la vita
che avanza sempre per stragi
in tanto infinito spreco di lune,
che per un favo di miele
riserva profluvi d’assenzio,
per un fragile fiore,
deserti e sterpeti.

Alleggerisci
le mie spalle gravate
da fardelli impossibili,
rivèlati
come un cielo dopo la pioggia,
fresco come le erbe
dopo l’inverno.

Salvami dalla legge dell’uomo
che tutto irretisce,
fariseo immortale.

Dimmi che non sei la rigida pietra
che ami e distingui
una foglia caduta tra mille,
che accogli
anche questa mia voce
che da un infinitesimo
punto del cosmo a te giunge
rauca per lunga contesa.
 

 

 

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Analfabeta cosciente

da "Tra cielo e abisso" luglio 1989  p. 13

 

La coscienza infelice nel vuoto di questo
tempo barocco si copre d’oggetti
di linguaggi astrusi di maschere.
Io ho scelto d’essere un uomo
contagiato da un forte odore di terra
che si apre sotto l’aratro.
Per misurare altezze o distanze
angolari di stelle
non ho sestante analfabeta cosciente,
eppure mi si aprono a volte
nel buio ventagli di luce,
specchi ove seguo il corso abissale del cielo,
glorie di arcobaleni.
Un vento ignoto si leva
e mi dice come gli alberi bevano il sole,
perchè la rosa profumi e la rondine
torni alla nota grondaia.
Così con mute parole parlo alle cose
condotte al termine loro
dallo Spirito che abita sopra le acque,
e in pace ritorno fra gli uomini,
sorrido, se appena un fiore risplende
al sole che emerge da nuvole rotte.
 

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ANCHE ADESSO

novembre 1980  pag.16


Quando piovevano dense le foglie dei platani,
mi dicevo: Tornerà primavera,
e il cuore veloce di palpiti nuovi.
E non vedevo che sempre più fitto grigiore
invadeva i capelli come di stoppie,
quando il sole è più breve al nostro orizzonte,
e si ripone la falce. Anche adesso
mi dico, tra acri fruscii e la pioggia:
Tornerà primavera; e subito sento
fremere come torrente la vita, com’aria
tra boschi colmi di gemme,
e per un attimo solo dimentico d’essere
una danza di fatue piume a fior d’acqua.
.../XI/1980
 

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PAUSA

1987   pag.40

Come dietro un velario
passano nuvole
ondeggiano alberi in fiore
si contorcono nubi nella bufera,
ombre di volti
che emergono e vanno
si perdono
per fiumi e paesi lontani
mentre sento un odore di cose
che ho toccato
che mi hanno toccato,
l’odore delle sere,
l’odore dei mattini
delle case assorte sui colli,
delle acque stagnanti
dei viali
dei vicoli stretti
pregni di esotiche essenze.
Tutto mi fluisce nel tempo
che non so misurare
e in lui io sono
delirio e brivido
schiaffo e carezza
acqua e albero
sono tutte le voci e nessuna
sono pietre e acque,
e mi sento esistere
ma come le foglie
e come le erbe.
 

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NON UNA DI QUESTE PRIMAVERE
gennaio /1987   pag.43

Non una di queste
primavere veramente hai vissuto,
ti sono sfuggite
come piume variopinte nell’aria.
Eppure tu credi
di sentire l’odore di altre,
perchè immortale
è la pienezza del giorno
che illumina il sangue.


Eppure non so quale odore
e ricordo ti si è attaccato
al sangue.
 

 

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CHI SIAMO?

23/10/1987     pag. 45

Chi sei tu che dopo tanto cadere
di foglie e tanto girare di lune
anonimo sul ponte
d’un transatlantico a nome mi chiami,
mi stringi la mano e incerto sussurri:
«Anche tu qui? Non ricordi?»

Ritornano a stento
per gli occhi miei le tue sembianze.

Altra forza ci ha spinti
per strade e sabbie diverse.

Come colline e pianure
ci siamo mutati,
portiamo impresse nel volto
le stigmate di tutti gli eventi.

Oltre oceano anche disperse
le tracce dove fiorivano siepi
di edere e di biancospini.

Solo la rondine
quando ritorna dal mare ritrova
sotto la vecchia grondaia il suo nido,
ma per noi si chiusero
per sempre le porte del sogno.

Rispondiamo automi a un uomo che forse
mai corrispose
al ritmo nativo del sangue.

Costruiti secondo le maschere
che il tempo o il caso c’impose,
centrifughi sempre, svariamo
come le nubi, arlecchini dell’anima,
sintassi ibrida, piume
slegate nell’aria.

Vedi come fila veloce
la nave, come s’infrangono l'onde
come spumeggiano in rapide danze,
come si cangiano in valli e montagne,
in abissi che si elidono sempre.


Chi siamo se non memoria d’un’ombra?


Ascolta, ascolta. Forse ora s’accende
in infinito di spazi una stella,
un’altra forse
in arcano buco nero scompare.
 

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DISSOLVENZE

11/XI/1986     pag. 95

Perduto in un giro infinito
seguo la danza ambigua
di tutte le cose
dissolvenze d’ombre passaggio
fatuo di nubi sul disco
indifferente del sole,
finché disciolto
dal fascino delle parvenze
dal turbine folle
cadranno queste mie mani
senza clamore
ove giacciono gli stolti e i sapienti,
confuse come le foglie di questi
scotani spogli
che incendiarono di rossi bagliori
le sere autunnali.
 

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OSCURO TREMORE M'INVADE
settembre 1984   pag. 63


Oscuro tremore m’invade le membra
la mente s’aggira nel vuoto,
inappetenza di tutte le cose,
parole inerti di libri
che già la tignola consuma,
scomparsa ogni magia,
fluisce la terra,
una foglia che gira e rigira
non sale in cielo nè in terra discende,
è questa l’ora della mia apocalisse,
mi è la terra una sfinge
e gli angeli sterminatori
dietro i rami dei platani.
Tutto immoto, è questa la morte
dietro un volo
d’uccelli ch’emigrano.
 

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Mi è morto l’oracolo

aprile /1980    pag.68

 

Mi è morto l’oracolo in bocca
e io vi volto le spalle, amici,
perchè non diciate:
È finita, è finita,
non può più gridare.

Vi volto le spalle e nascondo le lacrime
perchè non diciate:
Ecco il profeta sconfitto.

Vi volto le spalle e vorrei
odiarvi, stroncarvi
farvi morire. Ma come,
se subito mi viene pietà
e le parole gonfie d’ira
si mutano in disperata preghiera?

Amici siete perversi,
ma tanto infelici se guardo
le vostre indicibili mani di Giuda,
ma voi dite che sono valide e pure
e Cristo non c’entra
e io sono un illuso.

Ebbene io tacerò fino a che non diciate:
Svelaci uno dei tuoi oracoli,
ora che tutto è finito.
 

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Qui non v’è imprecazione

novembre 1984    pag.72

 

Qui non v’è imprecazione che laceri il cerchio
non pianto, il destino è fisso,
ora so che accadrà
quello che avevo temuto,
che esorcizzavo con ombre e fantasmi
creati dalla mia paura,
ora so che il vuoto mi prende
e non vi sono angeli
che vengano in volo con tenere ali.
Ecco io sono il deserto assoluto.
Non v’è centro,
tutte le cose slegate nell’aria
la paura e gorghi m’assorbono
mi succhiano sangue e pensiero
nè alcuno che dica:
Ecco tu sogni, fra poco sarà primavera
e tornerà Ebe, la rugiadosa fanciulla
e tu dormirai, dormirai
in un campo sonoro di gigli.
 

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