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LE MIE MEMORIE    di EGIDIO CONTI
(Estratto)

 

LA FAMIGLIA

 Premessa

 Desidero da gran tempo descrivere le memorie della mia vita, ed oggi 1° Aprile 1895 mi metto all'opera; ma, beninteso, scrivo solamente per me, non per il pubblico, non per gli amici e nemmeno per la famiglia.

Ciò premetto per giustificarmi innanzi alla mia coscienza. Se alcuno mi chiedesse: perché scrivere? Risponderei: Perché io sono importante a me stesso più che a me non sia Napoleone e Dante o Manzoni, e come mi piace di leggere le memorie di questi grandi, così mi piace di leggere anche le cose mie, sebbene io sia piccolissimo, delle quali potrei dimenticarmi e da cui posso trarre ammaestramento e motivo di soddisfazione o di rimorso. Come uno ordina gli affari nei registri di famiglia, non potrà ordinare in qualche modo i ricordi de' fatti suoi, se non altro, per innocente diletto?

Così iniziata l'opera mia, sarà naturalmente sincera, come non lo sono quasi mai le opere destinate alla pubblicazione; e scriverò correnti calamo senza badare più che tanto ai precetti di lingua, di stile e a cento bazzecole, di cui bisogna tener conto quando si scrive per gli altri.

 

I miei antenati

Nessuno dei miei antenati fu nobile, per quanto si sappia; tuttavia nessuno a nostra memoria, commise azioni tali, da lasciare un nome disonorato fra gli uomini.

Alcuni dei miei antenati furono d'ingegno non comune. Dico non comune in relazione all'ingegno comune dei montanari e dei popolani.

Giambattista Corrieri da Fossombrone, zio paterno di mia nonna Antonia, compose "El testamènt de Cechin", l'unica poesia dialettale che viva da noi, specialmente in campagna; Paolin (Paolo) Corrieri, mio bisnonno, fu anch'egli spirito bizzarro e arguto, di cui si raccontano ancora i motti e le facezie; fra l'altre è ricordata quella sua risposta agli amici, che andarono a fargli le condoglianze per la morte dell'asino: "Santina (disse rivolto alla moglie) cavèt i fagioj ch'i parent d'l'èsne èn nuti tutti!" Sono cinquant' anni che mi è morta la povera Rosina; adesso vado a trovarla; così sarà come se in questo mondo non ci fossi mai stato). A Fossombrone c'era una via segnata col nome di Corrieri, ma la rivoluzione che ha dato di bianco a tante cose, ha fatto scomparire anche quella povera pietra.

Giuseppe Cini bisnonno di mio padre, noto ai suoi tempi per la sua colossale persona, fu Alfiere di Fenigli e compose la Pasquella, che tuttora con varianti, aggiunte e storpiature - si canta in questi paesi tuttora con varianti, aggiunte e storpiature - si canta in questi paesi per lieto costume il giorno dell'Epifania.Gaspare Santi (detto Mastro Gaspare) da Fano, mio bisnonno, fu capo Muratore, stimato assai dalle nostre parti; egli aveva ottanf anni quando costruì il campanile del Pelingo e conservava tutti i denti; morì a novantasei anni e le sue ultime parole furono queste: "E' cinquantann ch'm'è morì la pora Rosina; adess la vaggh a trova, è lo stess che ten st mona en ce sia me' stattl"  (Sono cinquant' anni che mi è morta la povera Rosina; adesso vado a trovarla; così sarà come se in questo mondo non ci fossi mai stato).

Tanta era la serenità di quel vecchio, vissuto così lungamente in pace con tutti! (Rosina era la sua prima moglie, sorella dell'Arciprete Albini).Questi sono i miei antenati di cui rimanga qualche precisa memoria; i più distinti, diremo così, della famiglia. Quanto a' miei nonni, li ho conosciuti tutti e quattro e ne parlerò probabilmente per incidenza, descrivendo gli anni della mia fanciullezza.

 

Mio Padre

Molte persone hanno vaste relazioni sociali per i loro commerci, per le loro ricchezze, pei loro uffici; ma raro è quell'artiere, e più quell'artista, che per merito del suo lavoro riesce a farsi conoscere e ricercare oltre la cerchia del proprio comune.

Antonio Conti, mio padre, detto comunemente il Pittore di Acqualagna, è ben noto per le opere sue, fra cui la statua della Madonna nella Chiesa della Torre in Urbino, i grandi quadri nella Chiesa maggiore di Maceratafeltria, la statua di S.Antonio nella Chiesa di S. Giovanni Battista in Rimini e lavori conservati e tenuti in certo pregio a Urbino, Rimini, Perugia e in molti paesi e campagne, specialmente del Montefeltro.

Questo artista, che, se non grande, fu certamente raro, vivendo in circostanze sfavorevoli alle manifestazioni dell'ingegno, merita un breve cenno biografico, per memoria degli amici, e per esempio dei giovani a cui giova ripetere e dimostrare che volere è potere.

Antonio Conti, mio padre, nacque in Acqualagna il 20 Maggio 1827 da Omobono e da Santi Lucia, due vecchietti, come io li ho conosciuti, un po' duri di testa, ma buoni e d'accordo. Era gente povera e

Questo artista, che, se non grande, fu certamente raro, vivendo in circostanze sfavorevoli alle manifestazioni dell'ingegno, merita un breve cenno biografico, per memoria degli amici, e per esempio dei giovani a cui giova ripetere e dimostrare che volere è potere. 

Antonio Conti, mio padre, nacque in Acqualagna il 20 Maggio 1827 da Omobono e da Santi Lucia, due vecchietti, come io li ho conosciuti, un po' duri di testa, ma buoni e d'accordo. Era gente povera e mio padre, da fanciullo, andava scalzo, per la legna, per la spiga, a raccogliere ghianda, come i suoi compagni poveri del paese; ma, fin dai primi anni, dimostrava una certa svogliatezza e una particolare disposizione per il disegno, tanto che i maggiorenti del Comune cominciarono a proteggerlo e a volergli bene. Si vede che egli non era destinato a fare il sarto e il barbiere come suo padre avrebbe voluto.

Un giorno in casa Mazzi fu riferito al monsignor Arcivescovo di questo fanciullo e il Signor Girolamo Mazzi volle farlo presentare; la sera, il povero Omobono l'accompagnò e su per le scale gli dette in furia e in fretta le ultime istruzioni. Ricordati di non dire "Sì signore", "No signore"", ma di rispondere "Eccellenza sì, Eccellenza no"... E il fanciullo venne introdotto. Alla prima domanda che gli fece l'Arcivescovo, rispose d'un fiato: "Eccellenza sì, eccellenza no!"... Figuratevi la sonora risata fra gli illustri ascoltatori e che confusione del fanciullo, il quale non fu più buono di dire una parola e fu amorevolmente licenziato. Dice il proverbio che chi ben si presenta, ben si raccomanda; era stata quella veramente una bella presentazione, che poteva giovare al piccolo Antonio!

Il Signor Girolamo non l'abbandonò per questo; gli fece avere un sussidio di venti scudi all'anno dal Comune per due anni, perché studiasse musica a Pesaro e diventasse organista della parrocchia, con patto che in quei due anni il Conti padre dovesse far venire a sue spese un organista forestiero per le feste solenni e che dopo i due anni, il Conti figlio fosse dichiarato idoneo al posto di organista della parrocchia di Acqualagna, pena la rivalsa dei danni e delle spese, avendo il Comune presa ipoteca sopra la casa di abitazione de' Conti per garanzia ecc.

Passarono i due anni, nei quali mio padre studiò disegno più che musica e fece il ritratto di Walter Scott, che ancora si conserva, a tratti di matita ed è lavoro fine e delicato; dopo tornò in Acqualagna e fu esaminato dall'illustre Vecchiotti di Urbino; l'esame andò bene e mio padre fu organista del suo paese. Egli non aveva mai visto la tavolozza, tuttavia con le terre dei campi e delle cave, coi pennelli fatti di sua mano, dipinse alcuni quadri passabili. Ammogliatosi a 27 anni, mio padre con poche centinaia di lire che ebbe in dote si recò a Roma a studiarvi pittura e ivi rimase per undici mesi, fin che gli durò il danaro, poi tornò all'Acqualagna e si mise a fare il pittore e lo statuario, con quell'amore dell'arte che pochi sentono com'egli sentiva, e ben presto si fece un discreto nome e l'opera sua fu richiesta premurosamente. Egli antepone così l'arte al tornaconto, che talvolta guasta lavori finiti, che sostano mesi e mesi di tempo e che sono di piena soddisfazione dei committenti, per ricominciarli di nuovo e farli meglio.

Sobrio, un po' trascurato nel vestire, non si lascia ingannare dalle apparenze; predilige la compagnia della gente povera, sia pur cenciosa, ma che abbia un po' di cuore e d'ingegno, a quella della gente ben vestita senza sentimento e senza intelletto, piena di presunzione.

Modesto, semplice, allegro, mio padre non conobbe mai quella ciarlataneria e tutto quel guazzabuglio dell'artifizio per cui tanti salgono come la spuma sulle onde. Senza scuola egli imparò a scrivere da sè correttamente e con certa eleganza. Egli è robusto, amante del vino, arguto nel conversare e piacevole.

Mio padre non è, come si suol dire, un uomo grande; ma è uno di quelli, che in un piccolo paese di montagna, nato da gente povera, si incontrano ad intervalli di secoli.

Fra tanti aneddoti della sua vita due meritano, credo, di essere descritti:

Dimorò in Acqualagna per alcuni anni un giovane franco e vivace, un tal Noreri, conoscitore di musica, il quale si affezionò a mio padre adolescente e fu ricambiato da lui di pari affezione. Questo giovane era promesso sposo a una del paese e la notte antecedente al giorno che doveva recarsi in Senigallia per le spese di nozze, trovandosi corto a quattrini[5], rubò i gioielli di una famiglia che l'ospitava. Fu naturalmente scoperto e arrestato. Passarono più di tre anni e una sera, sul tardi, mentre in casa di mio padre stavan cenando, odon picchiare pian piano alla porta: "Chi è? Avanti!" Entrò il Noreri magro, avvilito, vergognoso, che tornava dal carcere; egli aveva fame e si ristorò a quel povero desco rispondendo malinconicamente con parole di scusa alle cortesie che gli fecero. Volle ripartire la sera stessa di nascosto raccomandandosi che nessuno sapesse (di) quel suo ritorno.

Passarono più di vent' anni, forse trenta, nè del Noreri si era saputo altro, e quasi tutti nel paese l'avean dimenticato, siccome il tempo e le vicende distruggon tante memorie, quando mio padre, per certi suoi affari, andò a Gubbio, e una sera, stando nella tribuna dell'organo della chiesa di S. Ubaldo, notando l'abilità del vecchio organista, che ivi accompagnava la funzione, cercò il momento di attaccar discorso con quel vecchio. Di parola in parola mio padre disse "L'organo che era prima in questa chiesa, è nella Chiesa del SS. Sacramento di Acqualagna". A questo nome il vecchio ebbe un lieve fremito e rimase pensoso, poi domandò :"Chi è lei?". "Io sono Antonio Conti..." "..e io sono Noreri" esclamò il vecchio. Si gettarono l'uno nelle braccia dell'altro piangendo come fanciulli.

II° 

Verso il 1870, mio padre andò nel Convento dei Zoccolanti"' a Cagli per copiarvi una Immacolata; il convento era disabitato da alcun tempo dopo la soppressione, e dipendeva dal demanio; mio padre lavorava senza mostrarsi, perchè non aveva un permesso regolare che l'autorizzasse a penetrare nel chiuso e vasto recinto; mangiava lì dentro servendosi di un fornello di latta e teneva con sè il fratello Domenico (zio Menchino) per aiuto. I frati avevano però lasciato in convento due gatti, i quali, quasi imprigionati tra quelle altissime mura e avendo probabilmente divorato sorci e briciole fino all'ultimo, si morivan di fame, e tanto erano magri e spossati che a pena potevano trascinarsi. I nuovi ospiti, com'è naturale, ammisero alla lor parca mensa que' due poveri gatti, uno de' quali (forse opportunista) si addomesticò, diventò mansueto; ma l'altro, sdegnoso forse che piedi profani calcassero quel sacro terreno, non volle accostarsi mai, per quanto il chiamassero; mangiava però gli avanzi lasciati apposta per lui, quando la notte que' nuovi ospiti dormivano fuori del convento.

A ogni modo i due gatti si riebbero e ingrassarono.

Finito il lavoro, mio padre richiuse il convento e se n'andò portando via il gatto domestico, che affidò alle cure della mia zia Santina, e lasciando dentro il gatto caparbio. Quello domestico stette alcun tempo in casa di mia zia, nella città di Cagli, come in casa propria; un bel giorno scomparve, nessuno poteva ritrovarlo, ma, tre o quattro giorni dopo, eccolo di nuovo in quella casa, entrava miagolando alla sua maniera ed era seguito dal suo compagno rustico, quello del convento, il quale, poverino, a stento poteva reggersi, e tutto umiliato pareva chiedesse soccorso. Le due povere bestie, legate da un arcano sentimento di affetto, rimasero insieme per molti giorni in quella casa e ripresero le forze, poi scomparvero insieme, nè alcuno seppe mai dove il destino le portasse.

Come fece il gatto domestico a penetrare nel convento chiuso da altissime mura? Come fece a persuadere il suo rustico compagno per condurlo seco? Perchè partirono insieme dalla casa che li ospitava e li nutriva?

Misteri inesplorati della natura!

 

Mia madre

Poco o nulla ho da dire di mia madre; a tredici anni ella si innamorò di mio padre ventenne, la prima volta che lo vide, nel momento di offrirgli da bere; un giorno che egli capitò con diversi amici a casa sua. Da quel giorno mamma fu sempre affezionata a babbo e fu poi sempre affezionatissima a me, unico suo figlio, e condusse la casa da buona massaia. Del rimanente non ha avuto coltura, nè ha mai avuto elevatezza di pensiero che la distinguesse fra l'altre donne. Ecco rutto.

 

I miei studi

Siccome questo è un argomento che tocca più degli altri l'amor proprio e in cui non posso essere giudice, perchè parlando di studi bisogna pur dire in qualche modo il profitto che si è fatto in essi, così mi affretto a liberarmene presto, facendo un po' di cronaca nuda e cruda. Frequentai le scuole elementari e fui quasi sempre il primo della classe; a sedici anni entrai nel convitto normale di Urbino e nell'esame di ammissione ebbi i maggiori punti fra tredici concorrenti, nei successivi esami di promozione fui annoverato costantemente fra i primi; ebbi la patente di maestro normale superiore, poi, dopo molti anni, per amore delle circostanze, mi occorse ed ebbi quella di segretario comunale, avendo data appena un'occhiata alle leggi e ai regolamenti, che non sono la mia simpatia.

Studiai appena i primi elementi di lingua francese; di latino so quel tanto che mi serve per comprendere e tradurre i più facili autori, con la grammatica e il vocabolario alla mano. 

La mia passione fu sempre lo studio della letteratura italiana. Stampai una grammatichetta, che ebbe una certa fortuna; nella mia prima giovinezza pubblicai un opuscolo (Arte e Natura) con prefazione del Prof. Bencivenni, il quale opuscolo, sebbene lodato da una ventina di giornali (certo per deferenza al Bencivenni e non per merito mio), vorrei che non esistesse, benché possa far conto che non esista. Feci dei versi, e di questi ne vado un po' orgoglioso fra me e me; furono pubblicati in parte da buoni giornali letterari, come l'Illustrazione Popolare, La Tribuna Illustrata, ec, poi li raccolsi in due libriccini. Voci del cuore, Venezia 1894 e Furio e Catria, Cagli 1895 - ne ebbi lode spontanea da alcuni fra i migliori critici e letterati d'Italia, uno de' quali cortesissimo, il Panzacchi. Tuttavia credo che in questa fine di secolo la poesia non possa avere fortuna, fosse di chiunque. Le arti, penso, rifioriscano a lunghi intervalli, per naturale e felice cambiamento del senso estetico della vita sociale, non solo per volontà e forza dell'individuo.

Dopo le produzioni sublimi del principio del nostro secolo che rimane ora? L'arte nova? Ma il nuovo non è maturo, nè sappiamo di che genere sia; intanto il campo è mietuto e la terra è stanca. Del rimanente è bene amare le arti in qualunque tempo, se non altro per la compagnia che fanno, perchè dicono quello che mille persone non potrebbero dire.

L'opera vasta, che attrasse le mie forze giovanili, è stata il Vocabolario Dialettale Metaurense, compiuto in dieci anni di pazienti ricerche e di continue fatiche; basti dire che per due anni di seguito vi ho lavorato non meno di otto ore al giorno, che erano un supplemento alle mie ore d'ufficio. E' uno studio comparativo che non solo richiama quasi per intero il Vocabolario Giorgini-Broglio e il Rigutini-Fanfani per l'uso fiorentino e toscano, ma richiama eziandio la lingua dei classici e gran parte di quel patrimonio che ora non è più lingua viva italiana, ma che pure da noi si mantiene e si riconosce nel dialetto. E' un'opera in sei grossi volumi manoscritti, e mi costa parecchie centinaia di lire, solamente perchè per essa ho dovuto comperar molti libri, non avendo una biblioteca vicina che mi aiutasse. Per quest'opera ho rinunziato ad altre fatiche remunerative e più lievi, per essa ho perduto l'occasione di progredire legalmente per via di esami, per essa abbandonai talvolta i ritrovi, le avventure, i piaceri della giovinezza.

Eppure fui sempre povero e il mio impiego di maestro elementare non mi ha mai fruttato più di due lire al giorno! E' da savio, che uno nei miei panni faccia ciò che ho fatto io? E non ho mai chiesto alcun sussidio e per conseguenza non ho mai avuto un centesimo fuori del mio salario.... Grazie, padre mio e madre mia che mi avete imparato a vivere poveramente! Quante persone conosco, che appena avuta una piccola patente danno un calcio ai libri e si esercitano nell'arte della petulanza, in cui riescono sempre, e salgono come la spuma sulle onde. Dico il vero, non ebbi mai invidia di tali persone.

I primi due volumi del mio Vocabolario furono spediti al Ministero della P.I., in ordine al concorso bandito dal R. Decreto del 6 Marzo 1890; non potei spedire gli altri volumi, perchè, colpito da gravi sventure domestiche non ebbi il tempo e la forza di ricopiarli, così com'erano pieni di cancellature e di correzioni, non mi parevan degni di essere presentati a una commissione di dotti. Questa Commissione giudicatrice del concorso, con la relazione pubblicata nel Bollettino Ufficiale, del 21 Maggio 1895, fu severissima nel suo giudizio e pochi de' 33 concorrenti ebbero parole di lode; tuttavia i miei due volumi, che non rappresentavano un'opera completa e a ragione potevano esser messi in disparte, furono presi in qualche considerazione e di essi a pag. 23 del Bollettino suddetto si legge: "La Commissione fu dolente di dover escludere dal concorso, perchè l'autore non ne poté presentare più delle prime quattro lettere, questo Vocabolario metaurense che nel raccogliere largamente il dialetto d'una regione delle meno esplorate, cade bensì in alcuni dei difetti generalmente avvertiti, ma pur potrebbe facilmente emendarsi."

Dieci anni di lavoro in cui è compendiata la giovinezza di un uomo hanno fruttato queste parole, non altro; e quasi quasi tal frutto è una degnazione. I difetti generalmente avvertiti si riferiscono alla materia sovrabbondante, alla mole eccessiva come detto più volte nella relazione, ma ciò i concorrenti non potevano indovinare, perchè nelle norme generali per la compilazione de' Vocabolari Dialettali, unite al R.Decreto 6 Marzo 1890, era detto: "La Commissione verificherà se il vocabolario dialettale abbia almeno registrato tutto ciò che il dialetto trova di corrispondente nell'uso fiorentino e toscano contenuti ne' vocabolari Giorgini-Broglio e Rigutini-Fanfani."

Il vocabolario doveva essere Dialetto-Italiano e Italiano-Dialetto, preceduto da un trattatello di pronuncia e ortografia, ecc.

Una piccola bagattella, come ben si vede! Nelle norme del concorso non c'era neppure un'allusione alla sovrabbondanza della materia, alla mole eccessiva.

Ma poco fa avevo detto di voler fare la cronaca nuda e cruda e ora m'accorgo di essermi lasciato vincere dall'argomento e di essermi dilungato un po' troppo dandomi una cert' aria d'importanza, che è, credo, contro il mio solito. Basta, oramai ho scritto, mi sono sbizzarrito, respiro lieramente.

 

La mia fanciullezza

Io nacqui l'ultima domenica di Carnevale del 1858, il 14 Febbraio in Acqualagna Via Corso, lato di Levante, nella casa che è ora proprietà di Stefani Attilio, e precisamente nella camera che guarda la via, al primo piano; mi pare di ricordarmi del tempo che* cominciavo a fare i primi passi, ricordo benissimo il tempo che mi recavo tutte le sera alla veglia dalla nonna Lucia, una vecchietta alta e asciutta, che mi raccontava le favole e la storia di Napoleone, ricordo anche il nonno Omobono, che mi dava il caffè, il turchetto come lo chiamavano, ricordo la maestra di noialtri bambini e il Signor Filippo Babuzzi, che mi dava le prime lezioncine e mi accarezzava e mi voleva bene, ricordo i trastulli, i piaceri, i pianti e tante piccole avventure, che son quasi comuni a tutti i bambini.

Due o tre casi per altro meritano di essere menzionati:

Una volta al Petriccio caddi in una pozza d'acqua e vi sarei annegato, se i fratelli Manzini non mi avessero tirato fuori; un'altra volta fui pure lì lì per affogare nel gorgo detto il "Rimbiro", dove si uniscono i due fiumi Candigliano e Burano; eravamo tanti fanciulli a fare il bagno e io, che allora non sapevo nuotare, mi avventurai nel gorgo, per non parere da meno degli altri. Mi salvò, se ben rammento, Cleto Galvani, fanciullo più grandicello di me.

Verso i sei o sette anni m'invase il pensiero della morte, ebbi come una fissazione, che mi durò del tempo e mi fece vivere mesto, più di quanto comportasse la mia età. Quanti misteri sono racchiusi nell'umano cervello!

A undici anni mi innamorai di una vaga fanciulla di nove anni. Io la vedevo ogni giorno e le parlavo e il cuore mi batteva forte, corrisposto nell'amore; per le strade, tra le siepi fiorite, c'incontravamo, e i nostri sentimenti avevano tutto l'ardore della giovinezza; poi ci tentava la gelosia, nell'alternarsi delle gioie e delle pene la mia natura si trasformava, spariva il fanciullo e compariva il giovine romantico. Le lettere, i capelli donati, i fiori... ahi me! "...l'immaginazione piega i suoi anni, e la trista verità che si libra sul mio scrittoio, volge in burlesco quello che un tempo era romantico" (Lord Byron Don Giovanni -canto IV).  "I mondi non potrebbero rendermi quei puri sentimenti sbanditi per sempre" (Lord Byron Don Giovanni - canto VI).

Ora quella mia fanciulla ha una nidiata di bambini, i quali cominceranno probabilmente a fare quello che facevamo noi.

25 Aprile 1895

 

La mia giovinezza (in Acqualagna).

Ho accennato a un amore nella mia adolescenza, che mi nacque improvvisamente, ratto s'apprese, "e l'alte fiamme in cui di subito arsi"   (Tasso) ho detto che trasformarono la mia natura; ma quell'amore, "come la paglia che presto arde et presto si estingue" (1) durò poco, due o tre anni al più, lentamente si spense, e di esso non mi rimase che la dolce rimembranza. Quello che mi fece palpitare lungamente e che può dirsi il mio primo e il vero amore, venne subito dopo e di esso conservo scritti i più minuti particolari in un libriccino di memorie, che fu compagno fedele della mia giovinezza. Quante date mi fanno ancora una gradita impressione!

Quanto negli anni

che sì ratto passar, viver novello!

 

Perchè l'uomo ha tanta cura di conservare le date? Forse per contendere un punto al tempo fuggitivo?

La fanciulla divina, come appariva agli occhi miei, vergin trilustre quando si prese il mio cuore, era

 

Leggiadra, che crea!io non in vermigli

gote più belle il verginal pudore"

Marchetti, Una notte di Dante all'Avellana.

 

1)  Osservazioni di Eleonora d'Este al Sonetto suddetto.