A PROPOSITO DELLA SCAMPANATA

di Rolando Bacchielli

 

    La “scampanata”, detta anche “scampanacciata” nell’uso ufficiale con un riferimento più diretto ai “campanacci” dei buoi e delle pecore che assieme a tanti altri oggetti venivano usati per la chiassata notturna, è un’antica manifestazione folclorica ormai decaduta, ma ancora molto viva nella memoria collettiva. Di essa conserviamo purtroppo scarse testimonianze dirette al punto che a mala pena riusciamo a ricostruirne con certezza tutte le varie forme tradizionali e a coglierne il significato che la motivava. Non si tratta come si pensa comunemente di una manifestazione “nostrana”, bensì di una consuetudine europea che dopo le scoperte geografiche è stata diffusa dai paesi coloniali anche in varie altre parti del mondo come l’America, l’Australia, ecc. Ce ne danno prova i termini che ancora sopravvivono nelle varie lingue europee: francese “charivari” (con varianti in molti dialetti francesi, ma presente anche nel piemontese “zanzi-vari”; voce che deriva dal basso latino “caribaria” di origine oscura e sulla quale sono state fatte molte congetture), spagnolo “cencerrada” (da “cencerro” = campanaccio), tedesco “Katzenmusik” (con riferimento a “Katz” = gatto e quindi ai miagolii, fischi, grida e lazzi che componevano la chiassata) e inglese “rough music” o “skimmington-ride” (per “musica discordante” il primo, mentre il secondo termine, variamente interpretato, potrebbe riferirsi a “skimming-ladle” cioè la “schiumarola”, a manico lungo, con la quale la moglie percuoteva il marito). Nei dialetti italiani o di altro paese europeo esiste una gran varietà di termini per “scampanata”; purtroppo, per ciò che riguarda la situazione italiana, non sono mai stati censiti. Ricordiamo al momento solo il romagnolo “bacilèda” e il fanese “bidunata”.

    Un gruppo di persone, giovani ed anziane, si recavano di notte attorno alla casa di qualcuno che aveva infranto le regole del buon comportamento civile e morale per biasimarlo e sottoporlo al giudizio e alla riprovazione della collettività, e ne facevano scherno con grida, fischi, lazzi, canti ed un frastuono infernale fatto con pentole, coperchi, bidoni, barattoli, tamburi, campanacci, “batraccole”, bastoni, attizzatoi, martelli e altre cose. Ma tutto ciò doveva restare nell’anonimato, tant’è che in certi casi i dimostranti si camuffavano o facevano uso di maschere, perché era l’intera comunità che esprimeva il biasimo, non particolari individui, e forse anche perché si voleva prevenire in questo modo ogni sorta di azione vendicativa nei giorni successivi da parte dell’“imputato”. Tutto sommato, però, l’evento doveva avere una certa aria di magia.

    Legata com’era alle tante altre manifestazioni popolari la scampanata ci interessa anche sotto il profilo musicale: a differenza delle serenate notturne che dovevano essere melodiose e appassionate, la musica della scampanata doveva invece essere assordante, “infernale”, esorcizzante e vale la pena ricordare che negli anni del dopoguerra era stata creata a Fano l’orchestra della “Musica Arabitta” che utilizzava proprio come nella scampanata tradizionale strumenti insoliti e bizzarri fatti per lo più con utensili da cucina. Anche sotto questo aspetto quindi la scampanata ha lasciato il segno.

    Le situazioni “anomale o illecite” verso le quali la collettività esprimeva la propria disapprovazione ed interveniva con la scampanata “per correggerle” erano le più diverse: un vedovo o una vedova che si risposavano troppo presto o con persone troppo giovani per loro, mogli bisbetiche che picchiavano i mariti, mogli o mariti infedeli, coppie notoriamente litigiose, parroci che se la facevano con le loro perpetue, omosessuali che convivevano, pedofili che abusavano dei bambini, padroni che commettevano abusi sessuali o crudeltà nei confronti dei loro dipendenti. Tuttavia la scampanata ha assunto forme e motivazioni diverse a seconda dei luoghi, delle situazioni e dei tempi: negli Stati Uniti e in Germania ad esempio viene messa in scena ancor oggi sistematicamente con intendimenti augurali in occasione dei matrimoni, assumendo quindi un ben diverso valore e significato rispetto alle forme tradizionali. Nei giorni scorsi, addirittura, in Argentina è stato organizzato di notte dalla maggioranza silenziosa un “cacerolazo” politico (perché fatto con “casseruole”, pentole, coperchi, ecc.) contro il Presidente Eduardo Duhalde per protestare contro la grave situazione economica in cui i pessimi governi precedenti hanno gettato il paese. In tema di motivazioni è interessante rilevare anche che, certamente nella fase pre-cristiana, la scampanata veniva fatta al vedovo anziano che si era risposato con una donna molto più giovane per biasimare “l’infertilità” dell’unione: motivo, in questo caso, decisamente pagano.

    La cosa più sorprendente della scampanata è che ha addentellati numerosi ed insospettabili con i più diversi aspetti sia della vita popolare che dell’alta cultura, tant’è che è diventata oggetto di studio da parte di etnologi, folcloristi, sociologi, storici, linguisti, semiologi, letterati ecc.

    Quanto alle origini della scampanata, esse si perdono nella notte dei tempi, anche per il fatto che la troviamo spesso associata ad altri riti, istituzioni, credenze e cerimonie di origine molto antica. L’ipotesi più prudente però è che si sia originata nel periodo che vede l’incontro della tarda età classica con le culture barbariche dell’alto medioevo ed abbia poi subìto delle trasformazioni col nascere delle nazioni europee ed il diffondersi del Cristianesimo, il quale, pur osteggiando i costumi pagani sopravissuti e quelli barbarici d’importazione, li piegava, quando poteva, ai suoi fini ideologici ed educativi.

    La più antica e dettagliata documentazione della scampanata la troviamo in Le Roman de Fauvel, un romanzo in versi degli inizi del XIV° secolo scritto da Gervais du Bus, che contiene una interpolazione dovuta a Chaillou de Pestain nella quale si narra la tresca di Fauvel (nome costruito su faux e vel = falso velo) con la sua concubina Vaine Gloire (= vanagloria). Questa unione illecita viene stigmatizzata da uno “charivari” di estrema violenza descritto dettagliatamente nel testo e illustrato ancor più efficacemente da quattro miniature: fra gli strumenti usati per fare la chiassata figura anche un primo esempio di “batraccola”, fatta con le ruote di un biroccino che girando contro delle sbarre fisse producono un rumore infernale, per non parlare poi delle maschere fortemente grottesche che di solito rappresentano teste di animali, dei travestimenti molto pittoreschi dei partecipanti e dei loro atteggiamenti ridanciani.

    Le Roman de Fauvel è un documento di estremo interesse etnografico, prima testimonianza dello charivari europeo, oggi attentamente studiato per i suoi vari addentellati culturali. Vale certamente la pena metterne in evidenza alcuni aspetti e contenuti. Innanzi tutto il fatto che oltre allo charivari che vi viene descritto e che corrisponde esattamente alla nostra scampanata ritrae anche un “corteo di morti che ritornano” (les revenants) per protestare contro i loro coniugi che si erano risposati (“Le seul lieu de rencontre de la troupe des morts et du charivati”, cf. J-C.Schmitt, 1984), il che corrisponde ad un altro motivo presente nella nostra tradizione: quando una vedova si risposava troppo presto si ipotizzava subito che avrebbe “rivisto il morto”, cioè lo spettro di suo marito. Il ritorno dei morti è un tema antichissimo, forse indeuropeo o magari anteriore, studiato anche in sede etnologica ed misteriosofica. I morti ritornano per varie ragioni ed i loro fantasmi si vedono un po’ ovunque, ma frequentano preferibilmente posti fissi e molto spesso assumono sembianze animali: un cagnolino col campanello, mi ricorda lo scrittore Dino Tiberi, si aggirava puntualmente lungo un fosso per poi sparire misteriosamente. Un altro motivo di grande interesse nel Roman de Fauvel è quello di un misterioso personaggio a cavallo che accompagna il corteo dei “morti che ritornano” e che l’autore ritiene essere Hellequin con la sua masnada, una raffigurazione molto comune nel medioevo. E’ un altro tema ricorrente nella tradizione folclorica europea che ha dato adito a numerose interpretazioni per il suo forte valore simbolico, ma che a noi interessa perché questo personaggio nel corso del tempo ha subito una forte evoluzione ed è finito per diventare la ben nota maschera bergamasca di Arlecchino che la commedia dell’arte italiana ha poi diffuso nei teatri di tutt’Europa e che è stata oggetto anche di composizioni musicali.

    In definitiva è interessante rilevare che la scampanata nel medioevo era strettamente connessa con le tante rappresentazioni popolari che hanno portato alla creazione del teatro religioso prima e di quello popolare ed aristocratico poi.

    Facendo un po’ di campanilismo, ci corre l’obbligo di ricordare che il celebre umanista e storico urbinate Polidoro Virgili (1470-1555), che è vissuto in Inghilterra per più di 30 anni, si è occupato anche dell’aspetto esoterico dei festeggiamenti orgiastici che si tenevano per le festività del Natale e di Santa Candelora presso la Corte d’Inghilterra, nelle residenze aristocratiche e nei collegi di Oxford e Cambridge ed in particolare del “Lord of Misrule” (il Signore delle Sregolatezze). Tali festeggiamenti comprendevano pantomime, masques sontuosi, cortei, giochi sfrenati sempre improntati alla comicità e alla satira ed il nostro concittadino viene citato come fonte autorevole per aver affermato che essi derivavano dai saturnalia romani. Fra le manifestazioni di tono burlesco e satirico che venivano messe in scena c’erano anche forme di “charivari” o “scampanata”.

    Ma la scampanata-charivari, così radicata nella cultura popolare europea  chiaramente legata alle origini del teatro, non poteva non coinvolgere anche la vita politica e la letteratura. Ciò avvenne in forme anche eclatanti nell’800 di cui diamo qui di seguito un resoconto veloce.

    Charles Philipon (1806-1862), un eccellente litografo e caricaturista francese che si è dedicato per tutta la vita al giornalismo satirico fondò nel 1830 una rivista La Caricature che fu soppressa nel 1836 dopo una valanga di azioni legali e nel 1832 il quotidiano Le Charivari nel quale ogni giorno pubblicava una caricatura che prendeva di mira un importante personaggio politico: si trattava in fondo di “scampanate giornalistiche”. Fra i suoi collaboratori ha avuto, fra gli altri, artisti del calibro di Honoré Daumier e Gustave Doré. La sua copiosa produzione litografica, sempre all’insegna della satira, ha lasciato il segno nella storia di questa tecnica incisoria. Il suo quotidiano Le Charivari, molto letto e seguito anche al di fuori della Francia, ha fatto poi da padrino alla famosa rivista satirico-umoristica inglese Punch, fondata nel 1841 con il significativo sottotitolo di The London Charivari, alla quale hanno contribuito molti grandi scrittori e illustratori inglesi dell’epoca. Vale la pena ricordare a questo proposito che il termine Punch è l’abbreviativo di Punchinello, la variante inglese di Pulcinella. Ciò conferma ulteriormente la convivenza che c’è sempre stata tra la “scampanata / charivari”, la satira e le forme del teatro popolare. Ma i collegamenti diretti tra la “scampanata” e la letteratura sono considerevoli: il romanziere e poeta iglese Thomas Hardy ha dedicato un intero capitolo (il XXXIX°) del suo romanzo Il Sindaco di Casterbridge alla descrizione di una “scampanata”, mentre la scrittrice australiana Noel Streatfeild in un suo romanzo del 1970, ambientato alla fine dell’800, ha descritto una scampanata fatta contro la crudele direttrice di un orfanotrofio. Altro fatto di rilievo a questo proposito è la lettura in chiave etnografica che è stata fatta recentemente dallo studioso Jean-Marie Privat di Madame Bovary di Flaubert, romanzo costruito sugli elementi tipici della scampanata nel quale la scampanata diventa struttura simbolica portante della narrazione ed assurge ad allegoria della vita stessa. La protagonista, infatti, viene anche chiamata Madame Charbovari, con un termine che riassume il nome del mariro (Charles Bovary) e charivari. Per ultimo citiamo l’episodio, ricordatomi recentemente dalla collega Maria Rosa Saurìn, del poeta spagnolo Machado che è stato fatto oggetto di una “cencerrada” per aver egli, uomo ormai maturo, sposato una sedicenne.

   Per tornare alla scampanata “nostrana” non c’è di meglio a questo punto che riportare qui di seguito alcune pagine tratte dal libro di Dino Tiberi Da Badò che, oltre a darci un’esatta e gustosa descrizione della scampanata tradizionale urbinate, riporta una filastrocca raccolta dal maestro Carlo Mancini: un documento raro che farebbe andare in solluchero qualsiasi studioso di etnografia, di folclore e di onomastica:

 

“Figuratevi se un vedovo risposava una donna più giovane senza prima aver osservato un lutto strettissimo di almeno due anni; se una ragazza "fuggiva" di notte per accompagnarsi all'amante o se la sposa tradiva il marito con un giovane o, peggio ancora, con il cognato !

Era allora che scattava la "scampanata" che, più che una sentenza ínappellabile, era l'invito a meditare e a correggersi. E direi anche un dissentire per certi aspetti discreto, dal momento che nessuno osava sparlare per allargare la macchia dello scandalo e tanto meno per lasciar intendere la verità ai figli minorenni o agli estranei.  Tacevano quindi gli anonimi che avevano messo in atto il gesto di riprovazione morale, questa volta senza la complicità della luna, e tacevano coloro che l'avevano subìto sebbene rattristati per l'umiliazione e il sospetto che ci fossero di mezzo a scampanare amici e vicini di casa.

Soltanto raramente il frastuono dei barattoli, che poteva anche durare più di mezz'ora, era accompagnato da canti, cori o stornellate di sapore satirico.  Se proprio avveniva era segno che i poverini le avevano combinate grosse !

Come nel caso raccontatomi da Carlo Mancini nel 1951, allorchè egli era insegnante elementare nella sperduta parrocchia di Montenuovo.  In quell'anno era ancora vivo in tutti il ricordo di una "scampanata" clamorosa effettuata in un casolare affogato in mezzo ai boschi sotto il cui tetto erano riunite, in stretto ménage, due povere e sprovvedute famiglie, quella di "Baragota" e della "Cotornia".

Si suppone che fossero non meno di venti i "fustigatori" impegnati ad accompagnare la "cantata" con il tam-tam di vecchi bidoni, tutti ben appostati dietro siepi e pagliai.

Il testo è un classico che merita di essere riproposto:

 

"Baragota e Paragon

fan bascin, bascin;

la Culimpeppa un bel Pierin

la Piavletta el Druglaton

la Saponèra el su padron. 

La Cotornia e Mignon

fan tutta 'na riunion

fan tutt'un là ta là,

l'allegrìa de Zazà".

 

Forse due parole per spiegarlo non guastano.

I due capoccia (Baragota e Paragon) fanno gli innamorati; la Culimpeppa (moglie di Baragota) se la fa con il giovane Pierin e la Piavletta (moglie di Paragon) con Druglaton. La Saponèra invece sembra strizzare l'occhio al padrone. Nell'altra famiglia la vedova Cotornia e l'amico Mignon (fratello di Pierin) s'incontrano frequentemente e il via vai costituisce un grande divertimento per la figlioletta Zazà.

Sembra, lì per lì, di trovarsi di fronte ad una filastrocca, di quelle che si facevano recitare ai bambini per farli divertire o per liberarli da una incipiente balbuzie.

Si tratta, invece, di una satira pungente, ricca di inventiva specie nei soprannomi che ben si legano alle caratteristiche fisiche dei protagonisti. “Baragota” per dire persona che fa chiasso e confusione; "Paragon" uno che ha la manìa del confronto; la "Piavletta", donna magra e rigida come una tavola; la "Cotornia", somigliante ad una mela rotonda, piccola e selvatica; la “Saponèra", donna preposta, come usava a quei tempi, a fare il sapone con grassi di animali; "el Druglaton", uomo lungo e legnoso come "el drugle", attrezzo che serviva a togliere la brace dal forno”.

 

    Chiudiamo questa breve panoramica della scampanata ribadendo che gli elementi che accomunano la scampanata urbinate all’antica forma dello charivari sono: 1) l’uso di utensili molto vari e spesso scelti con criteri fantasiosi, 2) la chiassata notturna che doveva avere una risonanza sociale, 3) l’uso di maschere e camuffamenti (non adottati però ovunque) per mantenere l’anonimato, per dare alla vicenda un’aria di sortilegio e sottolinearne  la portata simbolica, 4) l’intendimento degli organizzatori di utilizzarla come intervento moralizzante. In questo senso la versione che lo scrittore Alfredo Zampolini ne ha dato nella sua composizione scenica stampata nel 3° volume di V’ l’ arcont in dialett a cura dell’Associazione

Pro-Urbino, 2001 e che verrà presto portata sulle scene, presenta l’anomalia del “disvelamento” e del lieto fine. E’ una deroga dalla tradizione che annulla il senso di mistero che avvolgeva questi interventi moralizzanti, ma che in fondo rende la vicenda più gustosa e più umana.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

(Per chi volesse approfondire la ricerca citiamo alcuni testi fondamentali sull’argomento)

 

F.-C., Dancourt, Le Charivari, Paris, P. Ribou, 1697  (?)

G. Peignot (Dr Calybariat), Histoire morale, civile, politique et littéraire du charivari depuis son origine vers le XIV° siècle, Paris, 1833

Otto Driesen, Der Ursprung des Harlekins. Ein Kulturgeschichtlisches Problem, Berlin, 1904

Gervais du Bus, Le Roman de Fauvel, Edizione curata da Arthur Langfors per la Société des Anciens Textes Français, 63. Parigi, 1914-1919.

C.R. Baskerville, “Dramatic aspects of medieval folk-festivals in England”, Studies in Philology, XVII, 1920

G. Herelle, Le Théâtre comique, études sur le théâtre basque: mascarades soulétines; tragi-comédie de carnaval; parades charivariques, Paris, Champion, 1925

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Jacques Le Goff et Jean-Claude Schmitt (éd.), Le Charivari, actes de la table ronde organisée à Paris (avril 1977) par l’EHESS et le CNRS, Mouton, 1981

Jean-Claude Schmitt, “Les masques, le diable, les morts dans l’Occident médiéval”, Documents de Travail et pré-publications, serie D, Centro Internazionale di Semiotica e Linguistica, Università di Urbino, 1984

Jean-Marie Privat, “Charivari varie…”, Stratégies locales, GRIM-ERA 631,éd. Gestar, 1984

H. Rey-Flaud, Le Charivari, les rituels fondamentaux de la sexualité, Paris, Payot, 1985

Dino Tiberi, Da Badò, cap. XII: “La scampanata”, pp. 193- 207, STIBU, Urbania, I° ediz. 1987

Jean-Marie Privat, “Essai d’ethnologie du texte littéraire: les charivaris dans Madame Bovary”, Ethnologie Française, XVIII, 1988, 3

Jean-Claude Schmitt, Les revenants. Les vivants et les morts dans la société mediévale, Gallimard, 1994

Alfredo Zampolini, “La scampanata”. In: V’ l’ arcont in dialett. Concorso di poesia dialettale “Renzo De Scrilli”, a cura della Associazione Pro-Urbino, Editrice Montefeltro, 2001, pp. 45-71

Jean-Marie Privat, Bovari Charivari. Essai d’ethno-critique, CNRS Editions, Paris, 1994

 

Si vedano anche i dizionari Oxford English Dictionary, English Dialect Dictionary, Larousse, Littré, Robert e la Britannica sulla terminologia relativa alla scampanata europea.

 Rolando Bacchielli