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Mostra  2006:  Cinquantanni di palcoscenico
Luigi Stradella

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Il gentile Visitatore è invitato all'inaugurazione:  sabato 1 aprile 2006 ore 17.30

 e/o alla visita della mostra: venerdì - sabato - domenica - festivi h 10-12/15-18 dal 1 aprile al 7 maggio 06

al  CIVICO MUSEO "Parisi Valle" -  MACCAGNO

 

CATALOGO

 

Comune di Maccagno

 Civico Museo "Parisi Valle"

 

 

LUIGI  STRADELLA

cinquant'anni di palcoscenico

2 aprile - 7 maggio 2006

 

 

Mostra monografica a cura di Claudio Rizzi

testo di Stefano Crespi

 

 

con il Patrocinio:

 Regione Lombardia

Culture, Identità e Autonomie della Lombardia

 Provincia di Varese

Provincia di Milano

Copertina del catalogo
(Pascoli alti  -  1995 - olio su tavola - paricolare)

 

Finito di stampare

nel mese di marzo 2006

dalle Grafiche Nicolini - Gavirate (VA)

Realizzazione e stampa: Grafiche Nicolini - Gavirate (Va) - Italia

© Nicolini Editore, Gavirate - 2006

  

Coordinamento:  Ad Acta

Redazione:  Elena Noia, Elisabetta Bignardi

Cinzia Picozzi

Maria Luisa Paganin

Maria Teresa Deraco

Documentazione d'archivio:  Marianna Stradella

Progetto grafico e realizzazione: Sara Salmoiraghi

Fotografie: Umberto Torromacco, Walter Capelli

 

Un ringraziamento a Arnaldo Giangiacomi e alla Società Giangiacomi Ascensori

 

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TESTIMONIANZE

 

 

RegioneLombardia

Culture, Identità e Autonomie della Lombardia

 

II Civico Museo di Maccagno rende omaggio a Luigi Stradella, pittore di spicco tra i grandi interpreti contemporanei dell'Arte in Lombardia, e celebra i cinquantanni della fervida e appassionata produzione dell'artista brianzolo. Si tratta di un tributo doveroso, di merito e di contenuto, ad un percorso di ricerca espressiva segnato dalle tracce di un profondo ed intimo legame per le radici e la cultura lombarda. Grande il contributo di Stradella all'educazione artistica, in particolare nei lunghi anni di insegnamento alla Scuola d'Arte del Castello Sforzesco di Milano, e al dibattito culturale cui ha partecipato, e partecipa, pur mantenendosi lontano dai clamori della cronaca, con l'estrema attualità ed intensità sottesa alle sue produzioni.

Questa mostra monografica si inserisce all'interno di una programmazione espositiva di grande autorevolezza e rigore critico. Il Civico Museo di Maccagno propone infatti una lettura analitica dei principali protagonisti e fenomeni riconducibili all'arte contemporanea, con una particolare attenzione per quelli lombardi, che trovano una crescente e sollecita risposta nelle Comunità del Lago Maggiore e, sempre più spesso, nei visitatori della vicina Svizzera.

Programmazione che l'Assessorato regionale alle Culture, Identità e Autonomie della Lombardia da me diretto segue con grande interesse e sostiene con convinzione attraverso concreti finanziamenti. Le iniziative promosse dal Civico Museo di Maccagno, infatti, ben interpretano il principio, condiviso e affermato da Regione Lombardia, di una cultura che sia funzionale all'educazione morale e civile dell'individuo e, nel contempo, strategica allo sviluppo del territorio e stimolo alla coesione della sua Comunità.

Rivolgo pertanto un sincero plauso al Civico Museo di Maccagno e all'Associazione culturale Ad Acta, per il ruolo determinante e sempre efficace svolto nella documentazione del fenomeno artistico contemporaneo nel nostro territorio, individuato tra gli obiettivi dell'azione di governo regionale in materia culturale nel corso della VII Legislatura (2000-2005) e riconfermato per l'VIII Legislatura in corso (2005-2010), e per il generoso e concreto contributo alla vivacità culturale lombarda e ticinese.

Ettore A. Albertoni

Assessore regionale alle Culture, Identità e Autonomie della Lombardia.

 

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Comune di Maccagno: Fabio Passera

 

 

In quest'effervescente inizio di 2006, con infinito piacere ritrovo la fatica di una breve introduzione per la mostra di Luigi Stradella, intitolata ai suoi splendidi "cinquantanni di palcoscenico". Compito del pubblico amministratore non è certo quello di avventurarsi in improbabili discettazioni artistiche, dovere che volentieri declino all'amico Claudio Rizzi, organizzatore ed anima anche di questo nuovo evento espositivo.

Al Sindaco resta l'infinito piacere di ritrovarsi interessato anfitrione di un nuovo momento di conoscenza, di incontro, di maturazione. Il ruolo della cultura nella dinamica di una comunità che cresce e si evolve non è certo una mia invenzione, ma non nascondo il profondo vanto di ritrovare sulle rive del Lago Maggiore nuovi e vecchi compagni sempre pronti ad incoraggiarci in questo viaggio un po' ardito, attraverso le conoscenze della nostra splendida terra lombarda. Non posso che rilevare con deferente e riconoscente affetto il ruolo che la Regione Lombardia, la Provincia di Varese e la Provincia di Milano hanno voluto - attraverso i rispettivi Assessorati alla Cultura ed al Marketing territoriale - dimostrarci, concedendo il loro prezioso patrocinio alla mostra che andiamo ad inaugurare. La convergenza e l'attenzione delle Istituzioni sono momenti fondanti per chi, come noi, è alla ricerca costante di qualificati compagni di viaggio, perennemente rivolti ad un modo mai scontato di promuovere il nostro territorio e le preziosità artistiche che in esso sono racchiuse.

Esaurito il compito dei doverosi ringraziamenti e dei convenevoli di rito, alzo nuovamente l'immaginario sipario che ogni volta schiude il Civico Museo di Maccagno agli occhi ammirati di nuovi spettatori che da domani, ne siamo certi, annovereremo tra le schiere dei nostri amici.

Per ritrovarci ancora una volta insieme, a sorridere delle nostre debolezze e a compiacerci della nostra felice ostinazione.

Fabio Passera

Sindaco di Maccagno

 

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Icone dell'invisibile    Stefano Crespi

 

Nell'accostarsi all'opera di Luigi Stradella, al suo percorso, la prima impressione è di trovarsi di fronte a una vasta bibliografia di contributi, presentazioni in catalogo, testimonianze. Apporti di diversa natura, dal testo critico alla dimensione di prosa poetica. Ciò può confermare in prima istanza un connotato di immagine pittorica con una sottigliezza, ambiguità, perplessità, spostamento di senso, aspetti che sottraggono la pittura da un'immediata pertinenza narrativa, tematica o linguistica verso una cifra più interiore.

In tutto ciò è difficile inserirsi con qualche nuova inflessione di apporto, di lettura. Ma, lungo la linea di tanti cataloghi, un suggerimento prezioso è venuto da un libro dello stesso pittore, Nel filo del ricordo, (in una meritevole collana delle edizioni Campanotto in provincia di Udine). Si tratta di pagine di diario e di note sulla propria pittura. Si sente la necessità di ritornare agli scritti dei pittori che appaiono più incondizionati, più liberi, portano spesso un primordio di sensi, di intuizione, di unicità.

In queste pagine di Luigi Stradella possiamo scoprire il tratto più intimamente biografico, ma anche il dato psicologico di una poetica, di una condizione. Nelle pagine dedicate al luogo d'origine (la città di Monza), agli anni di formazione, ritroviamo quel timbro, quella sfumatura, la voce, perfino il mondo ignaro delle prime visioni che segneranno, in qualche misura, l'individualità espressiva della propria pittura.

L'arte è anche sonno del pensiero, ritrovamento di radici remote, un oblio senza fine: «Ho spesso negli occhi la luce alta di un tramonto. Immaginario? Non so. Certo lombardo, spiovente sulla pianura, immenso». Sono immagini della memoria che rimangono ferme nella transitorietà e labilità del tutto: l'abitazione nel «fondo» di una strada, la stagione d'autunno, la neve d'inverno, il «bianco immacolato».

Un senso trascorrente ed evocatorio di quegli anni lontanissimi che non hanno colore, non hanno «idea», non hanno metafora. Come in una magia torbida e confusa. È qui forse l'alfabeto della pittura di Stradella che in queste pagine menziona le Grigne e il Resegone, la figura del nonno pittore, gli studi in collegio e perfino quelle figure desuete e anacronistiche dei prefetti (erano studenti che provenivano dai paesi, da famiglie povere, a volte dai Seminari, si mantenevano negli studi assistendo i ragazzi del collegio).

Lungo una vocazione artistica, oltre gli anni di Brera, possono essere sintomatici alcuni artisti che entrano nell'esperienza di Stradella, per una frequentazione, o magari anche per un incontro o un semplice richiamo: Italo Valenti assistente alla cattedra di Carpi (morì in Svizzera dopo averne acquisito la cittadinanza), Guerreschi, Romagnoni, una visita di Franco Francese (con De Micheli), la fugace conoscenza di Filippo de Pisis nel periodo del ricovero a Villa Fiorita di Brugherio, la figura umana di Francesco De Rocchi incontrata tante volte nei dintorni di Brera.

In un rapporto più stretto e diretto con la pittura, si coglie in tanti punti della riflessione di Stradella una coscienza della propria poetica: il visionario, una sottile allucinazione, il colore come segno interiore e non empirico. E quasi una Stimmung psicotica, creativa che diviene via via immagine dell'inconscio, dell'emozione inafferrabile, della tristezza, dell'inquietudine, della nostalgia, dell'assenza.

È una pittura quindi che rifugge da categorie storicistiche (le situazioni per esempio neofigurative o astratte); ma si pone anche con lucida consapevolezza rispetto all'informale. In tante occasioni ho avuto modo di soffermarmi su questa situazione dell'informale che certamente era stata una frontiera disperante dell'arte, dello spirito. In un orizzonte amplissimo, diramato, si erano liberate e si liberavano le cifre più varie, anche contraddittorie: ora sofferte e ora più epigoniche, ora vitali e ora anche di gusto tautologico, di declinazione postnaturalistica.

La pittura di Stradella è segnata dalla ricerca, da un sentire, anche dallo sconforto, dal movimento. Non c'è la sigla, non c'è la tipologia. La sua immagine può risultare anche difficoltosa nella lettura. C'è una continua metafora di soglia, di ritmo febbrile, di «voce», di «improbabilità» poetica rispetto alle probabilità linguistiche, di flusso della memoria, di confini tra il qui e l'altrove, tra il transeunte e una punta amorosa di simbolismo.

Sente Luigi Stradella la propria pittura in un «esistenzialismo accorato e labirintico, in una schizofrenia segnica e colorata, in un cercar volti in perenne metamorfosi».

Una pittura che forse esula da un percorso astrattamente cronologico (tappe, cicli, tematiche, capitoli); ma è segnata di più da una nozione filosofica di tempo come «durata», vissuto soggettivo che può coniugare intuizioni, ritorni, illusioni, residui intermittenti. Nell'insieme dell'opera pittorica, possiamo notare uno svolgimento che sembra muoversi dalle evidenze ad apparizioni emblematiche, dalla sensazione a uno spazio-tempo più irrelato, da una congiuntura biografica a una proiezione destinale, da frammenti del visibile a un cielo dell'invisibile. Nella biografia di Stradella, credo che sia importante avere avuto lo studio anche nella città di Urbino. Con la naturale dialettica tra i luoghi di origine e quella sorta di oblio affascinante suscitato da Urbino. Ci sono suggestioni letterarie che ci dicono di Urbino l'isolamento, una stranita sospensione, la percezione di una solitudine dislocata e più alta. Vivere a Urbino significa vivere in un'architettura continua, nel sogno di una «misura» che pare la difesa dai soprassalti dell'irrazionale.

Certamente Urbino ha contribuito a mettere in moto nella pittura di Stradella la distanza dalle parole, dalle forme, per entrare nello spessore impalpabile dello specchio, in qualcosa di più oscuro che è l'indicibile, il brivido, l'estasi, quella cerimonia lenta e meticolosa che è lo scorrere della pittura presa nella grigia luce del vuoto, o di un enigma.

Quando Claudio Rizzi mi chiamò per invitarmi a una riflessione sulla pittura di Stradella, chiesi il nome di qualche critico che si fosse interessato a questo pittore. Claudio Rizzi prontamente mi disse il nome di alcuni letterati e poeti. La pittura viene a sconfinare con la poesia, l'immagine pittorica con il mistero della temporalità.

Lungo questa direzione, Luigi Stradella riceverà a Urbino conferme e rare testimonianze. Leggere questi scritti per Stradella è stato come ritrovare la commozione di queste figure. Carlo Bo, nell'introdurre la cartella Le mura di Urbino, scrive di «eterna trasmutazione delle cose», dove il testo pittorico agisce «fra esterno e interno».

Mario Luzi (che era docente di letteratura francese all'Università di Urbino), nell'osservare nella hall dell'albergo Italia di Urbino le litografìe di Stradella ispirate a  Il dolore di Ungaretti, scrive di un «processo di aggregazione e distruzione dell'immagine» di «un'avventura del linguaggio (anteriore e posteriore alla forma)».

E il filosofo Italo Mancini, nel testo introduttivo per un'altra cartella di litografie di Stradella, dal titolo Dignità del sogno, scrive di «inestricabilità tra forze della vita e destini della morte».

In ragione di tutte queste premesse, possiamo maggiormente riconoscere quelle che appaiono le sequenze espressive nel cammino di Stradella. Si possono fermare alcuni titoli di quadri (nello scorrere dei cataloghi). Un richiamo ad alcuni di questi titoli non in una citazione e in un ordine letterale, ma come una geografia di icazioni, di persistenze, di cifre caratterizzanti: Nel profondo, Immagine di una solitudine, Presenza oscura, Sottofondo bianco, Componenti bianche, Studio per gli addii, I luoghi dell'inverno (omaggio a Roberto Sanesi), Studio per cortile d'inverno, Nell'ombra, L'eco, Inverno sui vetri,Asfalti, Un cielo lontano, Paesaggio bianco, Cortile d'inverno, L'ultima luce, La tenda bianca, Interno. Non occorre nemmeno un ordine strettamente cronologico, tanto queste indicazioni appartengono a un processo interiore. Ma si possono intuire alcune tematiche che nella contemporaneità attraversano l'arte, la poesia, il pensiero saggistico. È un discorso che andrebbe precisato. Da parte mia credo di sottolineare soprattutto tre temi: lo sguardo della pittura, la malinconia, il paesaggio d'inverno.

Muovendosi con originalità, bellezza di scrittura, tra testo della pittura e icona del testo, il poeta francese Yves Bonnefoy che ha dedicato una grande attenzione all'arte (con un'esplorazione all'opera di Alberto Giacometti), pone una distinzione tra lo sguardo e gli occhi. Gli occhi rispondono agli imperativi del linguaggio, alle grammatiche linguistiche del «vedere», anche a quell'immensa rappresentazione virtuale che sulla superficie mediatica accade e svanisce. Lo sguardo invece ci rivela le epifanie delle cose: il desiderio, il tempo indicibile, l'ossessione.

La pittura di Stradella è una voce ritratta nel profondo di sé; voce che consuma l'oggetto per far esistere il tratto segreto della solitudine, dell'ombra, dello sguardo, del «luogo» interiore.

Quasi in risposta a una società informatizzata, è in atto un'attenzione sulla malinconia confermata da mostre (a livello europeo), da pubblicazioni, contributi tra psichiatria, arte, musica. In questo connotato si comprende l'immagine di Luigi Stradella: quell'aggregarsi, disaggregarsi tra immaginazione e ombre del passato; quel silenzio livido della materia; lo spaesamento vitreo dello specchio. I colori stessi sono sintomatici: il grigio nell'eco nebbiosa, insostanziale; quei bianchi toccanti che hanno un tremore di neve, di malattia.

Infine il paesaggio d'inverno che può segnare, in qualche misura, l'unità espressiva di questa pittura. Questo tema trova una consapevolezza nel discorso poetico (valga appena il richiamo a Viaggio d'inverno di Attilio Bertolucci del 1971). Meno avvertito questo tema nell'arte, anche se potremmo citare con qualche approssimativa immediatezza lo splendore e la torbidezza di nomi come Bonnard, Vuillard.

Luigi Stradella ha una bella intuizione nell'inverno che è la fine della lingua e del secolo nel languore affaticato di una luce come una peregrinazione senza meta. Si prenda solo ad esempio il Cortile d'inverno. Il cortile è un recinto feriale, anonimo; recinto della dimenticanza dove la vita non parte, non si allontana. Ma pure può diventare in pittura un puro tracciato di spazio e tempo: e qui il bianco invernale consuma una liturgia struggente del congedo.

 Stefano Crespi

 

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     Cinquantanni di palcoscenico     Claudio Rizzi

 

Cinquanta. E più intenso sarà defluito il tempo dietro le quinte. Il palcoscenico è un attimo evidente ma a sipario calato si consuma tutta la scelta di vita. Il percorso si fonde nell'esistenza, ne diviene senso interiore, ragione del passato e motivo di futuro. Come se il presente fosse attimo precario e transitorio di incerta appartenenza, vincolato comunque alla coerenza del divenire. Un filo logico dipanato dall'intimità di sentimento all'esteriorità delle azioni. E il linguaggio come sintesi degli elementi, fondamento nella domanda interiore e nell'affermazione all'esterno.

Esprimere per condividere, vivere per partecipare e confessare per essere. Cinquant'anni di dialogo in pubblico, nella consapevolezza, in ogni occasione, di porsi nuovamente in gioco, di affrontare ancora una volta esame e giudizio nonostante la frequente approssimazione dei giudicanti. Ma la determinazione al dialogo, la necessità di espressione sospinta da una radicata volontà alla conoscenza, di sé, del mondo delle cose attorno, hanno sostenuto i passi del lungo percorso, passi mai ripetuti ma sempre rinnovati. Lunghi meditati giorni di lavoro consunti nel rigore autocritico prima di svelare il sipario e incontrare il pubblico. Perché se casuale può essere l'attimo della percezione, altrettanto non accade nella sedimentata regola della pittura, nel contrapporsi di equilibri e ritmi, nella misura come metrica. Luigi Stradella non ha raccontato mai nulla della realtà oggettiva, eccezione fatta per i primi anni di cimento e maturazione. Ha indagato il mondo e l'uomo, i meandri dell'anima e i risvolti della società. Ha lancinato se stesso come radiografia di un microcosmo. Senza affermarlo, senza negarlo, in quel suo silenzioso stupore di eterna scoperta, senza nessuna e nemmeno lontana presunzione di protagonismo, si è calato nei panni dello sperimentatore e dell'oggetto di esperimento, consapevole nell'agire e attonito nel patire.

La sua natura poetica, tesa a un linguaggio di traduzione evocativa ben più ampia e acuta della singola descrizione della cosa, realtà o emozione che sia, ha indotto un mondo d'immagini rarefatte e dinamiche, come sono i collegamenti rapidi e profondi tra temi diversi dell'esistenza e del ragionare. L'immagine ha destato la percezione e ha determinato la suggestione sino ad alimentare un universo intessuto di logica ma connesso su basi soggettive di assoluta libertà e autonomo alfabeto.  La differenza viene frequentemente equivocata in anarchia e la raffinatezza, di espressione o pensiero, in isolamento.

Così è toccato anche a Stradella, reo di non commettere complicità gradite al sistema e di non sottomettersi a più diffuse convenzioni. Il palcoscenico, in tutti questi lunghi anni, ha istituito intenso colloquio con la critica, ha attratto il pubblico convenuto poi nell'applauso e ha visto i mercanti lasciare la sala con le formalità di circostanza. Ma i mercanti sono mercanti, guidati da parametri rigidi e pratici. Tuttavia Stradella, mosso da quella forza che consiste nella scelta di vita, nella consapevolezza della ragione esistenziale, non ha sacrificato il passo del suo cammino e non ha smarrito la direzione.  Brani di incessante continuità per dipingere la propria autobiografia, disseminata nelle tele, negli istanti di passione, nelle tensioni di colore e negli impeti alterni di poesia.

Compreso da letterati e poeti per affinità e immediata empatia, Stradella ha mantenuto la genuinità dì rapporto interiore con la pittura, rispettandone tutti i criteri formali di rigore e tradizione ma affidandole anche intimo valore di confessione. Ne deriva un diario esistenziale, un pentagramma emotivo che palesa giorni e momenti, condizione e contrasti. Alla tavolozza, al gesto, ai titoli, ha delegato lo specchio dell'anima senza falso pudore e senza reticenza nel mostrarsi dal vero.  Autobiografia di dialogo, non monologo, sempre la ricerca appassionata dell'interlocutore, la parola mite per forzare la solitudine che necessariamente cinge la sfera intellettuale.

Passione, allora, anche in accezione etimologica, così come palcoscenico allude alla rappresentazione teatrale dunque, nella radice, al drammatico. Si motivano così, a pieno diritto, toni e rigore di talune sue opere, nella coerenza di ragioni e nella sequenza di rapporti.  La stessa esistenza, condotta sulla tela, ovvero sul palcoscenico, diviene dramma se non altro in quanto rappresentazione e tanto più, poi, nella ricerca e nell'approfondimento delle verità.

Banalmente, come avviene nei giudizi incompetenti e superficiali, l'hanno definito artista drammatico intendendo un'accezione denigratoria. Si tratta invece di un punto di merito, di un riferimento importante nel panorama dell'attualità, di un cardine solido per non disperdere la sobrietà dell'arte. Stradella crede nella pittura come nel valore della scelta di vita. Crede nelle radici e nelle ragioni interiori. Nell'anima che dialoga con le cose e allora la interroga e la denuda.Vive ancora l'emozione, come prima, come sempre, la comunica, la confessa, concede e chiede che appartenga anche ad altri. Per condividerla nella confidenza di dialogo e insieme dipingere la suggestione che è respiro interiore oltre la realtà.

Porta in scena tutto questo.

Attore di lungo corso, protagonista di una ribalta senza clamori. Ma sempre viva.

 

   Claudio Rizzi      

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