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VI° Concorso 2004
PARTE ANTOLOGICA

 

TOPONIMI
Promemoria
Stornelli

 

VERSI DIALETTALI
 La nova Scola del Libbre
Sonett

 

IL PIANO DI RIQUALIFICAZIONE
Rimatori di Ailait

 

FURTO DEL  1975 ad URBINO
Ballata in tre canti

 

NUOVI DIALOGHI DI LUCIANO
L’evanescenza di S. Giorgio
La tenue persistenza di S. Crescentino

 

 Lucius F. Schlinger

(Luciano Fabi)

Breve biografia di Lucius F. Schlinger

 

Lucius F. Schlinger (LFS), dopo la laurea ad Urbino sulle teorie musicali dei romantici tedeschi, negli anni '70 scrive per l'Unità e pubblica racconti con Regione Letteraria e le Edizioni Posterula di Urbino, interviene in vari scritti e trasmissioni radio e televisive contro la superstizione, pubblica versi con DP Marche, ENTeL MCL, Il Grillo. Ora collabora per la divulgazione scientifica a Punto d'incontro. Spesso segnalato nei giochi della rivista Il Racconto (Crocetti), ha pubblicato prose su Achab e molte brevi note su Avvenimenti in gioco. Scrive anche opere di teatro e racconti, alcuni usciti su Futuro Europa. Dacia Maraini ha letto per la RAI-TV alcuni lavori in versi in seguito pubblicati  con altri dalla rivista musicale Capriccio di Strauss,  ora presenti integralmente nel sito www.luciusfabi.it .  In questa  pubblicazione, a parte il direttore LFS, gli altri nomi sono tutti anagrammi di Luciano Fabi, il nome anagrafico, mentre Schlinger è il cognome materno (Stringari) germanizzato. Entro qualche millennio diverrà anche lui noto all'Universo e ... in altri siti.

 

 

 TOPONIMI

 


Premessa.

 

Già da alcune decine di anni propongo alle varie Amministrazione Comunali l'adozione di alcuni topònimi e qualche nome illustre dimenticato è venuto fuori, ma ancora ci sono molte lacune.

Dov’è in Urbino una via o una piazza o un qualunque altro topònimo per i geniali architetti del Palazzo Ducale? E dunque dicevo, ad esempio, per non farne un dramma, “Diamo a Laurana il Tratto di Statale/che va da Farinella al Mercatale/ed a Francesco di Giorgio Martini/dal Mercatale al Bivio Galassini”. In pratica dalla base del Colle dei Cappuccini fino a Porta Nuova, con un bel tratto proprio sotto il Palazzo Ducale.

Ho suggerito in varie sedi alcuni altri topònimi in onore di Piero della Francesca, Paolo Uccello,G. Rossini, Masaccio, Ariosto, Tasso, G.B. Pergolesi, G. Leopardi, Baldassarre Castiglione ed altri anche molto vicini all’ambiente urbinate, mentre  a Laura Battiferri si è finalmente pensato. Così sia anche per tanti altri. È evidente che non mi dispiacerebbe, ad esempio, vedere Largo Beethoven, Piazza Schubert  o Corso Schiller  E Dante? Ne parlo e ne scrivo  da anni. Però, ancora in argomento musicale, Girolamo Cavazzoni, conside­rato da molti il maggior compositore italiano di musica per organo  della prima metà del '500, è  stato detto da Urbino per qualche non futile  motivo. Ed occorrerebbe ricordare due importantissime figure di marchigiani: Gaspare Spontini, il famoso compositore, e Ottaviano Petrucci di Fossombrone che fu  una delle città più importanti del Ducato. Quest'ultimo  fu in assoluto il primo stampatore di opere musicali con un sistema da lui stesso inventato. Un record! Anche il grandissimo Giovanni Battista Pergolesi è nato a molto meno di un secondo-luce di distanza. Ad altre figure  si può e si deve pensare. Brecht e Pasolini sono noti anche agli urbinati  e non  credo che essi  disapproveranno queste righe. Tralasciando altre considerazioni riferisco  su questo tema un'interessante osservazione dell’amico dottor Giuliano Gheller  il quale  mi diceva che si potrebbe ribattezzare in onore di uno dei grandi di cui si è parlato, il  Piazzale Roma in cima al "monte", proprio di fronte al monumento a Raffaello. Quante città in Italia sono prive di un toponimo in onore del divinissimo Fiorentino?  Guardiamoci un po’ intorno. Tra l’altro, oltre a ricordare che la Rimini di Paolo e  Francesca è a due passi, dobbiamo pensare che  Dante conosce Urbino e ne parla.  Il XXVII dell'Inferno è quasi interamente dedicato a Guido da Montefeltro il quale cita la sua Patria ... ch'io fui dei monti là intra Orbino/ e 'l giogo di che Tever si disserra. Nel V del Purgatorio troviamo Bonconte da Montefeltro, con lo stupendo  episodio della lotta tra "l'angel di Dio" e "quel d'inferno". Nel Convivio  Dante introduce Galasso da Montefeltro in una lista di esempi di soli sette grandi uomini che comincia con  Alessandro Magno e con Galasso termina. Ma forse per qualcuno non basta? Mettiamo dunque il sommo Dante accanto al sommo Raffaello. Insomma, con stornello schlingeriano, Fior delle piante/facciamogli una piazza in cima al Monte: / qui da noi non ha un buco il Padre Dante! E questo con tutto il rispetto per i personaggi antichi e moderni, alcuni anche con legami assai scarsi con la storia si Urbino, cui un toponimo è stato intitolato. Però non vorrei che accadesse ciò che dice il PRO MEMORIA qui di sotto.

 

 

Pro memoria

con intervento di Lucia Fiabòn che ritroveremo con il suo dialetto  triestin-venesian anche più avanti.

 

 

Tutt le glorie d' la nasion

e anca quelle d' la cità

c'hann el nom scritt t'i madon

Piassa Tissio, Via qua e là

 

Per el Duca c'è 'na Piassa

atacata ma'l Palass

dacsè bella che chi c' passa

sgrana i occhj e arman de sass.

 

Papa Albani e su larghett

l'ha pres vers Santa Lucia,

e Bramant enn sta tant strett:

da cle part c'è la su' via

 

Rafaell, tra tutti quanti,

come via sta da pascià

e ma 'l babo, Gvanin Santi,

'n'i hann fatt una qualch ann fa.

 

'Na via pr'un ma i du' gran Pepp,

Garibaldi e Pepp Mazzini,

mo 'n stradin, magari un grepp,

c'è perfin per i pió pcini.

 

John Fitzgerald, Papa Gvann

ben tratati tra i moderne,

s'no ch'i due (in Cumun el sann)

sprofondavne Urbin tl'Inferne.

 

Pro qualcun c'ha na scarogna!

enn 'i dann (perche en s'capisc)

manch 'na targa t'una fogna,

l'ex Via Merda o Piassa Pisc!

 

Forse è statt sol per disgrassia

ch' c'hann fatt 'na gran testa piena

sa quel nutt dalla Dalmassia

e sa cl'atre ch'era d'Siena.

 

S'ved che quell ch's'dic tle rivist,

t'i libron su sti architett

è tutt fals, bugiard e trist:

'sa ch'han fatt 'sti du' porett?

 

Sa l'aiutt providensial

d'la Madonna ch' sta ma 'l Pling

chi ha mess so el Palass Ducal?

E' statt Martin Luther King! [1]

Mi son foresta, mi no me permeto

altre ciàcole, cari citadin,

ma al mio paese, vicino al confin,

i Slavi i dise che un vecio Architeto

el gh'ha, da lori, tuta una cità

col su' nome. La xe un'idea strana

de pensar a Luciano de Laurana?

da voi, a Urbin, no el gh'ha mai lavorà?

 

e, de grassia, no 'l merita un bel vial

el bon Checo de Zorzo de Martini?

el gh'ha forsi distruto i Toricini,

San Bernardin, la Rampa, el Mercatal?

 

 

Me firmo e chiudo: son Lucia Fiabòn...

... ma un vicoleto, almen, se podrà farlo

anca sensa el permesso de... mi parlo

tropo daver. Finida l'orasion.

 

E po' ve facc 'n elenchin incomplet in prosa a rota libera de grand'omin ch' en c' hann el nom tacat ti mur d'Urbin::

Piero della Francesca,

Paolo Uccello,

Gioachino Rossini,

Gentile da Fabriano

Giovanni Battista Pergolesi,

Giacomo Leopardi,

Baldassarre Castiglione,

Girolamo Cavazzoni da Urbino  [2]

Marco  Antonio Cavazzoni, padre di Girolamo

Ottaviano Petrucci da Fossombrone [3]

Gaspare Spontini .

 

Tocarà arcordass anca de Mozart

che un'opera su due la fa in italian?

e de Schubert, de Beethoven, de Bach,

e de Goya de Masaccio, de Giotto?

de Goethe, de Manzoni e ..............

 

Nel frattempo, forse commossa da cotali lamenti, l'Amministrazione Comunale si è ricordata di Laurana, Francesco Di Giorgio e anche di Petrucci.  Ma …

 

Archiapam un po d' ritmo.

 

Guarda 'n po' csa me vien in ment adess:

Chi c'pol essa in Itaglia ch'en c'ha in ment

 un cert DanteAlighieri o ch'vol fè 'l fess

 a di' t'la mi' cità Lo en c'entra gnent ?

 

Mo se parla d'Urbin almem tre volt.

due tla Commedia sa Bonconte e Guido!

E una in tel Convivio. Enn è tant folt

l'elenco de cle gent ch'enn piò di grido.

 

Ce mett apena sett person in tutt,

che per lo enn tra i  piò grandi  d'la storia.

tla su  gran ment, tra tutt quei ch'ha cnusciutt.

Part, - e scusat  s'è poch - sa la memoria

 

d' un  cert ... tal ... Alessandro

ch'i hann dett Magno,

ce mett   tel mezz perfin el Saladino

e finsc sa 'n Montefeltro (non mi lagno!)

Galasso, el padre d’ Bonconte … da Urbino.

 

I' ho smoss mari e monti, ho chiest aiutt

ma 'l Signor Satanassi & Compagnia.

'Ste nom m'l' ha dett un ch' m’ha  capit del  tutt.

È Carlo Giovannini. Chi vlet ch'sia? 

 

E me vlet di' che borg o che vilagg 

piò sperdutt, piò  balord e piò imbecill

pol di, de no ma Dante? ' St' bel coragg

P'r adess c'l'ha giust Urbin. Me tocca dill!

 

[1]  Sempre con il massimo rispetto per quanto Martin Luther King ha veramente fatto.
[2]  Poco noto ma uno dei massimi compositori di musica per organo del '500
[3]  Assai legato al Duca Guidubaldo di Urbino, è stato in assoluto il primo stampatore di musica nel mondo,
 

 

Stornelli   [4]

sui topònimi più consoni a vie e piazze di Urbino

 

Fior delle piante,

facciamogli una piazza in cima al Monte:[5]

 qui da noi non ha un buco il Padre Dante!

 

Fior sul cappello,

nella sua piazza non pesterà il callo

Dante il divino al  sommo Raffaello.

 

Fiore nascosto,

se il popolo di Urbino è sempre desto

saprà onorare Ludovico Ariosto

 

Fior di tre mesi,

non avvenga che Urbino oggi ricusi

tra i suoi vicini il grande Pergolesi

 

Fiorin de’ dardi,

Urbino, come mai non ti ricordi

di ricordare il genio di Leopardi

 

Fior di vaniglia

di dare un vero posto  [6] c'è gran voglia

al cigno del Barbiere di Siviglia

 

Fior di cammèo,

diamo un luogo in Urbino, via, per Mao!,

al genio che ci ha dato il ”Galileo”.

 

 

[4] Lo stornello  è tradizionalmente formato da un quinario che presenta il nome di un fiore (ma vi possono essere anche nomi al di fuori di ogni botanica, quali Fiorin di tigna, di rabbia e simili) e due endecasillabi, dei quali il primo deve essere consonante e l'altro rimato col quinario. Non sono ammesse in genere banali assonanze. Sono possibili aggiunte con versi rimati o consonanti. L'essenziale è sempre, anche qui, non presentare eccezioni di cui non si conoscono le regole, come ricorda il Vangelo secondo Robert Schumann. Di altre scartoffie faccio grazia ai cittadini ma ho presentato in diverse occasioni la necessità di onorare anche nella toponomastica altre grandi figure, tra le quali alcune assai legate ad Urbino. Comunque le due pagine presentano in pratica la stessa solfa: Non c’è scampo

[5] Lì o in un altro bel posto, ma facciamogliela!

 

 

 

VERSI DIALETTALI

 

La nova Scola del Libbre

Febbraio 1980

 

Quant, ai temp del Medioevo

se faceva in cima ai mont

i castell, o guelfo o svevo,

se capiva, arnivne i cont.

 

Só t'la cima dle montagn

s' costruiva ai temp antich,

sa i trav grossi (e i telaragn)

per difendse dai nemich.

 

Mo 'na villa del settcent

oggi giorne com sarìa

ch' s'arduc com un accident?

Avet vist Villa Maria?

 

Io m' l'arcord, quand, da Triest,

niv a Urbin da studentessa.

L'hann conciata per le fest:

che disastre, che scompessa!

 

'I hann schiafat un capanon,

dop l'ingress, tra mezz al vial,

ch' sarà gross com un milion

d'metre cubi, 'sti animal!

 

Lasciam ste' i particolar

('i archett da sottmarin

com s' ce fossa propi el mar

a 'st'altessa, propi a Urbin).

 

 

Mo guardam tutt el compless:

un casson, un bussolott,

grand e gross, brutt com un cess,

pegg d'una paura d'nott.

 

Da cl'altessa, com 'na doccia,

butarann gió ma la gent

madon, pietre t'la capoccia,

frecc, schioptat, oli bolent ?

 

Tanti nom, vers Piansever,

du' ch'è poch ch' hann costruitt,

t' fann pensè d'essa daver

vers la Cina o giò in Egitt.

 

Mo maché hann fatt 'na pirammid

com de Cheope, i grandon,

alta e dritta: par ch' c'l ha l'ammid

'ste sepolcre d' Faraon.

 

Hann sbranat un monument

tra i piò bei d'le nostre part,

mo v’mettrann tanti student

a imparè la Storia dl' Art.

 

In triestin permete' una parola:

no xe ben disperarse e far le tigne:

grassie al Ciel no la xe 'st'orenda scola

sul Forte, sopra 'l Colle de le Vigne!

 

  

SONETT

 per alcuni assai banali  /  rimatori dialettali

 

 

 Certi ch'scriven le poesie in dialett

ch'fatighen, suden fin dop mezanott

sopra 'l tavlin, tra i rest d'i boconott

a 'na cert'ora enn è mej ch'vann a lett?

 

  Certi vers paren fatti sa 'l sighett:

"Carin, sa'l vin, l'è blin Urbin de nott!

Stann bnin i Toricin? Mo d'fe’ fagott

e gi' ma i Capucin en li hann  mai dett?

 

  Altre volt, dop un vers cort, goff e stort,

per fè la rima aspetten ch'mor el Papa

sa 'n rigon lung com un corteo da mort.

 

 

La conclusion e facil: la gent sciapa

sarà ben ch' s' mett a coltivè el su' ort

per la su' fabbrica d'spirrit de rapa.

 

  E i ghe serve una mapa

una cartina per l'orientasion,

o i se confonde in mezo ai bietolon

 

INIZIO PAGINA

 

IL PIANO DI RIQUALIFICAZIONE DI URBINO

Rimatori di Ailait :  Intervista di Alfio Cubani al Direttore del Gruppo, Lucius F. Schlinger

 

 

Prima de tutt me tocca ch' me present.

So' sempre statt del Grupp: enn è da adess.

“Già - me diret – che rassa de serpent

 

saresti ?  D'avett fatt è già 'n bel pess

ch' se pentitta, poretta, la tu' mamma !”

C'sa c'vieni a fè maché ?  C'nirè a fè 'l fess !”

 

So' Alfio e 'l mi' cognom è già 'n programma!

so' fisat sa Fidel e la su' ditta.

Ogg prò ve vlev parlè del vostre dramma

 

ch' en ve permett da goda piò la vitta,

e sicom come me el mi' diretor

è d' cla rassaccia perfida invurnitta

 

'j ho dmandat s' me podeva fè 'n favor,

da compagn, quant l'ho vist ch' pareva 'n singher [7]

a proposit de st' gran pian del color [8].

 

Pasava in piassa, Lucius Effe Schlinger

sa' n gran mantlon t'le spalle e sa 'n colbacc

(al post d'la testa) e alt un palm e un finger [9].

 

Stava girand già vers un cul desac.

'J ho datt la caccia , l'ho blocat in pista

e 'j ho fatt: C'sa saria 'ste patatrac !

 

Te par giusta, per el tu' punt de vista,

da piturè tutt la Cità da 'st mo'?

com se s' fassa 'n piatt d'insalata mista ?”

 

E lo me fa: «Vedi, Alfio, ti dirò:

le facciate che già con Federico

eran dipinte, è certo che si può

 

ripristinarle nello stile antico,

ma senza aggiunger fronzoli ad oltranza

dei quali il nostro stile è gran nemico.

 

Il resto, la stragrande maggioranza,

rimanga con in vista i bei mattoni

dolci allo sguardo da ogni distanza,

 

ben noti e amati in tutte le nazioni.

Se poi ci danno anche dei filo-gotici

diciamo Tante grazie ai sapientoni.

 

E se, a bollarlo in termini dispotici

“anche il gusto romantico - si dice

come fosse un carattere da zotici -

 

amava il cotto più che la vernice”

rispondo: è ora di farla finita

col pregiudizio assurdo ed infelice

 

che mi ricorda i tempi della vita

di scuola, quando i primi della classe

ripetevano la sciocchezza avìta

 

obbligatoria come certe tasse:

Romanticismo da mettere al bando

senza saper cosa significasse.

 

E sentenziavano inoltre che quando

un artista si trova in una fase

romantica, la supera, tornando,

 

come ad autentiche e sicure case,

al realismo più sano e robusto

da cui nessuno con merito evase.

 

Vedi, Compañero Alfio, non c'è gusto

ormai neppure a pestar loro i calli

Ignoreremo il tono bellimbusto,

 

 

certo pontificar di pappagalli

che come Grand Hotel come Bolero

come i loro idoletti e i loro sballi

 

vorrebbero i romantici, ma è vero,

al contrario, che il vuoto e dozzinale

languido sentimentalismo è solo un mero

 

camuffamento sciocco che non vale

l'arte, la musica, la poesia

romantica neppure a carnevale.

 

 Ma se tu intera vuoi l'idea mia

ti dico a rischio di passar per matto

che come il gotico la sua magìa

 

aveva sui romantici e ben fatto

fu completare tante opere belle

nell'ottocento, dopo un lungo tratto

 

di secoli, ecco dunque le sorelle

minori solo perché nate dopo,

nel quattrocento, ancora senza pelle.

 

Non sono certo dei buchi di topo,

ma punti per appoggiar bianchi marmi

quelle fessure: questo è il loro scopo.

  

 Ma adesso potrei forse meritarmi

l'etichetta di assurdo visionario

dai più buoni. Ma qui lascio le armi

 

e mi appresto a calare già il sipario

ricordando che il solo modo giusto

per “cambiare” è seguir questo binario:

 

mantenere, fedeli, il sommo gusto

di Francesco di Giorgio e di Laurana

lo dico a tutti, a Michelino il Fusto

 

 e al Prof Rolando: In una settimana

- che davvero è un periodo un po' stretto -

non pretendo che la Fata Morgana

 

sistemi tutto, dalle basi al tetto

ma se si pensa a variare qualcosa

ai cittadini tutti io mi permetto

 

di dire: C'è da completare a josa !

I tecnici con gli amministratori

possono lavorare con gioiosa

 

 attenzione sia in centro che al di fuori

dove potranno in edificî nuovi

usare forse di versi colori,

 

mai far però una città che si trovi

con quella vecchia in contrasto stridente.

Quindi nessuno rimarrà che covi

 

la voglia di mandare un accidente

a chi sta in Municipio e che del resto

è già disposto ad ascoltar la gente”.

 

 Mi dici che con un dietro-front lesto

si è gia deciso di buttare a mare

il Piano del Colore?  É giusto questo

 

che si voleva. Proprio un buon affare .

-Va ben , diretor mia, mo avem fatt tardi -

«Giusto, Alfio, a cena! Che si vuol mangiare?»

 

Mo sem pedòfaghi veri o bugiardi ?

Spessatin de burdei ! « Con dolci e amare

Verdure, vino rosso e un po' di cardi ».

 

[6] Già, poiché quello che gli era stato dato, vicino allo stadio, non avrebbe mai avuto un numero civico.

[7] Qui appare una rima con finali graficamente diversi ma di suono identico: singher,  Schlinger, finger,  un procedimento largamente usato in tedesco, in francese e spessissimo in inglese, lingua che presenta“rime” abissalmente lontane sul piano grafico.

[8] Ovvero, come dicono quelli che lo osteggiano d 'st cass d' pian del color.

[9] In tedesco:  dito.

 

 

SUL FURTO DEL  1975 AD URBINO

 Febbraio 1980

 

Mi colpì la mente, Auretta,

 la tua idea molto brillante, 

tanto che, seduta stante,

la realizzo in tutta fretta.

Ma soltanto in versi e rime [10],

senza macchina da presa.

Ciò sarebbe grave impresa.

e il lavoro mi deprime

 

               

I  CANTO

 

 

 Sta sopra i colli tra Metauro e Foglia

Urbino, la città che dà materia

a questi versi che, di mala voglia,

ne narrano la gloria e la miseria.

La fece gente antica, sulla soglia

dell'Appennino, questa gente seria.

E sui colli ventosi a lungo stia,

se il malgoverno non la porta via.

 

  Per esser chiaro in modo universale,

quarantaquattro a nord son quasi esatti.

tredici ad est: il Palazzo Ducale

si trova qui, ma lo sanno anche i gatti.

Qui si è svolto un delitto senza eguale.

Di questo parlerò, veniamo ai fatti.

Dirò come si strazia e si delinque

verso il principio del settantacinque.

 

  Tra il cinque e il sei febbraio, nella notte,

un'ombra nera coprì la città,

si spalancarono le cupe grotte

e vomitarono, dall'aldilà,

fetidi miasmi, spettri neri a frotte:

fu un colpo al cuore della civiltà.

Il disegno di un perfido cervello

ci tolse ben due Piero e un Raffaello.

 

  Piangeva il mondo intero per l'affronto,

la radio, la tivù ed i giornali

facevano il commosso resoconto

delle gesta dei pazzi criminali

che presto avrebbero mandato il conto

al Ministro dei Beni Culturali

che appena seppe del fatto assassino

in elicottero piombò ad Urbino [11]

 

  Giunse qui con il volto paonazzo

e constatò, molto malvolentieri,

che qualche criminale o qualche pazzo

aveva fatto dei guai molto serî.

"Questa città in forma di Palazzo

fu offesa - disse -, a me, carabinieri !

Questo palazzo in forma di città

un impianto d'allarme non ce l'ha?"

 

  " Signor Ministro, le buone intenzioni

sono abbondanti nel nostro Paese

- rispose il dottor Faldi -, queste spese

sembrano enormi, in queste condizioni,

sembrano lussi, pazzesche pretese.

E soprattutto sembran molto futili

ai gran burocrati degli Enti Inutili.

 

  Pensi, Signor Ministro, a quel pezzente

che solo centoquarantun milioni [12]

prende in un anno intero e non fa niente,

a chi organizza grandi esportazioni

di lire nostre in ogni continente

per darci fama in tutte le nazioni !

Che paghino le tasse? idea infame.

Vogliamo farli morire di fame?

 

  Con qualche centinaio di miliardi

noi salveremmo tanti monumenti

che rischiano la morte (Dio ne guardi !)

che sono abbandonati e fatiscenti

dalle Alpi alla Sicilia, ed è già tardi !)

Governo ladro, i tuoi provvedimenti

hanno fatto più male ai cittadini

che tutti i barbari ed i Barberini!"

 

 

  La gente approva il suo parlar discreto

dicendo: "Chi ha il potere ci assassina:

bombarderebbe i musei a tappeto

come gli Americani l'Indocina.

Questi signori, con animo lieto,

porterebbero il caos e la rovina

come in Cambogia, in Laos, nel Vietnam,

questi che sanno solo far "gnam gnam!"

 

  Lo storico [13] ricorda: " Vi rammento

che il Ducato del grande Federico

dalla Romagna, verso il quattrocento,

giungeva fino a Gubbio, al tempo antico,

ed era il cuore del Rinascimento.

Su questo non c'è dubbio, ma vi dico:

Se continua così, ne sono certo,

troveremo al suo posto un gran deserto.

 

  "Per dare a Urbino - aggiunge - la Madonna

di Piero, la rubò con attenzione

il dottor Serra, ma la Gentildonna

ci giunse da Firenze, una frazione

d'Urbino, ai tempi della mia bisnonna.

la tavola della Flagellazione

era un tempo nel Duomo e siamo lieti

di dire che l'abbiam rubata ai preti".

 

  Altri ricordano quei grandi Genî

che qui vennero a dar prova di sé

quando brillava, in tempi più sereni,

l'astro di Federico che fu il Re

dei mecenati (ma non c'era l'ENI,

per fortuna) e si chiedono: "Perché

ciò che nei secoli si costruì

ce lo distrugge tutto la Dicì?"

 

  Ma c'è chi non trascura il suo dovere,

chi vuol far chiaro in questa confusione:

per ogni sasso c'è un carabiniere,

un poliziotto per ogni mattone,

e presto giungon divisioni intere

di Esercito, Marina ed Aviazione.

E in una pozza (sembrerà impossibile)

già incrocia, ben armato, un sommergibile.

 

  Il Magistrato conduce l'indagine

dall'Italia fin oltre il Canadà

da San Polo alla porta di Lavagine

e annusa circospetto, qua e là

- potrei parlarne per quaranta pagine! -

per giungere a scoprir la verità,

mentre è riunito il Civico Consesso

ed al Regime fa un duro processo.

 

  Chi può, si dice intanto nella Piazza,

pensar di vendere un tal patrimonio,

di commerciare in quadri di tal razza,

merce che scotta perfino al Demonio?

Poteva prendere, la zucca pazza,

se avesse avuto un po' di comprendonio,

cose men note, con le mani leste,

schivando Piero e il Raffa come peste.

 

Concludo il primo canto (era il momento!)

con uno sguardo, tra Rimini e Fano,

in un borgo ove trovo tutto intento

al suo lavoro un valido artigiano:

lo vedo rinnovar l'arredamento

con tre tavole ben dipinte a mano.

Vorrà mostrarle a certi suoi amici.

Ma perché son così, senza cornici?

 

[10]        Ispiratrice che proponeva un film

[11] Ovviamente il dialogo che segue non è certo da prendere  banalmente alla lettera come una  cronaca. Il Dottor Faldi era ottimo Sovrintendente ad Urbino nel 1975 (N.d.A. 1997).

[12] Si parla ovviamente di milioni del 1975 (N.d. A.,1997)

[13] Senza riferimento preciso ad alcuno storico reale (N.d.A.,1997).
 

 

II  CANTO

 Il secondo canto narra   /  altri fatti in altro metro  /  rigirando avanti e indietro  /  nella sordida gazzarra.

 

 

 Superate le scosse tremende,

si riflette sul gran fatto lercio,

mentre già tutto il mondo si attende

di scoprire chi i quadri rubò.

Queste tavole, messe in commercio

valgon meno di un soldo bucato.

Già si mormora in tutto il Ducato

che per questo sperare si può.

 

  Dice il primo che, se non è scemo,

vedrà il ladro che l'ha fatta grossa,

dice l'altro che presto riavremo

i tre quadri di grande valor.

  "Criminale, tu hai fatto una mossa

- dice il terzo - da gran deficiente

e di questa patata bollente

non potrai sopportare il calor !"

 

  Ma ben presto s'insinua il serpente

di un gran dubbio: l'idea di un ricatto

già raggela e sconvolge la mente

di chi un attimo prima sperò.

  Ecco dunque spiegato il misfatto!

Attendiamo con cuore ben saldo

che ci dica quel vile ribaldo

"Date i soldi ed i quadri vi dò".

 

  Notte e giorno si attende e s'indaga.

In Comune, in Caserma in Pretura,

c'è al telefono, pur senza paga,

chi sta pronto a sentir come va.

  E l'attesa diventa più dura,

poiché sempre c'è chi ne approfitta,

c'è il cretino che vende aria fritta,

ma non sa raccontar novità.

 

  Roma Vienna, Parigi, Berlino

son percorse da un brivido lungo:

tutte queste frazioni di Urbino

guardan fissa la lor Capital.

  Chi credeva che, come un bel fungo,

rispuntasse il tesoro improvviso

è deluso, è già muto ogni viso:

lo incatena un silenzio mortal.

 

  Solo quando il fatidico trillo

rompe il cupo silenzio di tomba

dal sedil salta su come un grillo

l'impiegato di turno al Comun.

  Ma purtroppo non è una gran bomba

la notizia: egli ha fatto già il callo

alle balle del verme sciacallo

a cui già più non crede nessun.

 

  Però al cruccio si aggiunge la rabbia:

" Non c'è razza più vile e più sozza,

che ti venga la tigna e la scabbia!"

gli risponde e già pensa tra sé

che, se un giorno lo prende, lo strozza,

e riattacca, con mossa assai secca,

la cornetta, poi tira una stecca,

soffia il naso e si beve un caffè.

 

  E su ciò le parole già spese

sono assai: Non diremo poi nulla

sui bambocci che l'arte "borghese"

vanno a stramaledir qua e là.

  Questi vecchi che stan nella culla,

che si tratti di Piero o di Dante

ne discorrono come l'infante

che col ciuccio sta in braccio al papà.

 

 

Ma tornando con rapida rima

a quei giorni di ansie e tormenti,

ci accorgiamo che cambia già il clima,

Passa il tempo, c'è meno tension.

  Le questioni, che come serpenti

s'insinuavano in tutti i cervelli,

lascian posto a ben altri bordelli,

mentre a nulla si dà soluzion.

 

Certo nessuno dimentica il danno subito e l'affronto,

ma se ne frega soltanto il Governo, lo Stato ch'è tonto.

Continua intanto il grande scempio,

non c'è museo, non c'è più tempio

che il ladro vil non tocchi

anche sotto i begli occhi

della nostra tivù

che già non parla più.

Anche la radio,

come un armadio

in un muro

molto duro,

sta zitta,

è fritta,

tace.

Pace

c'è,

eh?

Ssssst !

 

  Ma cos'è quel confuso fracasso,

quello strepito sempre crescente?

A migliaia qui vengono a spasso

a veder quel che qui non c'è più.

  La Città quasi scoppia di gente:

qui di Piero non c'è più un frammento,

ma c'è il chiodo (e il turista è contento)

che una tavola tenne già su.

 

  Che ci rùbino dunque in un mazzo

il Melozzo, Verrocchio ed Uccello,

che li portino via con un razzo

ben lontani dai nostri torrion.

  Che rapiscan Volponi, e con quello

il gran Bo, ché più gente alla tana

verrà qui, dove visse Laurana,

a sganciar da turista i milion!

 

" Via, coraggio, il Ministro Siviero

- dice il saggio - le trame più losche

ben conosce: è capace davvero

di scovare dal buco i birbon".

  Gli risponde il maligno: "Alle cosche

è lui stesso che chiede l'aiuto.

Dice ai ladri 'Rubate!' e il suo fiuto

nel cercare è soltanto un bidon."

 

  Ma a coloro che ancora, per caso,

ricercassero sciocchi espedienti

per poterci pigliar per il naso

noi diciamo: ne abbiamo fin qui.

  Prenderanno una botta sui denti,

salteran dalle loro poltrone

poiché tutta la popolazione

i lor sordidi trucchi scoprì.

 

 

 

III  CANTO

Cambio ritmo, e già su ciò

che ai miei versi dà sostanza 

qualcun altro, con creanza,

in dialetto scribacchiò, 

 Se il tremendo parapiglia

ispirò teste più grosse

a far versi con la tosse

questo non mi meraviglia [14]

 

 

 Un anno di ansie e timori è trascorso,

quando ecco dai vicoli stretti, dal Corso,

da tutte le strade di questa città,

  un popolo accorre ed invade la Piazza.

La gente è già in preda alla gioia più pazza:

sconvolge le teste la gran novità.

 

  Allora m'intrufolo in un'osteria:

"Che cosa è successo, che c'è, gente mia?

E' forse caduto il governo?". "Ma va'!

  La testa - mi dicono - l'hai come un sasso!

Ma come potrebbe cadere più in basso

se andò sotto terra ventotto anni fa?

 

  Le tavole belle di Raffa e Pierino

son state trovate lassù nel Ticino,

in buona salute, son tutte e tre lì".

  Si sentono intanto rintocchi lontani:

il Sindaco suona, si spella le mani,

l'annuncio si  sparge da Roma a  Forlì.

 

  E quindi in due ore fa il giro del mondo.

Le indagini, rapide, arrivano al fondo:

il cerchio ad ogni ora più stretto sarà.

  Le forze dell'ordine stringono i denti,

son pronte a balzare su quei delinquenti

se non s'intromette nessun baccalà.

 

  Speranza delusa: L'annuncio del fatto

fu dato in anticipo, e già come un gatto

sul topo incombeva il valente ufficial!

  Ma questo non guasta la festa a noi tutti,

avremo la testa di quei farabutti:

li attende la porta del bagno penal!

 

  E giungono infine , lo vuole il destino,

(in quel pomeriggio fa un freddo assassino!)

gli oggetti per cui tutto il mondo tremò.

La gente è in delirio. Con sguardo beato

ognuno accarezza un furgone blindato

e dice: "Son tutti lì dentro, lo so".

 

  E chi non vorrebbe, anche solo un istante

veder finalmente col volto raggiante

il buon magistrato [15] che tutto scoprì?

  E intanto si applaudono i carabinieri,

mai come in quel giorno quei mìliti fieri

son stati vicini alla gente di qui.

 

  E han detto che il loro dovere - per Bacco! -

è proprio cacciare i furfanti nel sacco,

che questo lo fanno con gusto e passion

  e che sono stanchi di chi vuol far uso

dei loro reparti per rompere il muso

a gente civile e cacciarla in prigion.

 

 

  Prosegue serrata l'indagine acuta:

si fruga, si ascolta, si tasta, si fiuta

in ogni credenza ed in ogni comò,

  finché si conclude la dura battaglia.

Scoperto il colpevole, un certo Pazzaglia,

al giudice questa canzone cantò:

 

  

 "Vidi un giorno il ritratto

della fatal Signora.

Di quel volto mi vinse la malìa.

Ero già quasi matto,

non vedevo più l'ora

di rapirla, per farla tutta mia.

Avevo carestia

di quel vile elemento

ch'è prezioso ma raro,

mi mancava il denaro.

Necessità ed amore in un momento,

fusi nella mia testa,

dissero al cuor: "Devi farle la festa!"

 

  Ritornai qui nel centro,

rigirai quelle mura

giorno e notte con l'anima stravolta,

vidi presto che dentro

i guardiani, con cura,

in due ore passavano una volta.

Ora, giudice, ascolta:

Sulla leggera scala,

col piccolo sgabello

mi arrampicai bel bello

e rapido passai di sala in sala,

arraffai la mia bella

e due cosette ch'eran presso quella.

 

Per lasciarvi un ricordo

distaccai le cornici

con la finezza di chi sa il mestiere.

Già le dita mi mordo!

Quanti giorni felici

avrei goduto dando a un rigattiere

cose vecchiotte e vere,

meno esposte agli sguardi

delle tre tavolette

splendide e maledette?

Seppi solo per radio, un po' più tardi,

dentro la mia bottega

che non vende tal roba chi la frega".

 

Tronchiamo il lamento, ma il resto è ben noto:

c'è stato un successo, ma c'è sempre il vuoto

in testa a coloro che stanno lassù.

  Per l'arte e la scienza, per il "culturame"

non han tempo e soldi, son altre le trame

che vanno tessendo da trent'anni in giù.

 

  Trent'anni nei quali il governo di Roma

tentò di trattarci da bestie da soma,

a calci e promesse, carota e baston.

  E questa barcaccia, già piena di falle,

ci pesa, ci opprime, ci sta sulle spalle:

gettiamo nel mare chi regge il timon!

 

 

[14] Malignità evidente. C'era anche qualche verso ben fatto. 

[15] Si tratta evidentemente dell'illustre urbinate Dott. Gaetano Savoldelli  Pedrocchi .
 

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Dai  NUOVI DIALOGHI DI LUCIANO

 

I due dialoghi qui presentati riguardano due santi, ed i santi secondo l’autore - che presenta subito il suo atteggiamento sulla fede – svolgono nella mitologia cristiana una funzione analoga a quella della divinità minori nella mitologia greco-romana. Qui in particolare si tratta di due affascinanti fiabeschi uccisori di draghi che anche la chiesa ufficiale tende ormai a sconfessare. Ma mentre San Giorgio, celeberrimo, viene ufficialmente eliminato, San Crescentino, proprio perché meno famoso, se la cava.

  

 

L’EVANESCENZA DI SAN GIORGIO

 

L’AUTORE = Ho deciso di cominciare a mostrarvi finalmente i dialoghi degli dei moderni. È ora che una visione diretta dell’Olimpo dei vostri tempi, o uomini di Atene e dintorni, Samosata compresa, vi sia offerta - come si dice - senza veli ed infingimenti, anche attraverso qualche conversazione relativa a tempi, luoghi e personaggi diversi.
La pura verità, naturalmente. Sia pure in lievi spunti oltre i quali voi stessi potrete vedere il quadro generale, riflettendo e parlando. Sia chiaro che io non solo non ho neppure una pallida ombra di superstizione, ma neppure la più pallida ombre di fede, e parlo di dèi come e quando mi pare e piace. Così do seguito ad un’azione con la quale, varî anni fa, ho inteso portare sulla scena un uomo accusato dai Celesti e difeso dal Diavolo per le sue ben motivate opinioni. Un proemio a questi dialoghi. Ma ora vediamo chi arriva.

SAN GIORGIO = Oggi l’aria serena è troppo tenue e penetrante. Le mie membra stanche per mille combattimenti non hanno mai sentito nel mondo questo torpore strano che ora mi invade. Non ero così estenuato nello spirito quando, con l’ultimo colpo che le forze mi permettevano, conficcai la lancia nel cuore del mostro infernale.

SAN TOMMASO = Non vedo alcuno.

SAN GIORGIO = Tommaso!

SAN TOMMASO = Deserto e silenzio.

SAN GIORGIO = Ma non mi vedi? Non mi senti? Non sono vicino a te, Apostolo glorioso, come sempre, nel trionfo del Cielo?

SAN TOMMASO = Ancora quel fanatico Giorgio. Perfino lui dovrebbe aver compreso, ormai, che i draghi non esistono e, di conseguenza, neppure gli ammazzatori di draghi. No, caro Giorgio, non insistere. Personalmente può anche … anzi mi dispiace per te, ma mettiti il cuore in pace. Una volta per tutte.
È vero che dicono che io sia privo di immaginazione, da quando … be’ … da quando ho preteso di fare una rigorosa verifica sull’identità del mio Maestro. Da secoli quell’accusa mi pesa come una montagna sul cuore. Sei come San Tommaso, dicono. Ma io sono San Tommaso. E tu, magnifico Giorgio, sei nulla.

SAN GIORGIO = Nulla. Sento che la mia immagine. Un tempo così splendida, svanisce in quest’aria lieve. Il fragore degli zoccoli del mio destriero che strappa scintille alle rocce, il rombo del drago delle nere ali di notte. Le grida esultanti dei cittadini cui riconsegnai la pallida principessa, tutto va spegnendosi e si perde nel grigio indefinito dell’assenza. Che cosa accade, fratello Tommaso?

SAN TOMMASO = Il tuo caso, fratello, è stato studiato dalle menti più acute (a parte gli angeli ed il loro Creatore) e l’inconsistenza di tutte le storie che ti riguardano è stata dimostrata. Quelli che in terra rappresentano il Cielo hanno infallibilmente decretato. Non è il tuo amico Tommaso a dirlo. Sono loro. Per il Ministro Supremo, come per i Regnanti suoi avversarî, tu non esisti. A proposito: non sei il solo, benché illustre, a scomparire. Molti santi e sante di buona lega ti fanno compagnia.

SAN GIORGIO = Una schiera di ombre smarrite che cavalca verso l’oblio. Eppure tu mi chiami amico e fratello.

SAN TOMMASO = Sto parlando a me stesso.

SAN GIORGIO = La gloria delle mie imprese, il mio amore per gli oppressi, la mia guerra contro l’ingiustizia, i vessilli sgargianti di mille eserciti con le croci sugli scudi, le tavole dei grandi maestri della pittura e le statue mirabili che mi mostrano in sella al nobile cavallo sospinto dal fuoco della mia carità contro le putride fiamme infernali …

SAN TOMMASO = Devo dirti che si è ben visto che le tue pretese imprese non erano poi una grande novità. Dovresti sapere - se potessi sapere, pensare o ricordare qualcosa – quanti altri ti hanno preceduto (e seguito, lo ammetto) nel liberare paesi e città da diversi mostri malefici, quanti sognanti cavalieri hanno ucciso il drago (quanti draghi!) liberando la fanciulla che stava per essere divorata come sacrificio espiatorio di superstiziosi concittadini, incatenata alla roccia sospesa sull’abisso o in qualche altra scomodissima seppur pittoresca situazione.

SAN GIORGIO = La fiducia incrollabile che miriadi di anime hanno avuto nelle forza della mia protezione, eleggendomi loro paladino, conoscendomi senza macchia e senza paura …

SAN TOMMASO = Deserto e silenzio.

SAN GIORGIO = Lo specchio del lago di cristallo riflette i fianchi e le cime dei monti e sopra essi il cielo. Ma non riflette la mia immagine. Svanite le armi e le insegne, perduta la mia figura … Deserto e silenzio.

SAN TOMMASO = Deserto e silenzio. Eppure io, San Tommaso, senza immaginazione come dicono, so quanto di te abbiamo desiderio, cavaliere celeste.

 

 

LA TENUE PERSISTENZA DI SAN CRESCENTINO [16]

 

SAN CRESCENTINO = La pace del Regno dei cieli. Davvero superiore   a qualunque immaginazione, almeno in certi momenti. Nulla, non un suono, né un colore, una sia pur vaga forma … Nulla. Potrei credere di essere solo. Dopo il cammino sulla Terra dell’empio Diocleziano e il viaggio verso la sede dei Beati, dopo tanti secoli di gloria in essa, come mai per la prima volta tutto appare così inanimato?  Non si trova ancora qui il Trono del sommo Pietro?

SAN PIETRO = Pietro è qui. Con un incarico che definire di lunga durata è ben poco. Non sono previsti avvicendamenti, né ora né mai. 

SAN CRESCENTINO = Pietro! Eccomi! Da tanto tempo non mi recavo presso la Sede della Chiavi del Regno che tu infallibilmente custodisci. 

SAN PIETRO = Salute, cavaliere. Togliti un po’ quella ferraglia: Mi piace vedere la gente senza troppi armamentarî addosso. A cosa devo la visita?

SAN CRESCENTINO = Veramente, Sommo Custode, preferisco - come certamente ricorderai - presentarmi così sia per … 

SAN PIETRO = Non discutiamo. 

SAN CRESCENTINO = … sia perché il mio abito è consono alla condizione che mi ha condotto alla Sede beata, sia perché …

SAN PIETRO = Perché ?… 

SAN CRESCENTINO = … perché sono senza testa.

SAN PIETRO = Non saresti poi una gran rarità, se è solo per questo. Ma che diav … che ragione per tale tua condizione?

SAN CRESCENTINO = Quando, or sono alcuni secoli, i cittadini di Tiferno - che oggi si chiama città di Castello, nell’Umbria - e gli Urbinati, vennero in contrasto per le mie spoglie mortali, già otto secoli dopo il mio martirio, nessuna delle due città in competizione conseguì intera la vittoria. Il mio corpo venne, dopo alterne vicende, condotto in Urbino, la città che mi volle suo patrono, ma i valorosi Umbri ne tennero e tengono ancora la parte più nobile, il capo - appunto – di cui da allora si può constatare la mancanza anche  nella mia immagine qui in Cielo quando -  come ora, per servirti - mi tolgo l’elmo che lo difese un tempo dai nemici dell’Impero e dagli acuminati artigli del dragone.

SAN PIETRO  = Per la barba del …! Guarda un po’ chi mi deve capitare tra i … al mio cospetto! Guerriero, difensore dell’Impero … fatto a pezzi da non si sa chi … E, così come nulla, ce l’ha anche lui  con i draghi! Quanti, cavaliere? … cavaliere … cavaliere …

SAN CRESCENTINO = Crescenziano, o Crescentino, come mi chiamano i miei fedeli nella gloriosa Urbino. Ma tu non puoi non conoscermi.

SAN PIETRO = Chiedevo: quanti draghi?

SAN CRESCENTINO = Be’… uno, ma …

SAN PIETRO = … ma robusto eh? E sputava fiamme e mangiava le principesse e …quante teste aveva?… Meglio non toccare quest’argomento con te, Prudenziano.

SAN CRESCENTINO = Crescenziano! E davvero non vedo perché  dovrei raccontare nuovamente la mia storia proprio a te che, dato il tuo altissimo compito, non hai certo bisogno che qualcuno ti rammenti le vicende terrene.

SAN PIETRO = Molto gentile. Si capisce. Però la forma, sai, ha la sua importanza. Dunque: Baldassarre, Belfagor … no, qui non ci siamo davvero … Caligola … anche questo è fuori discussione … Cirillo … (gran santo, un dottore pieno di sapienza!) Crimilde … troppo avanti …Crasso … Cre … scenziano. Eccolo. Sotto il regno di Diocleziano venne in Umbria, in quel di Tiferno …

SAN CRESCENTINO = Infatti. L’odierna Città di Castello. Vi giunsi dopo aver predicato la fede cristiana seguendo il magistero di San Sebastiano. Ivi un dragone devastava le campagne e divorava le greggi, ammorbando l’aria con il suo alito pestilenziale …

SAN PIETRO = Mangiava le bestie, non le principesse. E inquinava l’aria. Oggi certi danni si fanno con altri sistemi …

SAN CRESCENTINO = A Tiferno si trovano ancora due costole del mostro (non so se anche tutto ciò è scritto per esteso nel tuo Gran Registro) lunghe oltre quattro palmi …

SAN PIETRO = Nientemeno! Qui non ho tutti questi dettagli. Comunque vedo: uccise colà un dragone … beatificato … poi fatto santo … non il dragone, lui: Terenziano.

SAN CRESCENTINO = Crescenziano! Dunque?

SAN PIETRO = Dunque: niente da fare.

SAN CRESCENTINO = Sono in ogni modo nel tuo Registro tra i santi.

SAN PIETRO = I registri vanno aggiornati. Nuove disposizioni. Qui c’è una svista, in termini di linguaggio figurato. Proprio poco fa - figurati - abbiamo eliminato San Giorgio … non so se mi spiego. E tu, di fronte a un San Giorgio, dico …Perciò non montarti la … lasciamo perdere. È un momentaccio, comunque, per gli ammazzatori di draghi, anche per quelli più titolati. Non vorrei essere neppure nei panni di Perseo, o di Eracle.  S’è deciso che sono tutti, pagani o cristiani, fuori del Gran Registro.

SAN CRESCENTINO = Ma tu mi vedi e sai chi sono!

SAN PIETRO = Sto parlando a me stesso, come diceva  Tommaso ad un altro santo leggendario. (Quello sì che crede ai draghi! Staresti fresco, con lui!). Rimetterò in ordine certe pagine. C’è senz’altro la nota aggiuntiva che dichiara inesistente anche questo San Fulgenziano. La troverò. Non c’è fretta. Qui sono solo. Chiaro?

SAN TOMMASO = Ave, Pietro, Ave, Crescenziano.

SAN CRESCENTINO = Mi ha riconosciuto! Ave, sapiente Tommaso.

SAN PIETRO = Non scherziamo coi santi, Tommaso!

SAN TOMMASO = No davvero. Ma quella nota aggiuntiva non la troverai perché non c’è.

SAN PIETRO = Ma come! Aboliamo San Giorgio e lasciamo rimanere questo San Massenziano …

SAN TOMMASO = Appunto. Se vuoi spianare un bosco, taglierai subito gli alberi secolari, le piante più alte, gli arbusti e non farai caso a a qualche pianticella confusa tra le erbe. Se vuoi spianare una città, abbatterai le mura, i palazzi, la Cattedrale (scusami l’esempio) ed anche le case, ma non ti preoccuperai di vedere se qualche capanno o pollaio sporge appena dal livello del suolo.

SAN CRESCENTINO = Che linguaggio!

SAN PIETRO = Figurato, ma efficace. Che tu però, Tommaso, debba sempre venire a ribaltarmi tutti i discorsi! …

SAN TOMMASO = Non è questo il caso. Vedi, Gran Custode delle Chiavi, in Urbino e nei dintorni vissero ed operarono, o sono comunque venerate, creature che non ebbero sempre nei secoli una fama molto risonante. Così possono facilmente passare inosservate, come il nostro Crescenziano. È proprio questa, in certi casi (se Crescentino mi permette questa espressione) la fortuna degli umili. Se egli fosse stato noto come San Giorgio, avrebbe avuto la sua stessa sorte: “ Rimanere nelle  credenze popolari … non proibite … et cetera” ma fuori del Gran Registro. Invece … Te ne potrei citare  più d’uno, famoso quanto Crescenziano, o perfino meno di lui. Dopo San Giustino, San Fortunato, San Claudio, il primo  di giugno puoi trovare qualche volta nei calendarî anche il nostro SAN CRESCENTINO. Ma quando trovi i Beati Amato, Benedetto Passionei, Donato, Serafina? … Mi segui sulle tue pagine?

 SAN PIETRO = Vai un po’ in fretta, ma vedo. Vedo. Oltre tutto, questi, dopo secoli, sono ancora solo beati. Non li hanno ancora fatti santi.   Mi ricordano certi discepoli (quando andavo per la Palestina, ma anche altrove, anche a Roma) i quali ti ripetevano sempre se stesse domande o non sapevano mai che cosa dire. Per superare l’esame di predicatore semplice, diciamo, facevano percorsi di lumaca talvolta interrotti da vigorosi passi di gambero. Toccava ricominciare sempre da capo, con loro.

 SAN CRESCENTINO = Non pretendo di avere la fama di San Giorgio, né sono responsabile dei ritardi sulla via della perfetta canonizzazione  delle anime beate che albergarono in Urbino o nei dintorni. Del resto io, benché patrono di Urbino non sono urbinate, Ma …

 SAN PIETRO = Ci voleva proprio uno con la tua testa per fare da patrono ad Urbino … Cosa mi fai dire! … Quanto a questi beati urbinati in attesa, occorrerà mandare a qualcuno l’ispirazione necessaria affinché siano santificati.  Senza raccomandazioni particolari, s’intende, ma se sono un po’ troppo lenti avranno pur bisogno di una innocente spintarella.    Tornando a te, Marenziano, o Marentino, come ti chiamano i tuoi protetti, … rimettiti l’elmo, per favore, sopra le spalle: sarà sempre meglio di nulla … ora sembrerebbe proprio che tu sia sfuggito alla cancellazione per il rotto della cuffia.

SAN TOMMASO  = Lo dicevo. Ma fino ad ora resta di diritto nella schiera dei santi.

SAN PIETRO = Già. Anche se Sant’Ambrogio direbbe di sicuro  “Dűra minga! …” L’ho visto poco fa, Ambrogio, con un coro di cherubini. “ Con tutto il rispetto per il Gregoriano – diceva come fa sempre – il mio, l’Ambrosiano puro, quanto a vivacità di fraseggio e di ritmo …

SAN TOMMASO = Tornando al tema …

SAN PIETRO = Mi hai procurato temi più che a sufficienza, per adesso, Tommaso. Non ti pare? Va’, di grazia, a controllare quelle stigmate di Padre … quello che sai. E non ti perdere in sottigliezze. Poi c’è un’altra immagine di Maria che pare si sia messa a piangere. Poi … sai che hai tante altre cose da fare. Va’ in fretta. Ave, Tommaso.

Dunque, torniamo a questo San … c’è di mezzo un enz … deve essere mezzo tedesco e magari ben romantisch, con il suo bravo drago.

SAN TOMMASO = Ma l’importante è …

SAN PIETRO = Ho detto Ave, Tommaso.

SAN TOMMASO = Vado. Non intendevo certo disobbedirti. Ave, Pietro.

SAN PIETRO = Per ora, dunque, il nostro urbinate rimane con tutti i crismi. Raccontami quindi un po’ per bene le tue imprese, finché puoi … dal momento, intendo dire, che puoi rimanere con noi nel gaudio celeste, caro Gaudenziano.

SAN CRESCENTINO = Crescenziano!!!!

 

[16]    Ovvero scarsa notorietà ed importanza del santo patrono di Urbino, forse più in cielo che in terra.

 

 

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