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Elio Bacchielli

 

PRESENTAZIONE

 

Una poesia immediata e cordiale quella di Elio Bacchielli, assenti toni d'enfasi paesana o la beffa e il lazzo. I cicli sono limpidi e sereni: se poi cade la neve è uno spettacolo magico. Una delle poesie più belle è sicuramente quella dedicata ad una nevicata contemporanea e al nevone del ventinove che ogni urbinate si porta dentro il sangue e nella mente. A Urbino allora: "per gì giò a Santa Lucia / la finestra era la via". E rivive tutto un mondo di gesti, situazioni, stupori, fissato sulla lastra con segni esili, ma ben definiti.

Un posto importante occupano anche gli animali: la gatta e, soprattutto, gli uccellini (ed Elio ne nomina tanti secondo la tradizione urbinate) e le farfalle che allietano quello strano giardino-cimitero che è San Bernardino.

L'atteggiamento di tenerezza e stupore tipico di Elio, che può ricordare anche De Scrilli, riveste luoghi e tempi: tale atteggiamento è più evidente quando si è un po' lontani dalla città e la si osserva magari da un colle.

Urbino costituisce l'amore più tenace, che rispunta in ogni momento e situazione: guardata da lontano, ricordata quando si è altrove, o vista passando attraverso le sue strade.

I personaggi che l'hanno fatta grande, da Raffaello a Federico, sono ancora presenti: discreti ed appartati parlano dai loro busti lassù in cima al Monte, nel piazzale che si estende attorno al monumento dell'urbinate per antonomasia. Certo discreti questi grandi, ma anche pronti alla ciarla ed alla battuta come tutti gli altri urbinati.

E poi c'è un nodo di affetti e pensieri radicato in una giusta tradizione morale, ma senza isterie. Così il sentimento religioso che tutto pervade: mai ostentato, ma tenace, capace di rischiarare ogni momento e dargli un senso di Assoluto. Quell'Assoluto quotidiano al quale aspira Elio Bacchielli con la semplicità e la mitezza dei forti.

Umberto Piersanti

 

PREMESSA

 

L'occasione per mettere sulla carta un po' di versi alla buona l'ho avuta un paio di giorni prima dell'incontro del 18 giugno '94, quando la nostra grande famiglia si è riunita per la prima volta in forma ufficiale a Ca' Quercino per la presentazione del libro sulla dinastia che, tornando indietro nel tempo, risale quasi al 1500.

È nata così "La rassa di Bacchiei", la prima poesia di altre create dopo.

È venuta alla luce con naturalezza, senza difficoltà, come se ne avessi scritte tante. Da quel momento,

ho sfoiat i' la mi ment

t'el passat t'el present

 

ed ho preso gusto a scrivere, dipingendo con la penna, fino ad oggi, una trentina di quadretti in versi dialettali. E questo per non dimenticare i tempi passati e i luoghi a me cari e dei quali ho tanta nostalgia.

Perché ho preferito il dialetto? Perché è la parlata appresa fin da piccolo che mi lega ai miei anni verdi e alla mia terra.

Per ricordare particolari circostanze, stati d'animo che per me contano ancora molto, per riandare col pensiero a momenti di vita trascorsa, è sgorgato immediato, genuino, quasi imprevisto, il dialetto.

Questi versi li ho scritti per me, senza pensare di pubblicarli; valgono poco ma hanno il solo merito di essere spontanei e di avermi dato soddisfazione nel comporli.

Ho aderito al desiderio dei Bacchielli che mi hanno chiesto di raccoglierli in un opuscolo in occasione del secondo prossimo raduno che avverrà nel giugno del '97.

Ringrazio pertanto dell'onore che ricevo e mi scuso con gli intenditori e i cultori della Poesia.

Come si nota, una buona parte dei versi parlano della mia città della quale sono un innamorato.

en m'importa ch'sia piaciut ma me:

è Urbin ch' s'è fatt canté

per la sua bellezza, la sua arte e la sua storia.

 

Elio Bacchielli