LA PROSPETTIVA A 180° E OLTRE

IL PUNTO DI VISTA DI EMILIO FRISIA

 

Emilio Frisia amava raccontarsi cosi:

«... Ho fatto il correttore di bozze, il redattore al giomale l'Unità, ho fatto il traduttore dal russo, poi mi sono messo a far fotografie e ho pubblicato qualche libro di fotograffa. Sono stato assunto come insegnante di fotograffa presso la Società Umanitaria poi sono stato assunto per l'insegnamento della fotograffa in un corso di grafica presso l'Istituto Professionale di Stato Caterina da Siena. Per finire, entrato in ruolo, mi venne assegnata una cattedra all'istituto statale d'arte di Monza... Si noti una cattedra di grafica pubblicitaria non di fotografia.

Sono convinto che nelle scelte più o meno consapevoli da me fatte non abbia pesato tanto lo studio dei classici greci e latini... quanto un rnio quasi innato bisogno di trafficare anche con le mani... Da ragazzo giocavo col meccano ed esercitavo la mia fantasia a costruire gru e macchine varie utilizzando i pezzi di varie scatole anche di marche diverse che avevo messo insieme sognando sempre un meccano più grande e fornito di tanti ingranaggi, che erano il mio sogno. L'odore del ferro del meccano era per me un vero profumo: io dovevo diventare "ingegnere" quello che doveva inventare l'aeroplano con venti motori. Mi sono scontrato con le matrici, con i vettori, con... e sono diventato "dottore in fettere". Comunque nella vita, trenne qualche breve periodo in cui sono stato costretto per ragioni di sopravvivenza a fare cose non confacenti alla mia natura, ho sempre fatto quello che ho voluto.»

 

Ripercorreremo qui soprattutto l'evoluzione del suo "essere stato fotografo" che - dal punto di vista metodologico - non abbandona mai la sua speculazione.

Emilio e uno dei primi a partecipare alla Commissione Informatica che all'inizio degli anni Ottanta airistituto Statale d'Arte di Monza si interrogava sulla possibilità e sulle modalità di introdurre l'uso del Computer nella didattica quotidiana. E da questi incontri che Emilio trae la linfa per le sue speculazioni sempre più ardite per quei tempi e ad un certo punto decide di "partire" per la sua ricerca da solo. Comincia all'eta di sessant'anni astudiare matematica (lastessa che lo aveva da giovane allontanato dalla facoltà di ingegneria inducendolo a iscriversi successivamente a quella di Lettere) e ad usare una delle prime calcolatrici grafiche. In questo modo elabora le prime tavole per le quali individua le coordinate dei punti da rappresentare dopo di che comincia le sue fantastiche elaborazioni. Ma la T92 non e più sufficiente e impara un linguaggio di programmazione semplice, il Basic, con il quale può utilizzare un rudimentale Computer; con il nuovo strumento procede spedito nelle sue produzioni e disegna ambienti (un cubo ad esempio) visti da un vertice. Ma ancora una volta lo strumento non e adatto ad una mente che comincia a "mescolare" il metodo di rappresentazione appena trovato con quello che e suo già da tempo, frutto delle ampie conoscenze fotografiche nelle quali è maestro; riesce ad avere soddisfazione e a migliorare le sue produzioni apprendendo e usando il Graphic Basic. A questo punto Emilio non immagina solo figure geometriche in ambienti asettici ma addirittura mondi immersi in mezzi con indici di rifrazioni reali e poi porta al limite anche questo pensando a mezzi non esistenti realmente con indici di rifrazione impossibili; a questo aggiungeva punti di vista e visioni umanamente irrealizzabiii (i suoi mondi visti con un campo a 180°, a 270° e addirittura a 360°, visto da dietro!) ottenendo affascinanti deformazioni di ambienti improbabili, moderne e irreali anamorfosi! II Computer, che agevolava notevolmente il suo lavoro, da Emilio veniva usato solo allo scopo di fornire le coordinate giuste da riportare sul foglio sul quale poi, lui stesso. rappresentava usando puntini e tratteggi.

"E interessante - afferma Emilio Frisia - che dal punto di vista percettivo si possano ottenere effetti analoghi con motivazioni e strumenti di lavoro completamente diversi anche dal punto di vista strettamente tecnico: l'incisione da una parte (col chiaroscuro ottenuto ingrossando o assottigiiando il tratto) e il rapidograph dall'altra (con il chiaroscuro ottenuto imitando il reticolo tipfco della "grana" presente nelle pellicole fotografiche), il disegno geometrico da una parte e il Computer dall'altra."

"Quando presento i miei lavori quasi tutti mi dicono che non possono fare a meno di pensare a Escher. La cosa non mi dispiace, tutt'altro, lanto più che l'opera di Escher ha su di me una forte attrattiva (un libro con le riproduzioni di suoi disegni si trova accanto al mio letto). Ritengo, però, che ci sia una differenza fondamentale tra le motivazioni che stanno alla base della ricerca condotta da Escher e quelle che stanno alla base della mia: l'artista olandese operava attraverso la geometria plano- descrittiva in un campo di ricerca relativo al riempimento del piano immagine, alla creazione di figure "impossibili", ecc., i miei disegni, ottenuti servendomi della geometria analitica, sono sempre legati a oggetti architettonici possibili nella realtà tridimensionale (magari fantastica), ma visti con modelli di visione diversi da quello della comune umanità. Nei miei lavori la figura umana e solo accennata e gli ambienti non hanno nulla a che vedere con la città del passato; io vengo stimolato a lavorare da una visita alla Défense di Parigi con i suoi grattacieli e le sue strutture avveniristiche (dentro le quali non mi piacerebbe vivere) e non da Venezia (una città dove invece vivere non mi dispiacerebbe affatto).

"Elaborando, correggendo il programma per il calcolo dell'immagine di oggetti collocati nello spazio, mi sono entusiasmato all'idea di poter simulare mediante immagini reali l'esistenza reale di un mondo di oggetti immaginari.

II Computer forse ci può aiutare a fotografare un mondo che esiste soltanto nella nostra immaginazione. Ma questa volta, con tutta probabilità, si tratta di autentica invenzione anche se i singoli oggetti che popolano questo mondo immaginario esistono, magari, dall'eternita."

In tufta la sua ricerca Emifto non dimentica neanche per un attimo la sua formazione d'origine, il suo essere fotografo che per lui ha un significato diverso dal solito, un significato più profondo e più completo che ha maturato personalmente forse anche grazie alle funghe cfriacchierate che da piccolo faceva con ii padre, il pittore Donata Frisia, durante le loro funghe e dolci camminate. Certo l'abitudine ad osservare ogni particolare e cresciuta con lui ed è diventata la sua filosofia di vita.

E' ovvio che il modo di portare avanti la sua ricerca è "condizionato" dalla sua formazione su diversi fronti. Lui non è mai solo fotografo, solo letterato, solo insegnante, solo studioso, Emilio in ogni momento della sua vita è tutte queste cose insieme. In lui le culture non si dividono ma si sommano e soprattutto si mescolano fornendo nuova linfa vitale al pensiero e allimmaginazione. Nel corso degli anni '80 e'90 Emifio ha pubblicato numerosi articoli, relativi alla sua ricerca, su riviste italiane di fotografia professionale ma probabilmente la maggiore soddisfazione è stata la pubblicazione sulla prestigiosa rivista americana "LEONARDO" che si occupa dei rapporti tra arte e screnza [Leonardo vol.25 N°3/ 4,1992. "New Representative Methods for Real and Immaginary Environments"].

Per completare in modo corretto la biografia di Emilio Frisia non bisogna dimenticare una delle attività che più ha amato: la montagna e l'alpinismo.

E doveroso ricordare che Emilio ha partecipato alla scalata del Picco Lenin (aftezza 7134 metri) nel 1967 come inviato dell'Unità. Nella saletta al piano rialzato proponiamo una selezione di fotografie e il reportage di questo viaggio, come testimonianza di cosa Emilio intendesse parlando di racconto per immagini.

 

".. Una foto acquista un significato particolare per il momento in cui è stata scattata ma la personalità del fotografo può rivelarsi solo attraverso il "racconto" che lui stesso fa attraverso la serie delle sue fotografie ognuna delle quali e frutto dell'atteggiamento del fotografo stesso in un dato momento, di fronte a una data situazione. Ritengo che proprio dalia somma delle immagini sia possibile capire anche la personalità di chi quelle immagini ha prodotto. Penso che un fotografo possa essere considerato "artista" non tanto per eventuali singole foto da mettere in cornice e appendere come quadretti ma per il discorso che lui fa attraverso la serie delie sue immagini. Per me (e ci tengo a sottolineare: questo per me in quanto si tratta di una mia opinione e non di una verità dimostrabile e da dimostrare la sede ideale della fotografia è il libro, non e la parete d'una galleria d'arte. Che poi ci sia un mercato della fotografia che ricalca quello della pittura non è un fatto che mi turba più di tanto. E la regoia del nostro mondo d'oggi dove tutto vale solo se diventa merce."

Nella Milano della fine degli anni cinquanta Emilio sosteneva queste tesi dalle pagine della rivista "Photo Magazin" alla quale contribuiva scrivendo articoli di critica fotografica e traducendo dal russo i contributi che riteneva più significativi, partecipando cosi da protagonista ai dibattito politico e culturale che, in quegli anni stava profondamente cambiando il panorama italiano delle arti visive.

Vi è una testimonianza che Emifio amava molto ricordare, sono le parole di Dino Buzzati a commento di una sua mostra di fotografie di montagna:

 

"Da giovani il pensiero va continuamente a questa o quella cima, a questa o quella parete, di stagione in stagione sempre più difficili, dal terzo al quarto al quinto, e, chissà, forse anche al sesto grado. Le dosi della felicità commisurate alla scala di Monaco. Ma, passando gli anni, viene il giorno che ci si volta cercando nei ricordi. E allora con stupore ci si accorge che le cose più belle lasciate dalla montagna dentro di noi - quei lampi, quelle fuggevoli visioni che al nostro cuore simboleggiano quasi il meglio della vita, e che risorgono qua e là nei sogni notturni - non corrispondono alle difficoità delle scalate. Ascensioni di severe impegno per cui una volta andammo orgogliosi sono inesplicabilmente svanite nel nulla. E restano invece, nitidissimi, altri momenti vissuti magari su rupi e ghiacci di modesta levatura: l'intimità segreta di un camino, l'imbuto assorbente di uno sdrucciolo che sprofonda nell'ombra, la nebbia che si ingolfa fra i fantasmi della cresta, la nicchia, il ballatoio, la pencolante cornice, quei luoghi cosi solitari e misteriosi Non la vittoria importa dunque, alla resa dei conti, ma la oscura potenza di certe immagini in cui la montagna, non si sa come, ha concentrato per noi la sua magia.

"Qui appunto, mi sembra che stia l'arte del fotografo di montagna. Di là del problema teenico, di là della sapiente inquadratura, fissare per sempre quelle rivelazioni poetiche. Nelle quali anche gli altri, che non c'erano, ritroveranno tuttavia un pezzo di se stessi. Ecco perchè le foto di Emilio Frisia sono belle.

Capita spesso di vedere sulle riviste di montagna delle fotografi e stupende con giochi di luce, composizione, eccetera. Eppure non ci dicono niente, manca loro completamente il mistero. Ma in quelle di Frisia l'ineffabile senso della montagna c'è e come. Osservate ad uno ad uno i pezzi raccolti in questa mostra. Non ce n'è uno che sia inutile, che cioè non ridesti in noi, magari da lontananze, profondissime, ahimè di venti o trent'anni fa, una precisa e poetica risonanza. Frisia, beato lui, se la fa col sesto grado, cosa cioè di cui chi scrive, per esempio, non è stato mai capace. Però Frisiat nelle sue fotografi e, non ci parla da sestogradista, da tecnico, da iniziato, egli ci parla da uomo sensibile e semplice, che vuol bene alle stesse cose e le intende alla nostra identica maniera. Proprio come un caro amico che, disceso da lassù, ci batta una mano sulla spalla e ci dica sorridendo: ti ricordi?"

 

Queste sale ripercorrono nella loro struttura espositiva quanto esposto, in modo informale, quanto detto nelle righe precedenti: su questo livello troviamo le tavole che costituiscono il corpus della ricerca di Emilio i diversi sistemi di rappresentazione: le prospettive "normali" caratterizzate quasi, ma non sempre dalla ricerca di punti di vista impossibili, i planisferi, alcune tavole della serie "una città ideale" aecompagnate da estratti del testo di aecompagnamento, per finire con un'anamorfosi su due piani. Completano l'arco delie ricerche grafiche di Emilio le due serie di tavole della sala del camino al livello inferiore, qui troviamo quelli che forse sono i suoi contributi più originali alla prospettiva curvilinea: le anamorfosi cilindriche e le rifrazioni.

Le prime sono senz'altro il contributo più significativo degli ultimi decenni al tema dell'anamorfosi dove dalle ricerche rinascimental in poi sembrava fosse già stato detto tutto.

Le rifrazioni di Frisia, oltre all'indubbio fascino visivo, hanno risvegliato l'interesse delle riviste di fotografia professionale per la possibilità àlmeno teorica di combinare le caratteristiche di un obbiettivo Fish-eye con quelle di uno Zoom.

Questa rnostra dei disegni di Emilio ha una struttura decisamente meno didattica di quelle che in questi anni l'hanno preceduta, questo fondamentalmente per problemi di spazio. Il corpus di spiegazioni che in genere accompagnava i disegni Ii rendeva forse più interpretabili ma sicuramente non aggiungeva niente al loro fascino visivo. Per aiutare l'interpretazione delle tipologie di rappresentazione ci limitiamo a fornire l'elenco completo dei programmi TIM che compongono IMAGO.

 

Completano la mostra due opere di Donato Frisia padre di Emilio, uno dei protagonisti della pittura lombarda della prima metà dei novecento: la copia di uno dei cinque ritratti che Amedeo Modigliani gli fece in un caffe parigino e una tela che rappresenta Emilio bambino. Accanto a queste opere troviamo afcune delle elaborazioni foto-grafiche che Emilio trasse dall'originale di Modigliani.

Nella saletta al piano rialzato, come già accennato abbiamo ritenuto interessante collocare una testimonianza dei lavoro di reporter- fotografo di Emilio: l'intero testo dei reportage della spedizione internazionale per la scalata al picco Lenin e alcune delle foto (scelte dai curatori) che componevano un bellissimo racconto per immagini.

 

 

II programma IMAGO

si articola in 16 moduli, ognuno riguardante un diverso metodo di rappresentazione (si veda l'elenco nella tabella a fine paragrafo) che potremmo raggruppare in quattro grandi insiemi:

- i metodi di rappresentazione classici basati sulla proiezione da un punto nello spazio su un piano;

- i metodi basati sulla rifrazione, nei quali le rette uscenti da un punto vengono deviate da un mezzo rifrangente;

- i metodi mutuati dalla cartografia, nei quali ad una prima proiezione su una sfera seguono diverse Strategie di dispiegamento dell'immagine sul piano;

- i metodi cilindrici in cui l'immagine, formatasi attraverso una prima proiezione sulla superficie di un cilindro, viene sviluppata nei piano.

 

 

TIM

modulo Imagò

METODO DI RAPPRESENTAZIONE

OPERAZIONE A) generazione deirimmagine primaria

OPERAZIONE B) generazione deirimmagine delinitiva

T1M1

prospettiva lineare

 

proiezione sul piano

TIM2

profezionil ortogonali

 

proiezione sul piano

TIM3

proiezioni oblique

 

proiezione sul piano

TthU

rifrazioni

 

proiezione diottrica sul piano

TIM5

planisfero (A) proiezione ortografica

proiezione sulla sfera

proiezione sul piano

TMB

planisfero (B) proiezione stereografica

proiezione sulla sfera

proiezione sul piano

TIM7

planisfero (C) proiezione di Postel

proiezione sulla sfera

sviluppo sul piano

TIMS

Planisfero (D) proiezione di Mercatore

proiezione sulla sfera

proiezione sul cilindro

TIM9

planislero (E) ellittico

proiezione sulla sfera + ellissolde

restituzione sul piano

TIM1Ò

planistero (F) rettangolare

proiezione sulla sfera + ellissolde

restituzione sul piano

TIM11

planisfero (G) sinusolde di Samson

proiezione sulla sfera

sviluppo sul piano

TIM 12

anamorfosi cilindrica (A) PV interno centrato

proiezione sul cilindro

sviluppo sul piano

TIM13

anamorfosi cilindrica (B) PV interno decentrato

proiezione sul cilindro

sviluppo sul piano

TIMU

anamorfosi cilindrica (C) sulla superficie

proiezione sul cilindro

sviluppo sul piano

TIM14

anamorfosi cilindrica (B) |D) esterno

proiezione sul cilindro

sviluppo sul piano

TIM16

anamorfosi su più piani

 

proiezione sul piano