Alfredo  Zampolini:   Parole Nostre

Bibliografia Zampolini

 

 

 

 

ABBREVIAZIONI NEL TESTO


agg    aggettivo
agg. num.     aggettivo numerale
arc.     arcaismo
avv.    avverbio
avv. più pron.    avverbio più pronome
cong.    congiunzione
en.    particella negativa
inter. i   nteriezione o esclamazione
pron.    pronome
pron.    ind. pronome indefinito
pron. pers.    pronome personale
s. f.     sostantivo femminile
s. f. pl.     sostantivo femminile plurale
s. m.         sostantivo maschile
s. m. pi.    sostantivo maschile plurale
V.         vedi
vb.        verbo
 

 

 

PREFAZIONE

Questo potrebbe essere il primo vocabolario comparato del dialetto di Urbino città e dintorni, ma nessuno si aspetti di trovarvi tutte le parole conosciute, cosa pressoché impossibile in ogni caso. I lettori saranno i primi ad accorgersi dell'assenza di qualche vocabolo e a farlo notare all'autore.

Ho dovuto dunque fare una scelta. Ho eliminato tante parole comuni che terminano in lai come acqua, pasta, pianta, busta ecc. perché si scrivono come in italiano conservando lo stesso significato. Ho scartato anche parole comuni terminanti in consonante perché molto somiglianti alle corrispettive italiane, come per (pero), mei (melo), fucil (fucile), ignorant (ignorante). Tuttavia i vocaboli raccolti dovrebbero essere circa 800 (ma non li ho contati). I vocaboli provengono da due grossi miei quaderni dove ho annotato le parole che ho ritenuto più importanti a partire dall'anno 1980 per circa 10 anni. Per una buona guida nel lavoro mi sono servito di altri due vocabolari, il primo di mons. Agostino Aurati "Vocabolario dialettale del contado urbinate", curato impeccabilmente dal prof. Sanzio Balducci e pubblicato dall'Accademia Raffaello di Urbino nell'anno 1983; l'altro "Da pai in frasch-Inventario del dialetto urbinate" che si è avvalso della collaborazione degli alunni della Sezione di Arte della Stampa dell'Istituto statale d'arte di Urbino, con la guida del prof. Alfio Bostrenghi, nell'anno 1984.

E veniamo al mio lavoro. Come già detto, il mio è un vocabolario comparato del dialetto di Urbino e immediati dintorni con la lingua italiana. Non potevo fare altrimenti poiché il dialetto che conosco è quello di Urbino città, che mi ha accompagnato dai primi anni di vita. É noto che il dialetto della città ha, tra i tanti altri del vasto territorio del Comune, una connotazione particolare, cioè di essere il più vicino alla lingua italiana. Questo vuol dire, come afferma il prof. Sanzio Balducci, che l'italianizzazione del dialetto in città è più accentuata, non solo rispetto ai paesi e frazioni del Comune, ma anche rispetto ad altre città vicine della nostra provincia. E tutto ciò sembra dipendere, in modo quasi esclusivo, dalla presenza dell'Università e delle tante altre scuole secondarie superiori, con migliaia tra professori e studenti.

Il vocabolario presenta due novità: la prima consiste nel collegamento fra il lessico e le tradizioni che fanno parte della storia della città negli ultimi ottanta anni, collegamento stabilito ed evidenziato principalmente attraverso una frase tipica posta a titolo delle sezioni corrispondenti alle singole lettere dell'alfabeto (per esempio entrè a bughetta come titolo della sezione relativa alla lettera b).

La seconda novità consiste nell'evidenziare i vocaboli oggi decaduti o scomparsi attraverso la corrispondente indicazione "arc." = "arcaismo". Va considerato tuttavia che la scomparsa di un vocabolo non può essere considerata mai definitiva, in quanto esso riaffiora spesso nell'uso di singoli individui o di intere famiglie.

A proposito del nesso che ho stabilito fra le parole e gli usi e le abitudini di un tempo, esso si è fatto via via più intenso e pressante nella seconda parte del vocabolario, giù giù fino alla fine dell'elenco. Come dire che la storia della mia città mi ha preso la mano, dai giochi dei ragazzi a quelli degli adulti, dai mestieri di un tempo a qualche piatto caratteristico della cucina nostrana e così via. Questo fatto mi ha reso contento. I vocabolari rimangono spesso freddi ed aridi, mentre questo mio libro al quale ho dato il titolo di "Parole nostre" mi sembra avere un po' di quella freschezza che rende più stimolante la lettura. Inoltre mi sembra che un libro che riporta e traduce il linguaggio di una città debba necessariamente includere in qualche modo la vita individuale e sociale dei suoi abitanti ed illustrare quindi, nel nostro caso, come si viveva e si operava in Urbino nel secolo appena trascorso. Anche qui dunque, nell'ambito del dialetto, bisogna sostare per capire meglio i nostri padri e noi stessi, che in quel secolo abbiamo le radici.

Non poteva infine mancare un rispettoso omaggio ai grandi personaggi urbinati (il nostro papa, il nostro duca, il grande Raffaello) richiamati alla memoria della nostra comunità con appellativi familiari.

Alfredo Zampolini

 

A

Dai n'arciaplata

 

àbis

(arc.)

s.m.

Lapis o matita

abocat

agg.

Abboccato, che dà buongusto in bocca. Si dice del vino quando è gradevole o dolce.

acinin

s.m.

Acinino. Piccolo frutto come un chicco di grano o un chicco d'uva.

acsé

avv.

Così. Fa acsé (o d'acsé).

aquatic

s.m.

Brodo. Si dice di un brodo o di un sugo allungato.

alappa

vb.

Voce del verbo allegarc. Si dice di frutta, come sorbe o
cachi ancora immaturi, che danno fastidio ai denti.

ansc

(arc.)

s.m.

Respiro affannoso, come quello dell'uomo morente. Ha fatt i ultim anse.

ara

s.f.

Aia. Spianata davanti le case di campagna dove si trebbiava il grano.

arabit

agg.

Uomo arrabbiato, infuriato. Smodato nel perseguire un suo progetto.

arbaltichè

vb.

Rovesciarc. Sa chel birucin è fat un gran arbalticón.

arcapsè

vb.

Raccapezzare, mettere insieme. Chel burdel è trop pcin, en arcapessa nient.

arciaplè

vb.

Aggiustare, accomodare alla meglio. Ma eie searp dai n 'areiaplata.

arcòia

vb.

Raccogliere.

arcuncè

vb.

Rammendarc.

(Segue altra due cartella)

B

Entrè a bughetta

 

bacilè

vb.

Vacillarc. Si usa al negativo ma in senso figurato, essere incerto, titubante. /' en badi tant per dat un schiafon.

badurlin

s.m.

Giocattolo o altro oggetto con il quale un bambino si trastulla. V. ginglin.

bagajón

agg.

Chiacchierone in senso dispregiativo per un adulto, scherzoso per un piccolo.

bagiana

s.f.

Un piatto nostrano formato da fave fresche e bietole.

bagiot

agg.

Baccello maturo ma tenero. I fagioli bagiotti sono preferiti in cucina agli altri fagioli. In senso figurato bagiot indica una persona non più giovane.

bagnaròla

s.f.

Mastello dove i bambini facevano il bagno.

baiòcch

s.m.

Antica moneta in uso negli Stati pontifici e quindi anche in Urbino. Al plurale significa avere molti soldi. Quel c 'ha i baiòcch.

balusch

agg.

Chi ha il difetto dello strabismo.

bandés

agg.

Largo, abbondante in riferimento agli abiti, cappello e coperta.

barbacan

(arc.)

s.m.

Asse di legno infisso sul muro per appendere indumenti come giacche e cappelli.

barburana

s.f.

Vento freddo del nord che porta neve e ghiaccio.

barbuss

s.m.

Mento.

barca

s.f.

1 Imbarcazione. 2 Ammasso sull'aia di covoni di grano per la trebbiatura.

(Seguono altre quattro cartelle)

C

Cantaròla cantaròla
prend el libre e va a la scòla

 

cacianas

agg.

Ficcanaso. Se un gran cacianas e non se tiena gnent de quel ch 'se dic.

caf

agg.

Dispari, sparigliato. Si dice di una coppia di oggetti o di animali dei quali uno è mancante. Pcion caf. Scarpa caffa.

cagnaròl

s.m.

Attaccabrighe.

caldaccia

s.f.

Afa.

caldés

agg.

Luogo esposto al sole. Si diceva che la legna del caldés non facesse buona brace, mentre quella del verni producesse un fuoco ardente.

cals

s.f.pi.

Calzoni. Il popolino chiamava i calzoni che in dialetto sono al femminile, le cals. L'urbinate diceva di sé scherzando: Cach tle cals e po' le lav.

campè

vb.

Campare, vivere. Camperò cent'an! Tira a campè!

canabuc

s.m.

Gambo secco del granturco privato della pannocchia.

canapè

s.m.

Divanetto imbottito.

canic

s.m.pl.

Canne. Fasci di canne sottili ingessate che si usavano per fare i soffitti delle stanze.

cànip

s.m.

Canapo. Grossa corda per sostenere carichi pesanti. Una corda ancora più robusta era el capson. In città il cordaio
lavorava al Mercatale.

cantaròla

s.f.

Coccinella. I bambini di un tempo prendevano la cantaròla e la rilanciavano in aria cantando: Cantaròla cantaròla prend el libre è va a la scòla.

(Seguono altre sei cartelle)

D

La pscicca del distrut

 

 

dafne

s.m.

Piantina erbacea commestibile che cresce nei boschi.

dan

s.m.

Danno. Il sostantivo viene anche usato nel significato di "perdere". La bot fa dan.

dastmòd
o asmòd

avv.

In questo modo. La cicerchiata va fatta dastmòd.

di'

vb.

Dire. Cosa c 'è da di '?

dians

(arc.)

avv.

Prima. Ma quel ch' cerchi l'ho vist dians.

dindi

s.m.pl.

Nella parlata dei bambini i dindi erano i soldi. Marna, i
de i dindi per el glat?

dindola
o castagna dindola

s.f.
 

Frutto del castagno d'India o ippocastano, albero dalle grosse chiome. Il Monte e il Pincio, in Urbino, hanno secolari ippocastani.

dingola

s.f.

Altalena con una corda legata a due alberi (dal verbo dindolare).

discorra

vb.

Parlare alla lunga, trovare modo di ridire. Hè fnit de discorra tant?

disgustós

agg.

Antipatico.

dispèss

avv.

Frequentemente, spesso.

distrut

s.m.

Strutto. La pscicca del distrut (la vescica del maiale contenente lo strutto).

dlà

avv.

Di là.

dòrmia

s.f.

Anestesia. Per l'operasión el dutór i ha dat la dòrmia.

 

(Seguono altra  cartella)

E

Essa còt de clia

 

ècch

avv.

Ecco.

èccle

avv. più pron.

Eccolo.

èccme

avv. più pron.

Eccomi.

embè

avv.

Purtroppo. Embè, en c 'è da fe piò gnent.

embè

cong.

Ebbene. Embè, se po sape sa vo '?

en

particella neg.

Non. En me piac!

enn

vb.

Sono. Voce del verbo essere. Quant enn chi burdei!

erbétta

s.f.

Prezzemolo.

èssa

vb.

Verbo essere, infinito presente. Essa còt de clia.

 

F

So' d'Urbin e fac el brav

 

fagòt

s.m.

Fagotto. Involto, pacco di roba fatto alla meglio. In senso figurato persona sciocca. El vedi quant se fagòt!

faicó

nome proprio

Grido di incitamento del contadino al bue di destra, Faicó, che fa coppia con l'altro chiamato Namuré. Faicó e Namuré sono nomi affettivi che il contadino, per tradizione, dava ai due animali.

falcnara

s.f.

Falce fienaia, attrezzo dalla lunga lama che serviva per le fienagioni.

farabulan

s.m.

Farabolone. Persona inaffidabile che ha il vizio di imbrogliarc.

fascina

s.f.

Fastello di legna da ardere.

fatighè

vb.

Lavorare con fatica. Chi è svelt a magné, è svelt a fatighè!

fatoransa

s.f.

Vecchia professione al tempo della mezzadria. Il fattore dirigeva e controllava il lavoro del mezzadro per conto del padrone.

fatura

s.f.

Malocchio.

fatut

s.m.

Uomo esperto ma smargiasso.

Fedrich

nome proprio.

Federico. E un nome molto conosciuto dagli urbinati perché ricorda loro Federico da Montefeltro (1422-82), duca di Urbino. Grande condottiero e insieme finissimo umanista, costruì in Urbino, per sua residenza, un grande palazzo arricchendolo di grandi opere architettoniche, di
pregevoli pitture e bassorilievi, di magnifici intarsi e di una biblioteca tra le più preziose d'Italia. Si dice che durante il suo regno (1944-82) nessun povero della città andasse per elemosina.

    (Seguono altre due cartelle)

(Continua fino alla z )

Alfredo  Zampolini:   Parole Nostre

Bibliografia Zampolini