Nota biografica

Gianni Del Bue nasce a Reggio Emilia il 27 dicembre 1942. Giovanissimo apprende dal padre Artemisio, quadraturista e maestro di trompe l'oeil, le tecniche pittoriche. Comincia a dipingere per diletto, attratto in particolare dalle pitture di Filippo De Pisis e Giorgio De Chirico, tra i moderni e di Paolo Uccello e Piero della Francesca, tra i classici. L'interesse per quest'ultimo rappresenta una costante nel suo percorso artistico. Più volte si reca ad Arezzo e dintorni per studiare il grande maestro antico così caro ai moderni.

A metà anni '60, trasferitosi a Torino, Del Bue decide di presentare per la prima volta due sue opere alla Società Promotrice di Belle Arti della città, che destano l'immediato interesse di Aldo Passoni, conservatore del Museo d'Arte Moderna, che lo incoraggia, invitandolo a importanti rassegne.

Tra il 1965 e il 1975 l'arte di Del Bue assume un impianto astratto influenzato dall'informale, dalla pop-art, dall'astrattismo geometrico e dal minimalismo.  Conosce Emilio Scanavino a Calice Ligure, Gianni Madella e Claudio Olivieri a Milano, Filippo Avalle in Brianza, mentre il gallerista Giancarlo Salzano comincia a occuparsi del suo lavoro, assieme a quello di Carol Rama, Gino Gorza e Horiki.

Incontra la stima e l'amicizia di due intellettuali mantovani, Gino Baratta e Francesco Bartoli che saranno decisivi nello sviluppo del suo lavoro, consolidando tra l'altro, il rapporto di Del Bue con Mantova, che continuerà grazie alla collaborazione con Alberto Bernardelli, libraio gallerista cui si devono l'organizzazione e l'ideazione di importanti rassegne a Palazzo Ducale e a Palazzo Te.

L'artista presenta nel 1972 due grandi tele a "Prospettive 5" a Roma e nel 1974 dodici opere al Premio San Fedele di Milano. È iscritto ufficialmente nella corrente "Nuova Pittura", ma dopo travagli e ripensamenti, pensa a un ritorno alla figurazione.

Tra il 1975 e il 1985 Del Bue realizza grandi quadri il cui supporto è costituito per lo più da un reticolo di tele triangolari cucite insieme e rese impervie da buchi, ricuciture e sfilacciamenti. Su questo fondo policentrico l'artista dipinge una molteplicità di immagini, talvolta sovrapposte prese dal mondo dell'arte e della pubblicità, quasi a sottolineare la funzione mitica e allegorica della figura.  Quadri labirintici che ospitano racconti e che richiedono una lunga esecuzione, elogiati dalla critica per gli elementi anticipatori rispetto al nascente fenomeno della transavanguardia, secondo il giudizio di Francesco Poli o del postmoderno, secondo Marco Rosei.

Una mostra antologica realizzata da Janus nel 1988 ad Aosta fa il punto di tale forma espressiva e ne suggerisce l'assoluta novità in campo nazionale. Ma è nello stesso anno che l'ansia di ricerca artistica di Gianni Del Bue, lo porta a una nuova trasformazione espressiva.

Da Torino si trasferisce nelle Langhe cuneesi con fughe periodiche sulla riviera ligure di ponente, alla ricerca di una rinascita connotata da un registro pittorico di maggiore semplicità e con un rapporto più intenso con la natura e le emozioni del vivere.

La sua pittura cambia, apparentemente si semplifica, assumendo la forma di una nuova interpretazione del paesaggio. Il pittore comprende che il labirintico paesaggio delle Langhe contiene già un suo progetto grafico, non necessita di una riduzione concettuale ma piuttosto di una disvelazione partendo dai valori della realtà. Del Bue capisce che la contemporaneità dell'opera, il suo parlare di un tempo presente vivo e originale non dipende dal soggetto descritto, ma da questo nuovo linguaggio.

Con esso mette a fuoco gli elementi del reale che più lo colpiscono, inserendo qua e là tratti di pura invenzione, illuminando la scena come se fosse in un teatro di posa, e accendendo i molti particolari domestici o i paesaggi di una luce notturna, intima che risplende e irradia "luce catodica, televisiva, dei tempi moderni" recentemente definita dal critico Marzio Dall'Acqua. L'opera di Del Bue ha trovato fin dagli esordi l'interesse critico di Enrico Crispolti e Giorgio Di Genova oltreché l'appassionata lettura di Janus, suo esegeta, e di Marco Rosei e ha anche interessato il mondo letterario. La prima recensione del suo lavoro è di Ermanno Cavazzoni nel 1969, in seguito Sebastiano Vassalli gli dedicherà tre componimenti poetici, Piero Meldini scriverà due brevi racconti, e ancora Francesco Biamonti si inventerà una intervista immaginaria con il pittore. La frequentazione ligure con quest'ultimo sarà assidua al pari di quella con lo scrittore e amico mantovano Frediano Sessi che l'ha presentato più volte in catalogo.

L'artista vive ed opera nel comune di Farigliano sulle Langhe