HOME NOSTRE STRADELLA

HOME MOSTRE

Presentazione di Gastone Mosci

ACCADEMIA  RAFFAELLO  URBINO

Bottega Giovanni Santi, Casa natale di Raffaello

2 - 17 agosto 2014  (Inaugurazione sabato 2 agosto alle ore 17,30

 

Gandini: video della cerimonia di presentazione (clicca)

Stradella: video della cerimonia di presentazione (clicca)

Si consiglia di accedere anche al video su Gandini che contiene
molti riferimenti alla personalità artistica di Stradella


Questa singolare mostra presenta due artisti che sono uniti da svariate ascendenze e da una sensibilità comune.

Luigi Stradella, pittore noto da lungo tempo al pubblico urbinate, non avrebbe bisogno, a dire il vero, di nessuna presentazione: dopo un’intensa attività artistica suffragata da presenze critiche di notevole spessore, come Lambertini, Carluccio, De Micheli, Marchiori, Bo, Luzi e tanti altri tra cui Carnevali e Volponi, nonché Silvia Cuppini, ha realizzato un punto fermo con la mostra del 2012, presentata da Luigi Cavadini al Mac di Lissone; infine il 28 maggio 2014, nella città di Monza, gli è stato conferito dalla associazione ACCA, rappresentata di W.Tosi, il premio, omaggio alla carriera, “Una vita per la pittura”.

Sergio Gandini, laureato in filosofia all'Università Statale di Milano, coltiva l'interesse e la pratica della pittura a partire del 1971: ha avuto come amici e maestri Antonio Arosio, Pietro Gentili e, infine, Luigi Stradella. Ha esposto in collettive e personali, in Italia, a Milano, Monza, Lecco, Merate, Arcore, Vittorio Veneto, e all'estero, a Cadiz, Sofia, Budapest, Parigi, Madrid, Berlino; come poeta ho ricevuto il premio internazionale “Città di Milano” nel 1987, e ho pubblicato diverse raccolte di poesie, tenuto conferenze e seminari di poesia.

Un tempo, quando il dipingere nasceva da un sapere che ancora veniva appreso all’interno delle “botteghe” d’arte, il rapporto maestro-discepolo era considerato ovvio nella pratica pittorica: oggi, in tempi differenti, rimane traccia, in questi due artisti, soprattutto di una ricerca condivisa sulla luce al punto che, forse, è più rispondente al vero considerare questi due artisti entrambi come “discepoli” della Luce.
 

 

Nota biografica di Sergio Gandini

 

Laureato in filosofia all'Università Statale di Milano, coltivo l'interesse e la pratica della pittura a partire del 1971 : ho avuto come amici e maestri Antonio Arosio, Pietro Gentili e, infine, Luigi Stradella.

Come sovente ama sottolineare l'amico Marzio, autore delle splendide riproduzioni del catalogo della mostra, la fotografia è un fare che si apprende essenzialmente "guardando” le opere di coloro che ci hanno preceduti; così è anche per la pittura, circostanza ancora più felice è se la conoscenza delle opere nasce da un autentico sodalizio, da consuetudini amicali.

Ho tenuto la prima personale a Milano nel 1988; nel 1999 ho ricevuto il premio al concorso ‘‘Emilio Gola”. Ho esposto in collettive e personali, in Italia, a Milano, Monza, Lecco Merate, Arcore, Vittorio Veneto, e all'estero, a Cadiz, Sofia, Budapest, Parigi, Madrid, Berlino.

Come poeta ho ricevuto il premio internazionale “Città di Milano” nel 1987, e ho pubblicato diverse raccolte di poesie, tenuto conferenze e seminari di poesia.

Nel corso degli anni l'interesse per il sapere si è approfondito neH'ambito delle filosofie orientali, non solo in senso teorico - da anni studio lo shodò, l'antica arte della calligrafia giapponese, col Maestro Ichiro Fukushima - nella convinzione che l'esperienza e la pratica del segno/scrittura affondino le radici in una vasta apertura verso ogni realtà spirituale.

 

 

Nota biografica di Luigi Stradella

 

 Studiò all'Accademia di Brera dove fu allievo di Aldo Carpi. Diplomatosi nel 1952, tenne la sua prima esposizione a Milano nel 1956, con presentazione di Aligi Sassu. Il suo cammino artistico, partito da una pittura verista e tradizionale, si sviluppò verso tendenze intimiste ed informali. Espose frequentemente oltre che a Milano, a Monza e Urbino

Dopo una intensa attività artistica suffragata da presenze critiche di notevole spessore, come Lambertini, Cariuccio, De Micheli, Marchiori, Bo, Luzi e tanti altri tra cui Carnevali e Volponi, nonché Silvia Cuppini, ho realizzato un punto fermo con la mostra del 2012, presentata da Luigi Cavadini al Mac di Lissone. Infine il 28 maggio 2014, nella città di Monza, mi è stato conferito dalla associazione ACCA, rappresentata di W.Tosi, il premio, omaggio alla carriera, “Una vita per la pittura”.

Per notizie bio e bibliografiche complete si veda il sito personale dell'arttista:

 

 

 

NOTE CRITICHE SU GANDINI

Un amore impossibile
di Silvia Cuppini Sassi

 

Anche quando Sergio Gandini dipinge un fiore, anche quando una sua immagine cattura lo sguardo per l’amabile semplicità, il dipinto nasconde un’intenzione del pensiero. Il fiore di cardo o è triste o è gaio. Il Cardo triste è il Cirsium Heterophillum, un fiore che nell’antica farmacopea veniva usato per vincere gli stati melanconici, del Cardo gaio non ho trovato un riscontro scientifico o poetico, può essere un gioco posto in atto dall’artista per contrasto con il Cardo triste. La mostra offre due piani di lettura: uno attraverso le immagini, l’altro racchiuso nelle parole dei titoli.

Terra, Fuoco, Acqua, tre dei quattro elementi si sviluppano coerentemente in orizzontale mentre l'Aria tendendo verso l’alto ha richiesto il formato verticale.

 

La natura del desiderio (2014)

 

Con Lichtung I e II (Radura I e II), forse si vuole richiamare il pensiero di Heidegger che intende riferirsi con Lichtung al “chiaroscuro fra presenza e assenza”. La pittura di Sergio Gandini, filamentosa, pregna di pigmento colorato, compatta e tumultuosa sembra essere una risposta alle domande provocate dalla frequentazione di filosofi, poeti e artisti. Paul Celan e Rainer Maria Rilke sono presenti, il primo in Fadensonnen (Filamenti di sole), in Flugel nacht (Volo di notte), in Ballt um das wort sich der schnee (S’aggruma attorno alla parola la neve), in In derluft (Nell’aria), in Tenebrae (Tenebre); il secondo in Werwandiung istnichtluge (La metamorfosi non è inganno), mentre una eco di Georg Trakl si avverte in Blutetdie dämmerung (Sanguina il tramonto). Poeti questi che hanno restituito nei loro versi l’inquietudine di un tempo controverso e impietoso come la loro anima. Una scelta letteraria per accompagnare una pittura di gesto, che nasce solo dall’impulso nervoso della mano.

 

La pianura della verità (2012)

 

 

Una ricerca di tranquillità, di pace interiore si annida nell’uso dei termini di origine orientale per le opere intitolate: Jaku (Quiete), Hyógen (Distesa di ghiaccio), Akikaze (Brezza autunnale), Kido (Luccicanza) e forse solo un sapore d'oriente contengono le espressioni: Ciliegio a sera e Herbstkokon che significa Bozzolo d’autunno, il bozzolo della seta.

D’estate l’allodola canta fa pensare a Giulietta e Romeo e alla fine di una notte d’amore segnata dal canto che da lieto si fa lugubre.

La natura del desiderio è dentro un aforisma di Aristotele che recita così: “E’ nella natura del desiderio di non poter essere soddisfatto, e la maggior parte degli uomini vive solo per soddisfarlo”, mentre La pianura della verità rimanda all’iperuranio di Platone. In tutto questo c’è qualche cosa di irraggiungibile, di inespresso.

La dimora della morte, Schneegrube (Sepolcro di neve), Fossilherz (Cuore fossile), Steinwogen (Ondate di pietra), Schicksai (Destino) restituiscono la durezza pietrosa, l’aridità del deserto.

Ancora fiori, minacciosi però, in Dente di cane e in Wintergrun (Inverno verde), il nome della pervinca che nasce nel freddo dell’inverno.

Dente di cane (2013)

Un lampo di luce catturato con Abglanz (Riflessi), Feenaugen (Occhi delle fate), Disgelo, I lembi del manto di Dio, Lichtinsel (Isola di luce); un movimento d’aria con Rohrwind (Vento fra le canne), In der luft (Nell’aria). Aria e luce si sono insinuate inattese fra le spatolate di colore per restituire leggerezza a un’arte meditativa che predilige i toni cupi dei rossi e dei neri.

Narciso alla fonte ci assale come un autoritratto che giunge da lontano dopo un impossibile amore.

Silvia Cuppini Sassi

 

 

 

 

 

 

 

Sulla visione in pittura

 

Creo di getto “campo di fiordalisi” - più continuo a dipingere, più mi appare che il sostegno della immagine originaria si elide - eppure il campo è là, l'ho veduto, sono anni che lo guardo, sempre con crescente stupore, sempre mi avvicino al suo mistero di bellezza - ma ora non mi ritraggo più, non cedo alla mia debolezza, non mi nascondo nei fraintendimenti legati alla rappresentazione: “campi di fiordalisi” non può essere una descrizione, una immagine evocante, è solo visione - ogni quadro è essenzialmente una visione.

Mi accorgo anche, sempre di più, come nel caso di “campo di fiordalisi” e, prima, in quello di “lichtung”, come sia necessario, per il pittore, ritornare rapsodicamente a certi temi, a certe visioni, per arrivare davvero al nucleo della visione originaria - come il sommo Vermeer, per esempio, che continuò a dipingere la medesima donna illuminata dalla luce della medesima finestra. Il quadro è una concrezione un punto solo provvisorio di arresto nel processo della visione reso possibile dalla Luce.

Sergio Gandini

 

 

 

 

 

 

Alcune note di Luigi Stradeiia sulla pittura di Gandini

 

Le opere pittoriche di Sergio Gandini hanno una loro particolare pregnanza, un fervore, una luce, una tensione poetica, sì, perché la pittura ha la sua complementarietà nella poesia, una identità di sapori mitici come “Narciso alla fonte", un recente olio su tela, una sorta di ritratto sensibilissimo che affonda o emerge dallo specchio: un acquario. Prima c'è “Aria di neve” del 2006, sempre olio su tela, che trasmette appunto una lucidità dell'aria, un segreto di margini luminosi.

“Panis angelicus” è un'opera in formazione, delicata come un respiro, come trasparenza. E ancora “Sanguina il tramonto”, pure opera in formazione, con un tono dominante di nero, rosso e di bianco espanso, trasparenza adagiata. “Tenebrae” è del 2013: la trasparenza continua, profonda, distesa... e siamo ad “Autunno”, sempre del 2013 coi rossi che vibrano o gemono: alternanza di suoni.

Un'opera particolarmente impegnativa: “I lembi del manto di Dio”, che ti prende col suo nero grigiore e qualche rosso più in là. Splendore.

Passiamo poi a “Radura", sempre del 2012 (prima versione), dove sei poeticamente in un bosco e dove in fondo intravedi qualche barlume.

Del 2013 è “La natura del desiderio”, olio su tela: una concupiscenza che si tramuta in spirito. Ed ora il mio percorso scende o ascende a opere del passato, che hanno una particolare sostanza: “Montagna", acrilico su tela del 1998, un ricordo segantiniano, con una specie di divinità adagiata, una certa vena surreale con delicatissimi e profondi passaggi.

In “Riflessi”, olio su tavola del medesimo anno, ci si trova in forma alchemiche, trasformazioni materiche; nei quattro elementi, ciclo che comprende quattro quadri - aria, fuoco, terra, acqua - scopri nel fondo una potenzialità di paesaggio.

Credo di aver detto tutto, almeno il possibile, anche se sostanzialmente non si dice nulla, come sovente accade quando si cerca di parlare intorno al dipingere: un “vuoto da riempire” dicevo negli anni settanta, ma abbastanza per capirci, per amarci...

Luigi Stradella

giugno 2014

 

NOTE CRITICHE SU STRADELLA

Identità di percorso
di
 Claudio Rizzi

 

L’intensità, più che l’estensione, determina il grande percorso di Luigi Stradella. Le date diventano un dettaglio, influente certo ma di secondo piano rispetto alla costanza del tono lirico che sempre ha animato la pittura.

Una poesia spontanea, radicata nell’animo, palese o sembiante nei modi, nell’apparente quiete, quasi atarassia elogiata dagli antichi. Un’intonazione civile, di grande rispetto, una confessione silente ove persino l’urlo possiede la misura della dignità.

L’interiorità dilaga nel dipinto eppure diviene pittura, si traduce in quadro, si permea nel colore, nell’allusione alle forme; rispetta e non prevarica. Come dire che la pittura deve essere pittura e la parola rimane sottintesa, percezione e non protagonista.

Paesaggio a Urbino (1950)

Stradella non racconta, imprime voce nella materia, dipinge i segni dell’animo. Il fremito degli accostamenti cromatici, i passaggi repentini come dialoghi incalzanti, gli equilibri arditi quanto sapienti, mostrano la dialettica del sentimento che traduce la visione in poesia.  Il quadro a noi appare immaginazione ma per Stradella è una realtà. Una verità intima affiorata dall’interno, una “cosa” divenuta percezione, poi sensazione, infine musica.

Talvolta il percorso a ritroso è comprensibile nella presenza di una citazione formale o di un suggerimento naturalistico. Talora il dato oggettivo risulta totalmente superato, annullato dall’irruenza evocativa.  Qui consistono le pagine più importanti di Stradella. Nella mitezza della persona, il grande coraggio di esprimere la propria libertà senza compiacere il gusto comune. Controcorrente ma non importa. Isolato ma ricco della propria autonomia. A tutela dell’identità di coerenza. A difesa della sua storia imperniata al rigore, negazione del compromesso intellettuale.

Gli idealisti dicono che il mondo può cambiare ma gli ideali non possono morire. Dei propri valori morali Stradella ha scolpito regola e prospettiva. Ne ha fatto una trama esistenziale, un fondamento che conferisce alla pittura una forte sacralità. Elemento raffinato e raro che non significa raffigurazione di impronta religiosa ma esprime e sublima lo spirito del sacro. Il senso, l’emozione, la profondità d’ascolto. In questo Stradella eccelle. Perchè la sacralità è insita nella sua pittura, è linguaggio che naturalmente tende a innalzarsi oltre la relatività delle cose e mira alla trascendenza.

Antico dettato dell’estetica che intendeva l’elevazione al sublime mediante la rappresentazione, tradotto oggi nell’espressione dell’anima, nella liberazione di interiorità. Un passaggio logico per Stradella, frutto della lettura del passato, dell’evoluzione del tempo, della scuola di grandi maestri e della frequentazione di intellettuali di alta levatura. Una conseguenza ovvia, senza necessità di codifica, di teorizzazione, semplicemente esito del sentire e pensare pittura.

Ha iniziato a respirare arte in famiglia, ereditando sensibilità dal nonno Emilio Parma, pittore di qualità e apprezzato insegnante. A Brera, negli anni d’Accademia, ha letto i valori di tradizione e solidità della pittura in Achille Funi, la modulazione linguistica di Carlo Carrà, futurista, poi metafisica, infine approdata alla poetica dell’antico; soprattutto ha vissuto l’insegnamento di Aldo Carpi, la statura morale, la cultura della di dignità, la proiezione dell’arte oltre la connotazione tragica della vita.

Stradella è attento nel silenzio di assimilazione, seleziona e sintetizza. All’esordio a Milano è accompagnato dalla presentazione di Aligi Sassu. Come dire un varo in grande stile. Un lessico realista, eppure già si percepisce la prevalenza del sentimento sull’obiettività della narrazione. Una capacità emotiva che libera la suggestione dal retaggio narrativo. L’epoca si inquadra nel primo decennio dopoguerra, ferite aperte, dubbi e difficoltà. Ci si interroga sulla società e si approfondisce l’analisi dell’esistenza. A Milano matura una corrente di pensiero e di pittura improntata al senso di estraneità, alla solitudine interiore, ai quesiti della coscienza.

La Stella di Betlemme (1989)

È quell’atmosfera che verrà poi definita “Realismo Esistenziale”, termine che indicherà specificamente un gruppo di artisti ma anche un panorama di affinità ove convergono differenti presenze.  Ne è coinvolto anche Stradella, in ambito attiguo sebbene isolato, traendone una profondità espressiva sempre più distaccata dai canoni figurativi e destinata a sfociare negli anni ’60 nel linguaggio informale. Essenzialmente lirica, ben distinta dal gestualismo impetuoso, anzi musicalmente condotta attraverso ampie volute, la pittura di Stradella traduce l’evocazione e intona un canto d’intima confessione. È una linea di coerenza, di affermazione del sentimento, dalla presenza, alla preminenza, all’autorevolezza di unicità sulla scena. Sembra facile, in realtà è la sintesi del Novecento, la capacità di rifiutare il dogma della rappresentazione e scegliere la libertà dell’indole.

Altri hanno optato per la ragione e la definizione di un concetto. Stradella ha voluto dare forma e materia all’immateriale mondo della sensibilità: sensazione, evocazione, suggestione. Il respiro dell’animo. Non è obbligo per la platea condividere l’attore in palcoscenico. E non è obbligo per gli spettatori corrispondere al dialogo suggerito da Stradella. Ma la musicalità del dipinto è pulsante e, benché nel quadro non risuonino scatti violenti né acuti aggressivi, la voce è perentoria. L’invito all’emozione è chiaro. Poi occorre la sintonia dell’osservatore, ma dipende dalla ricchezza interiore. Qui consiste il motivo del riscontro tributato, proveniente da intellettuali, poeti e scrittori, più che dal grande pubblico, ancora oggi e troppo spesso abbacinato dal facsmile dell’immagine e dalle chimere di faziosi vangeli apocrifi. Un risvolto che non incide nella storia dell'uomo e dell’artista. Perchè non valgono l’intensità dell’applauso o l’indice di aggiudicazione ma contano la coerenza di percorso e la lealtà di coscienza.

Un interprete autorevole del proprio tempo, consapevole dei mutamenti epocali, delle domande e delle risposte possibili, non è una comparsa. È una presenza di riferimento, una testimonianza destinata a tramutarsi in anello fondante nell’evoluzione del pensiero e delle sue manifestazioni.

Riconoscere il merito di chi ha acceso la nostra sensibilità non è solo omaggio ma è attestazione partecipe allo spirito che anima la differenza tra sopravvivere ed esistere.

Claudio Rizzi

Un ramo divelto (2007)

 

Affinità elettive

di Sergio Gandini

 

Luigi mi onora della sua amicizia da alcuni anni, ma posso dire di conoscerlo da molti di più. Perché gli artisti si conoscono prima di tutto attraverso le loro opere.

Nella sala Maddalena, a Monza, si trova esposto dal 1999, anno in cui l'artista ne fece dono alla città natale, “Passione secondo Matteo”, opera del 1998 fra le più suggestive del Maestro. Nel corso degli anni, partecipando agli eventi promossi dal Comune, ho avuto modo di osservare e contemplare a lungo questo quadro: all'inizio non ero nemmeno a conoscenza della personalità del suo autore. Ma allora il quadro aveva già iniziato a parlarmi, nel linguaggio muto ma autentico con cui vengono condivise le emozioni e le concezioni più profonde.

Posso affermare dunque di conoscere davvero Luigi Stradella da un tempo più lungo ancora della nostra amicizia e, da quando essa è iniziata, mi sembra che sia accaduta sotto il segno di presagi difficilmente spiegabili, ma veri e singolari, scaturita da una comune visione della pittura, che sta a fondamento della presente mostra.

Sergio Gandini

 

INDIETRO

Stradella e Gandini allaBottega Santi

Due pittori rapiti dalla luce di Gastone Mosci

 

da E-BOOK CON PRIVILEGIO  Urbino, 8 agosto 2014

 

 

Urbino. Nella Bottega Santi della casa di Raffaello espongono fino al 17 agosto 2014 Luigi Stradella e Sergio Gandini. Il primo 15 opere scelte degli ultimi decenni, Gandini quaranta olii degli ultimi tre anni. Il tema comune dell’esposizione è “Elogio della luce”, che domina i lavori di questi due pittori di Monza.

Stradella è anche urbinate: i primi anni cinquanta dello scorso secolo, appena diplomato a Brera, venne a Urbino per iscriversi alla Scuola di giornalismo dell’università, entrò invece al Circolo cittadino incontrò Emilia Sani studentessa e subito l’attrazione li convinse. La signorina Sani si laureò, sposò Luigi, andò a vivere a Monza, lui pittore e lei docente. Ma “lo Stradella ci appare "lombardo’ fino alla radice dei capelli”, lombardo perché la sua pittura lombarda è moderna, una “bella pittura”, scrive Marziano Bernardi per la sua prima personale nel 1956. Sentiva l’attrazioné del paesaggio con u- na partecipazione metafisica, un certo cubismo e un’intensità cromatica. Dopo gli anni ’50 e ’60 si definisce la dimensione urbinate: è conquistato dallo spirito rinascimentale, dalla drammaticità moderna, dal canto della nuova poesia di Ungaretti e di Montale. Urbino e Firenze sono i suoi simboli vitali. Le 15 opere e- sposte rappresentano questa sua line- a pittorica: la ricca personalità artistica di trasparenze invase dalla luce, in agguato della grazia e dell’armonia. In nome della luce si muove anche Sergio Gandini, pittore e filosofo - introdotto nel Catalogo da Silvia Cuppini -, filosofo prima di tutto perché opera scelte continue di situazioni mentali, di ricerche spirituali, di intuizioni cromatiche percorse dalla filosofia, da richiami di poeti come Celan (“i poeti sono gli ultimi custodi delle solitudini”), che non si svelano, che rimangono sul colle per avvicinarsi all’assoluto. Una pittura di fascino e di mistero, sostenuta dall’apparato dei luoghi del pensiero e dello spirito, da un segno continuo che si sovrappone e cresce e avanza verso una tensione mistica, verso icone luminose Gandini è sempre molto sereno, in stato di meditazione e di ascolto.

Stradella è inquieto, sembra dire con le sue pitture che l’arte serve per cambiare il mondo, per sollecitare la cultura a formulare domande nuove, per interrogare l’uomo sul suo ruolo Gandini vive invece la condizione di chi è apparentemente immerso nella materia, e instancabilmente guarda il muro, lo attraversa, e compie l’atto creativo di sfiorare la visione che ha incubato con l’atto pittorico ed anche con la parola poetica.

Mostra organizzata in collaborazione con l’Accademia Raffaello e con il patrocinio della Regione; Marche e del Comune di Urbino.

Prolusione del prof Giorgio Gerboni Baiardi.