BIOGRAFIA  DI  ELDA  UGOLINI

 

Elda Ugolini, è nata il 2 Aprile 1898. Il padre, Francesco, era figlio del "nonno Stefano " dell'avventura con i briganti. Abitava in Urbino ma poco dopo le nozze con la sua amata Mariettina, si trasferì nella valle del Foglia per amministrare una grande Azienda Agricola di proprietà di Signori venuti dal Veneto. Fu qui, in una grande casa di campagna piena di sole e profumata di calce e di lavanda che nacquero i loro quattro figli.

In quella Azienda, in quella grande casa, Elda crebbe, lavorò, sviluppò la sua personalità e costruì la ricchezza interiore della sua vita. Attiva, competente, sempre disponibile, dirigeva la casa e affiancava il lavoro del padre e dei fratelli. Quando il padre morì - e dopo pochi anni morì anche il fratello che l'aveva sostituito nell'Azienda - i figli dei padroni che erano subentrati nella proprietà le chiesero di rimanere (almeno lei) a mandare avanti le cose. Elda rimase. Ma come definire il suo lavoro? Non c'è una parola. Continuò la sua attività di sempre occupandosi con maggiore impegno ed entusiasmo dell'Azienda e della casa nella quale si stabilì poi definitivamente la figlia dell'antico proprietario con la famiglia. Elda fu molto apprezzata e benvoluta: era un punto di riferimento sicuro non soltanto per il suo lavoro indispensabile per il buon andamento delle cose, ma anche per il suo carattere, per il suo entusiasmo, per la serenità che diffondeva, per l'affetto che dava ai bambini. Fu una donna coraggiosa, forte, sempre presente, determinata ma anche semplice, comprensiva, generosa con tutti.

Riusciva anche - nel breve spazio della giornata - a ritagliarsi un tempo suo che dedicava con passione al lavoro al telaio (vedi foto) con il quale creava tele per la casa e anche coperte, tappeti e persino tessuti per abiti destinati alla casa dei padroni ma anche per farne dono ai suoi fratelli e ai loro figli. Riusciva a trovare anche il tempo per leggere, per radunare i bambini intorno al fuoco e raccontare loro favole, filastrocche, ricordi della tradizione. Il racconto più interessante era quello delle avventure del nonno Stefano con i briganti della famigerata banda Grossi, racconto che volle consegnare a tutti i nipoti come ricordo di famiglia.

Con l'avanzare dell’età, sentì il bisogno di avvicinarsi di più ai suoi fratelli e nipoti e volle condividere gli ultimi anni con loro trasferendosi in città e continuando con entusiasmo e disinteresse a rendersi utile a tutti.
Morì nel 1990 a 92 anni. Negli ultimi tempi, dalla sua poltrona riceveva con gioia e vivacità le visite dei suoi cari. Parlava poco ma rifletteva molto. Un giorno al suo medico che la seguiva con bravura, chiese all'improvviso: - Dottore, cosa ci sarà "di là” ? -

 

 

LA  STORIA  DEL NONNO  STEFANO  SULLA  BANDA  GROSSI

raccontate dalla nipote Elda Ugolini

 

Il nonno Stefano era fattore del Conte Viviani di Urbino e amministrava i beni che il conte possedeva intorno alla città e lungo la valle del Foglia.

A quel tempo abitava sotto Urbino, in una località chiamata "il gobbo".

Un giorno, tornando dalla fiera di Mondaino dove aveva venduto delle bestie (e quindi incassato dei soldi) si fermò solo un momento in casa e volle proseguire per consegnare il denaro al padrone, nonostante la nonna lo consigliasse di aspettare il giorno dopo, pensando che era stanco dal viaggio e dalla giornata.

Tornato a casa a sera andò a letto. Dopo un po' sentì bussare alla porta e chiamare sotto la finestra. Un uomo gli diceva di dovergli consegnare una lettera dei padroni di Pesaro, e aggiunse premuroso:

“ Mandate giù un cestino con una corda, non scendete ché siete stanco “.

Il nonno, che era uno che non si tirava mai indietro, scese subito giù.

“Voi avete fatto tanti chilometri per portarmi questa lettera e io non dovrei fare la scala?”.

Era una trappola. Appena aperto l'uscio gli saltarono addosso. Erano in parecchi e tutti col viso coperto. Due di loro lo presero e lo portarono sotto il camino (c'era l'ajola bassa) . Uno ha detto:

“Andate a prendere una fascina che gli diamo fuoco”.

“No-ha risposto l'altro- è un fattore tanto buono”.

 “E' per questo che mi trattate così?” domandò il nonno. Ma il primo che aveva parlato gli diede una botta in testa con una spada e lo ferì.

Allora lo portarono nel letto con un piantone che lo sorvegliava.

Uno dei ladri mascherati gli chiese:

“ Dove avete messo i soldi delle bestie vendute a Mondaino?”

Erano quindi andati a colpo sicuro, o almeno credevano, perché non sapevano che il nonno non aveva più con sè il ricavato della vendita delle bestie.

Erano in 17 con sette od otto muli e cominciarono a caricare tutte le cose di casa. Ogni tanto qualcuno gli chiedeva le chiavi dei magazzini, della cantina.

“ Sarà sul tavolo “ rispose il nonno che non si ricordava neppure bene dove aveva appoggiato la chiave della cantina.

“ No-rispose uno di loro- non può essere quella sul tavolo perchè la chiave della cantina è femmina”.

Così il nonno capì che colui che parlava era pratico della casa, ma non riuscì a identificarlo.

Svaligiarono tutta la casa e portarono via tutto: provviste, grano, denaro, indumenti, biancheria, oggetti.  La nonna aveva un bambino del padrone chè lo svezzava, presero anche le sue fasce e i pannolini sporchi.

Sul comò della camera da letto c'era un cofanetto con dei gioielli, portarono via tutto tranne il cofanetto perchè non capirono che era d'argento.

Poi se ne andarono dopo aver preso anche gli abiti, i miseri abiti appoggiati sulla sedia per andare a letto. All'alba, per uscire di casa, il nonno ha dovuto chiamare il contadino e farsi prestare un paio di pantaloni per recarsi in città ad avvisare i padroni di quanto era avvenuto.

Era la banda dei Grossi. nessuno riusciva a trovarla e nessuno ci riuscì per un bel pezzo.

 

L'anno dopo quando si avvicinava la data della stessa fiera di Mondaino la Direttrice del brefotrofio di Urbino che conosceva il nonno e sapeva in quale zona lavorava, lo pregò di passare a vedere un bambino che era stato dato in affidamento a una famiglia del Pontevecchio.

La località del Pontevecchio era lungo il tragitto che il nonno doveva percorrere e gli sarebbe costato poco fermarsi a prendere notizie, ma - immerso negli interessi del suo lavoro - si dimenticò.

La sera quando se ne accorse decise che il giorno dopo sarebbe ritornato nella valle del Foglia per fare la visita secondo la parola data e di buon mattino attaccò il cavallo e partì. Il contadino era a letto, ferito e fasciato. La moglie raccontò che la notte erano andati i ladri per rubare un vitello e lui l'aveva difeso. C'era stata una lotta e il marito era rimasto ferito.

“Poveretto! Posso andarlo a salutare in camera?”

“Si, si, vada pure”. E il nonno salì a parlare con quest'uomo che conosceva e si fece raccontare cosa era successo la notte, commiserandolo.  Ma in realtà le cose erano andate molto diversamente da come l'uomo e sua moglie raccontavano. Il contadino faceva parte della banda ed era stato ferito perchè la notte era andato a rubare con gli altri e gli avevano sparato.

Ma il nonno non sospettò nulla, e - mentre il ferito gli raccontava vari particolari per costruire una vicenda convincente - gli accadde di giocherellare con il lembo delle coperte del letto. Il nonno non si accorse che erano le sue, rubate quella notte dell'anno precedente, ma il contadino si credette scoperto e la mattina dopo gli capitò a casa di buon'ora.

Convinto che il nonno avesse riconosciuto la sua roba lo scongiurò di non denunciarlo e dichiarò che l'avrebbe aiutato a prendere gli altri. Il nonno sorpreso e amareggiato disse che ormai era acqua passata e lui non voleva più ripensare a quella brutta avventura. Ma il contadino replicò che lui non intendeva rinunciare alla taglia.

Era difficile trovare la banda. Ogni tanto trapelava qualche notizia di convegni, di cene, ma i ladri -furbi- all'ultimo momento cambiavano la data o il luogo e le forze dell'ordine non potevano mai acciuffarli.

Un giorno il nonno scese di nuovo nella valle del Foglia, sempre per il suo lavoro, e al ritorno incontrò un drappello di carabinieri che avevano fatto una sortita per trovare i banditi, ma senza risultato.

Li apostrofò con la celebre frase:

“ Voi siete i soldati del Papa: ce ne vogliono sette per cavare una rapa”.  Offesi e insospettiti lo presero e lo legarono a un albero e gli chiesero che cosa intendesse dire.  Il nonno spiegò che secondo lui se volevano catturare i banditi dovevano cercarli al Ponte Vecchio, perchè lì vivevano, e dovevano andare casa per casa chiedendo chi vi abitava, perché non c'era il censimento e non si sapeva con sicurezza dove abitava la gente.

Così fecero. Però a lui - dato che non lo conoscevano e sospettavano delle informazioni che aveva dato e soprattutto forse perchè si sentivano offesi - lo lasciarono legato a un albero con un piantone armato di guardia.

I Carabinieri andarono casa per casa, come li aveva consigliati il nonno e tornarono con una bella squadra di banditi, tutti ammanettati e legati. Prelevarono anche il nonno, lo misero in testa alla squadra e si diressero verso Urbino. Il nonno non fece nessuna obiezione fin quando non giunsero vicino alla città, e fecero la strada con i carabinieri e i banditi.

A Porta Santa Lucia però, si rifiutò di procedere perchè non voleva entrare in città assieme ai ladri e che venisse avvisato dell'accaduto il Conte Viviani.

Il Conte Viviani ordinò di lasciarlo immediatamente libero e così fu fatto.

La banda Grossi era stata finalmente catturata e finì in prigione con grande sollievo di tutte le popolazioni circostanti. Quel contadino che voleva prendersi la taglia denunciando i suoi compagni, prese quindici anni di galera.

 

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