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RITI E TRADIZIONI  NELLE FESTIVITA' DI PASQUA  AD  URBINO

 

 (In fase di elaborazione.  Si invita il visitatore, se a conoscenza di altri particolari o ancora meglio di documenti fotografici, di contattare il webmaster: michele.gianotti@gmail.com)

 

Si può dire che i riti pasquali avevano inizio con il mercoledì delle Ceneri, allorché cominciava il periodo penitenziale della Quaresima.  Durante la Messa, le ceneri ottenute bruciando i rametti di olivo benedetto dell'anno precedente, venivano imposte dal sacerdote celebrante sulla testa dei fedeli con lieve movimento a croce accompagnato dal monito dell'officiante: "Memento, homo, pulvis es et in pulvere reverteris" (Ricordati, o uomo, che sei polvere ed in polvere ritornerai).  Non era una giornata allegra, di qui il detto "hai la faccia da mercoldè dle cenner", cioè “hai un viso affranto”.  I visi della maggior parte dei fedeli erano spesso affranti a causa dei balli e delle ore piccole attese durante l'ultima notte di carnevale: martedì grasso, che spesso debordava nelle ore antelucane del mercoledì delle Ceneri.

 

Alle spensieratezze del Carnevale seguiva quindi le astinenze della lunga Quaresima, caratterizzata dalla quotidiana recitazione delle preghiere del Pio Esercizio della Via Crucis, che sempre si svolgeva nelle chiese durante la celebrazione liturgica della Benedizione vespertina.  La più solenne Via Crucis si celebrava nelle Grotte del Duomo (Cripta).  La Via Crucis consisteva (e tuttora consiste) nello spostarsi via via processionalmente lungo il perimetro della chiesa, sostando a meditare sotto i quadri raffiguranti le 14 stazioni della Passione del Signore, cantando in coro:

Stabat mater dolorosa

juxta crucem lacrimosa

dum pendebat Filius.

 

Santa Madre, deh, voi fate

che le piaghe del Signore

siano impresse nel mio cuore.

 

Stazione per stazione, l'officiante leggeva le pene sofferte dal Cristo, concludendo ogni volta con un Pater, Ave e Misere. La funzione finiva con solenne mestizia all'altare maggiore.

 

Durante la Quaresima i bigotti osservavano anche il precetto del digiuno più o meno completo, invece i fedeli un po’ meno osservanti mangiavano di magro.  Dato che la maggior parte della popolazione di quei tempi soffriva di carenze alimentari, era frequente che i più deboli fossero colpiti da esaurimenti di difficile risoluzione. Normalmente non si celebravano sposalizi in Quaresima.

Durante il periodo quaresimale avveniva (come tuttora) la benedizione delle case.  Era quella l'occasione di fare le grandi pulizie di primavera, ripulendo a fondo tutta la casa, spostando letti e mobili e imbiancando a calce le pareti.  I pochi mobili di legno massello si lucidavano con olio di noce, un olio rosso dal tipico odore. Nei vicoli, prima dell'arrivo del prete si lavava perfino tutta la strada.  Dopo la benedizione di tutti gli ambienti della casa, si facevano benedire anche le uova e le cresce brusche e dolci, che poi si dovevano necessariamente consumare a Pasqua (mai prima) e in molti giorni successivi; tuttavia, data l'esagerata quantità e i lunghi tempi di conservazione fuori frigo (i congelatori erano ancora ben lontani dall'entrare nelle case) molto si doveva buttare perché spesso si ammuffiva.

Trascorsi 20 giorni, si festeggiava la Mezza Quaresima, denominata "sega la vecchia", che interrompeva la mestizia: era addirittura tollerato, se non proprio permesso, dalla chiesa perfino di  ballare e si potevano preparare nientemeno i dolci tipici del carnevale, come cresciole e castagnole.

 

 

 

 

LA SETTIMANA SANTA

 

In alcune parrocchie si recitava:

"che cosa farete Signor mio il lunedì santo?"  risposta: "Sarò un povero cavaliere"

"che cosa farete Signor mio il martedì santo?"  risposta: "Sarò un semplice perfetto"

"che cosa farete Signor mio il mercoledì santo?"  risposta: "Sarò un povero pellegrino"

"che cosa farete Signor mio il giovedì santo?"  risposta: "Sarò venduto per 33 denari falsi"

"che cosa farete Signor mio il venerdì santo?"  risposta: "Sarò preso, condotto al macello e attaccato alla colonna e ammazzato come un agnello innocente di Pasqua"

"che cosa farete Signor mio il sabato santo?"  risposta: "Resusciterò dalla terra come il fermento"

"che cosa farete Signor mio la domenica di pasqua?"  risposta: "Sarò padrone e redentor di tutto il mondo".

 

Lunedì delle Palme:   benedizione e distribuzione dei rami di olivo benedetto

 

Giovedì Santo visita dei cosiddetti “Sepolcri”.  

In ogni chiesa veniva preparato un “sepolcro” o  repositorio dove si riponeva e tuttora si conserva il SS. Sacramento, ossia l'Ostia consacrata nella messa del giovedì santo, detta “In cena Domini”. Il luogo  prescelto per il repositorio veniva addobbato specialmente con tappeti, lini e paramenti di color nero e/o viola, con vasi contenenti folti  ciuffi di lunghi steli bianchi ottenuti facendo germinare e crescere del grano al buio. Sullo sfondo scuro degli addobbi quei vasi sembravano nuvole. Nello stesso giorno, di pomeriggio e di sera dopo cena, i fedeli, per lo più in gruppi familiari, visitavano i “sepolcri” di più chiese, sempre in numero dispari, sostando in ognuna qualche tempo in preghiera. Le varie parrocchie facevano a gara per allestire il miglior “sepolcro”.  [Sa fè i sepolcre ancha stasera? “Cosa fai i sepolcri anche questa sera?” si chiede a qualcuno che visitava più osterie].

Venerdì Santo: nella chiesa di S. Francesco si celebravano le Tre ore d’agonia.  L'orchestra della Cappella del SS Sacramento (ancora attiva) suonava pezzi di autore dedicati alla Passione, attirando molte persone da tutto il circondario.  Poi, un frate predicatore commentava le Sette arole del Cristo pronunciate durante la Passione.  Si “legavano” le campane nel lutto stretto, essendo il loro suono gaio disdicevole per l'occasione.  Alle più piccole e a quelle più a portata di mano o si toglieva la cordicella o si girava uno straccio intorno al battaglio.  Dal venerdì santo all'ora della Resurrezione, la “batràccola” sostituiva la campanella per scandire le varie fasi delle sacre funzioni. Più elegantemente denominata “crotalo”, la “batràccola”  detta anche  “bàttola”, era una specie di grossa nacchera, composta da una tavoletta di legno (simile a un tagliere) sulle due facce della quale erano incernierate due anse di ferro, che battevano ritmicamente ora di qua ora di là sulle due superficie della tavola, quand’essa veniva impugnata e agitata con gesto circolare e verticale insieme in modo alternato per produrre un rumore secco e sordo di strumento a percussione.

 

Sabato Santo a mezzogiorno in punto si scioglievano (simbolicamente) le campane e tutte suonavano a festa la Resurrezione.  Rapidamente, appena se ne sentiva il suono bisognava bagnarsi con acqua la parte dolente o sgraziata del corpo, perchè miracolosamente in quel momento e per un breve attimo il liquido acquistava proprietà taumaturgiche.

 

Domenica di Pasqua si faceva colazione tutta la famiglia riunita con uova sode benedette e crescia di Pasqua brusca (salata).  Se ne poteva mangiare a volontà, nessuno brontolava di fare economia, solamente bisognava stare attenti a non far cadere in terra nessuna briciola di crescia o di guscio d'uovo perchè erano stati benedetti.  Perciò, terminata la colazione, le briciole ed i gusci si gettavano nel fuoco.  A pranzo i piatti popolari tipici erano costituiti da passatelli in brodo, da costine o coratella di agnello fritte... e da tante altre leccornie.

 

Lunedì di Pasqua o Pasquetta: tre gli eventi

  1. Era assolutamente prescritta la visita devozionale delle Grotte del Duomo, costituite da tre cappelle dedicate alla Natività del Signore, al Santissimo Crocifisso e alla Resurrezione, detta anche “Cappella della Pietà” dopo che nel 1796, superata indenne la rovina della soprastante cupola del Duomo, vi fu collocato il gruppo marmoreo raffigurante la Pietà scolpita da Giovanni Bandini dell’Opera. La Cappella del Sepolcro è il quarto ambiente in fondo al lungo corridoio, dove vi è stato costruito il finto Calvario con pietra spugnosa e nella parte cava del Golgota vi era stato collocato il Compianto sul Cristo morto, rappresentato da statue di terracotta dipinta di altezza naturale, che il Dolci (1775) afferma plasmate dall’urbinate Pompilio Lanci. Da lì, scavato nel tufo, inizia anche un cunicolo semicircolare, che fuoriesce nel corridoio prima di questa quarta cappella.  Sugli anfratti delle pareti del cunicolo sono appese alcune grosse croci di legno dipinte di nero.  Tale giro penitenziale delle Grotte è detto "Giro del Perdono" e i fedeli, che aderiscono alle solite condizioni prescritte dalla Chiesa, lucrano una particolare indulgenza per i vivi e per i morti (concessa dal papa Sisto IV). Fino a non molti anni fa, si trattava, dunque, di un rito assai partecipato dai fedeli di città e del contado, i quali  scendevano lentamente ed in silenzio la lunga scalinata,  giravano in processione una cappella dietro l'altra, toccando ogni croce incontrata, facendo poi con la stessa mano un vistoso segno di croce, continuando stentatamente a biscicare in latino una serie di preghiere. Il culmine dell’emozione si raggiungeva nel cunicolo. Questo era scarsamente illuminato da alcune candele, che al passaggio di belle ragazze o di gente goffa di campagna venivano spente da alcune birbe ivi appostate, che lanciavano perfino delle urla strazianti.  Inoltre, gli stessi ribaldi, approfittando della scarsa luce, s’adopravano spesso a imbrattare con nerofumo le grosse croci del cunicolo, che naturalmente contribuivano a creare delle vere maschere di passione trasfigurando i buoni fedeli, che si ritrovavano con fronte, spalle e petto anneriti dai segni di croce. Infine, a completamento degli obblighi indulgenziali, per uscire si doveva risalire la lunga scalinata sui ginocchi, recitando ben definite orazioni.

  2. Cinema gratuito dal mattino alla sera.  La gran sala del cinema Ducale fin dall'apertura era riempita dai contadini.  Alcuni era la prima volta che vedevano un film: i commenti, le esclamazioni, le commozioni erano divertentissime.  Naturalmente avevano con loro la “gluppa” per la sopravvivenza, ossia per rifocillarsi a base di uova sode, crescia di pasqua, salamini, formaggio pecorino e fiaschi di vino.  Molti uscivano la sera tardi, lasciando sul pavimento del cinema un bello strato di briciole e gusci d'uovo.
    gluppa   * Fardello fatto con un largo fazzoletto di tela piuttosto grossa, generalmente a scacchi celesti e blu, legato con due nodi per i quattro angoli, usato dai contadini per contenere merce, vivande, pollame ...  Aveva le funzione delle attuali borse di plastica.

  3. Scampagnata:  i contadini venivano in città; al contrario, i cittadini andavano in campagna o nelle frazioni limitrofe.  Qui un gioco tipico della giornata era il "punta e cul".

 

                   La Gara con le uova sode

Tratto da:

http://www.giraitalia.it/eventi_folkloristici/4291_il_lancio_delle_uova.html


Descrizione: A Urbania (Marche, provincia PU) e Pietralunga (Umbria, provincia PG) ogni anno si rinnova l'antica tradizione rurale della gara con le uova sode o gara del “punta e cul”.
Il “Punta e Cul”  è un gioco molto popolare con il quale si rinnova l’appuntamento pasquale sull’aia contadina, quando, nella mattina di Pasqua la popolazione si ritrovava sfidandosi al gioco dell’uovo. Centinaia erano le uova sode preparate e trasportate poi sull’aia con un canestro di vimini. I concorrenti pagavano ciascuno una quota e si disponevano in cerchio per la gara.
Le uova, due per ogni partecipante, venivano sistemate a terra e collocate in fila una dietro l’altra con un disegno a forma di “S”. A questo punto seguiva la “conta”, per stabilire chi doveva iniziare il gioco: il fortunato poteva valutare forma e consistenza dell’uovo e scegliere così il primo a destra o a sinistra della fila a terra; tutti gli altri concorrenti dovevano poi obbligatoriamente prendere il loro uovo seguendo il lato della fila del primo uovo scelto e mettersi in cerchio nell'ordine della conta.
Poi iniziava il "punta e cul": Il sorteggiato con la punta del suo uovo doveva colpire, scegliendo forza e direzione, l'uovo del compagno di destra che a sua volta doveva esporre il "culo", cioè la parte opposta alla punta, del suo uovo.
Vinceva chi nel confronto riusciva a mantenere l’uovo intatto, continuando finché il suo uovo resisteva e intascando tutti quelli che aveva rotto.
Se si incrinava l'uovo del battitore, il gioco veniva poi portato avanti dal successivo concorrente e così via per due giri. Per battere si utilizzava la parte più a punta dell’uovo. In genere poco dopo i concorrenti in gruppi più piccoli si ritrovavano per sfidarsi (privatamente) “a cul”, ossia utilizzando la parte posteriore dell’uovo rimasta intatta dopo la sfida precedente.
Ancora oggi, la mattina di Pasqua e il Lunedì dell’Angelo, specie nella Piazza centrale di Urbania e negli spazi antistanti, gli abitanti di alcune pievi limitrofe, al termine della funzione religiosa, ripropongono questa tradizione, alla quale partecipano oltre agli anziani anche numerosi giovani.
Dalle Marche all’Umbria la tradizione della “battaglia di uova” si rinnova e una delle più conosciute è senz'altro la “Tocciata” di Pietralunga, in provincia di Perugia. Il mattino di Pasqua, dopo le 10 in piazza, i presenti si dispongono in cerchio con in mano un nuovo sodo e a turno si picchia sull’uovo dell’avversario. Il giocatore che rimane con l’uovo intatto continua il giro, l’altro viene eliminato. In passato il gioco consisteva nel portare a casa il maggior numero di uova, mentre ora viene assegnato un premio simbolico.

 

 

http://www.eventiesagre.it/Pasqua_Pasqua/6490_Punta+e+Cul.html

 

 

Urbania (PU), 12 - 13 aprile 2009

La tradizione del gioco pasquale del "Punta e cul"

Questo popolare gioco riprende l'appuntamento dell'aia contadina nei giorni delle feste pasquali, quando l'uovo aveva un forte valore economico e di scambio.

Ancora oggi, la mattina di Pasqua e il lunedì dell'Angelo, nella piazza centrale di Urbania e presso il Santuario di Battaglia (a 3 km. dal centro) partecipano a questa tradizione, oltre agli anziani, numerosi giovani e turisti.

Alcune persone organizzano la gara preparando centinaia di uova toste che trasportano sulla piazza con un canestro di vimini. I concorrenti, dalle 15 alle 20 persone, pagano una piccola quota agli organizzatori e poi si dispongono in cerchio. Le uova vengono sistemate a terra con un disegno a forma di "S", in numero doppio rispetto ai partecipanti (2 per ciascuno per 2 giri). Segue la "conta" per stabilire chi inizia il gioco: il fortunato sceglie il primo uovo a destra o a sinistra della fila, valutandone attentamente la consistenza (per battere si usa la punta dell'uovo). Gli altri concorrenti debbono poi, obbligatoriamente, prendere il loro uovo seguendo il lato della fila del primo uovo scelto.

Inizia così la gara, girando in senso antiorario: vince chi, nel confronto, riesce a mantenere il suo uovo intatto battendolo con quello del vicino.
Il giocatore continua così finché il suo uovo resiste, intascando tutti quelli che riesce a rompere: il gioco viene poi portato avanti dal successivo concorrente e così via per i 2 giri.
 
Alla fine, alcuni concorrenti rifanno il gioco battendo la parte dietro e intatta dell'uovo, appunto il "cul".

 

 

 

LA  BATRACCOLA

di Otello Sorini

 

So’ sedut t’ la scrivania,

sto scrivend ’na poesia;

scriv veloc e de gran lena,

e me digh “so’ propi in vena”,

quand de là chi du’ fiolacc

urlen, griden parolacc.

Un pestin soport pasient

me distoine, en scriv pió gnient,

arabitt in t’ i budei

i’ ho gridat ma chi burdei:

“Lasciat gì da sbatruclè ?

Perchè s’ no ve veng a mnè !”

S’ èn sitati, en urlen  pió

e me poss armetta gió:

cerch e pens d’arfè la rima

m’ al discors ch’ho lasciat prima,

mo me batt com un martell

cla parola in t’ el cervell:

sbatruclè, sbatruclè,

mo da du’ deriverè !

Pens e arpens ma ‘sta parola,

manch ’n’idea me scappa fora;

a l’indietra vaggh t’ el temp;

sa ’l pensier bricch tra la gent.

Facc decìn d’accostament

dle parol che c’ ho t’ la ment.

I brificch, i batanai,

raguiàm, cinciabudei,

i batacch, e sbatruclè:

finalment se’ propi te,

el ricord d’ quand’er burdell

me cumpar in t’ el cervell,

vegh ma Ciccio Scanabucc

sa la cotta e le babucc

ch’ el pèss d’ legn in t’ una man

che faceva un gran bacan.

La batraccola è ’n strument;

la sunaven per la gent,

la sunaven in Urbin

per le strad e i vigulin,

la sonava el sagrestan

argirandla sa ’na man.

Era propi un gran richiam

propi com sa le campane;

archiamaven l’atension

ch’era l’ora dla funsion,

t’ un chi giorne de pasion

prima dla resuresion.

La batraccola en s’ véd  pió;

le campan en s’ leghen  pió;

hann capitt che ’sti strument

ogg incanten poca gent;

mo el pensier me va luntan:

sarà un bén o sarà ’n mal ?

 

* Celso Pretelli, sacrestano del Duomo.

 

 

Nino Cesaroni

 

LE GROTT DEL DOM

Urbino, 1991

In Antologia nel IV° volume di:

"V' l'arcont in dialett " (2001)

 

Per nó d'Urbin è 'na tradision,

sia per chi tristi che per chi bon,

rispettè el Lundé de Pasqua,

anca s'acqua o nev gió casca.

Grandi, pcini, donn e ôm,

gim a fè 'n gir tle Grott del Dôm;

e pó dic ch' c'è l'indulgensa,

dachsé da gicc en s' pol fè sensa.

 

Da qualch ann prò, a dì al ver,

en pió de nó i forestier:

sarà l'apatía de nó urbinat

opur perchè qualcosa è cambiat:

'na volta era tutt pió accoglient

sa "Ciccio" ch' faceva el dirigent,

perchè s'en giravi pe'l su' vers,

dalla gent ch' c'era, te truvavi spers.

 

E pó era tutt pió arpulitt,

adess c'è le statue èn tutt' insustit,

piene d' polver,  'na pussa d' rinchius,

che ma tutt quant fa griccè 'l mus.

Ce vleva tant daj 'na pulitta ?

Posibil che ancora en l'hann capitta ?

Anca l'ann scors l'hann méss tel giornal

mo quei testardi fann sempre ugual;

e  pó malé èn conservati

di capolavor tel mond rinomati.

 

In Urbin c'è propi la mania

d' lasciè le cos achsé com sia:

pó di lavor lasciati a metà

per ann inter, c' n'è in quantità.

 

La scalinata del Dôm è a ristrett,

el palass dla Finansa è sensa tett,

la fortessa Albornos chiusa da'n pess,

la casa dle Vign sempre lustess.

 

Hann arfatt el mur a son d' milion

mo ancora en s'pò gì tun chel turion.

La statua del Papa è sensa 'n bracc,

quella de Raffaell è ardotta un stracc;

guarda sotta le logg el piancitt

è tutt impatacat e sempr' insustit.

 

Mej lascè gì per non dì cle pió belle:

cioè di parchegg e dle gran "bretelle",

mo in attesa de cl' occasion

strigném la cinta s'no c' casca i calson ...