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III°  Concorso  2000
PARTE ANTOLOGICA

Tutti gli autori dialettali

 

RENZO  DE SCRILLI

"Dalla mia finestra"
Raccolta di poesie 1947 - 1956:

 

Introduzione di Carlo Bo

Risveglio

Mattutino

Lo spazzino

Dalla mia finestra

Orto di casa in inverno

Dal mio studiolo

Casa mia ... Madre mia

Sit del mi' Urbin

La Cesana

Loret

I pin !

S'arforma l'orchestra

Nella tesa

Lucciole

Pioggia

E nevica, nevica ancora

San Bernardin

Campanili d'Urbin

La Madonna dell'Uomo

Madonnine

Madonna mia, madre mia

Nel convent di S.Caterina

In morte di Maria Lucciarini

Notturno triste

 

Michele Gianotti:
Tradizione  verbale  nell'urbinate racconti  brevi   con cantilena

La pulc e 'l  p'docchj

El forasacchin e la pessulina

 

 

PREFAZIONE di CARLO  BO

 

 Ho conosciuto il dottor Renzo De Scrilli una mattina d'inverno, ero malato nella stanza numero sedici dell'albergo del signor Pierino in Urbino. Dico d'averlo conosciuto di persona soltanto allora, ma dopo molti anni che lo vedevo in piazza sull'angolo della farmacia, sotto i portici o di fronte, davanti al tabacchino.  In fondo bastava l'incontro per cogliere dalla sua fisionomia la gentilezza, il segno dell'altra figura più vera e nello stesso tempo così intimamente legata a quella del medico, la figura segreta del poeta. C'era nel suo modo di fare un certo piglio, un che di baldanza che non sfiorava mai l'eccesso ma tradiva soltanto una diversa partecipazione della vita, una forma più alta di conciliazione e di intelligenza.

Sempre in quella visita mi disse, al momento del congedo «Un giorno Le farò leggere i miei versi».  La promessa non fu mantenuta, a volte - ma senza peso, quasi di sfuggita - fu appena ripetuta.  Continuai per qualche anno a rivedere il medico al suo posto di colloquio, in piazza. Poi un giorno mi dissero che era molto ammalato.  Seppi così, dopo una mia assenza da Urbino, che se ne era andato. La conoscenza col poeta data, dunque, da poco ed è una conoscenza che per gran parte resta sul limite dell'ammirazione e un po' tocca il rimpianto.  Ci si rammarica sempre di non aver capito, di non aver fatto un segno di riconoscimento.  Ci sono passati vicino degli spiriti degni d'attenzione e non abbiamo fatto nulla per testimoniare la nostra partecipazione: il dottor De Scrilli rientra in questa grossa famiglia di poeti segreti, timidi.  Gente che non ha cercato né la piccola gloria né il rumore del momento ma ha coltivato il campo della loro piccola musa con un amore geloso, con un riserbo di cui riesce difficile calcolare il peso interiore, il valore spirituale.

Perché il dottor De Scrilli è diventato poeta? Che cosa c'è all'origine della sua ispirazione? Mi sembra che si debba cercare la prima chiave della sua voce nella costante e generosa frequentazione degli umili.  Evidentemente egli sapeva ricavare dalla professione, esercitata per tanti anni nel Ducato di Urbino, una conoscenza delle passioni umane che determinava nel suo spirito non stanchezza, non sfiducia ma, al contrario, pazienza, e ancora amore, partecipazione sincera. La sua poesia ha gli stessi confini del suo mestiere di medico condotto, la campagna, i monti, le stupende colline che disegnano uno dei paesaggi più palpitanti di poesia che l'Italia offre e come centro la sua Urbino, questa città che è diventata nel corso della sua vita una parte dell'anima, un luogo dello spirito. Se non ci fosse stato nel suo cuore questo disegno armonioso, questa capacità di cogliere l'essenza delle cose egli non sarebbe mai uscito fuori dei termini ambigui della poesia dialettale.  Ora il cammino fatto dal poeta De Scrilli va misurato proprio in questo senso, da una musa tutta particolare, quasi casalinga e umorale a una visione completa della vita, con le aspirazioni e le cadute, con un ritmo più ampio e profondo.  Naturalmente non sempre gli riusciva di « tenere » su un registro così alto ma il fatto che qualche volta abbia potuto mantenervisi con forza sta a dimostrare il lavoro, la pazienza del poeta.

La vita che De Scrilli evoca o assale nei suoi versi è priva di grossi avvenimenti, non porta tracce di storia grande.  Non restano le imprese né lo potrebbero perché sono anonime, restano però le passioni o, meglio ancora, il ciclo stesso della vita che macina e annulla passioni, sentimenti precisi.  Ed è proprio allora da questa fatale distruzione del tempo che si leva qualcosa di consistente, di eterno, un altro mondo a cui il poeta dà i colori delle stagioni, il sublime calendario urbinate e sopra tutto l'urto, la violenza delle sue domande.  Con ciò non si vuol dire che la sua poesia tocchi il dramma, dal momento che la distruzione è avvenuta in una specie di rassegnazione o, per essere più esatti, sul filo di domande imprecanti e di conoscenza della vita, del sangue, dei nostri limiti terreni.  In tal modo la .storia terrena degli uomini si divide per De Scrilli in due libri diversi, a dirittura contrapposti: da una parte la serie degli avvenimenti che in campagna, nel mondo naturale del poeta, sono scanditi su tre soluzioni, fisiche (la nascita, il dolore e la morte), dall'altra parte il giuoco delle luci, la voce del cielo.  Il curioso è che dall'opposizione non nasce mai un giuoco facile, la trama di una filosofia elementare: quando diventa veramente attiva, essa suggerisce al poeta un sentimento, una passione, quella che un tempo si sarebbe chiamata passione intellettuale.

A questa immagine robusta dell'uomo che sa, che conosce e sopporta ne segue un'altra diversamente venata e percorsa da un sangue ricco di sentimenti più facili, più vicini alla storia temporale del poeta.  Non sarà difficile a chi ha conosciuto il dottor De Scrilli ritrovare in certe cadenze, in certi abbandoni le conidenze e gli sfoghi immediati del suo animo. È, dunque. una gamma abbastanza ricca di voci e di espressioni: un'altra cosa da notare, di fronte a un poeta che a prima vista appare così circoscritto e magari conchiuso.

Ma resta la prima domanda. Da dove ha tratto questa immagine di vita ancor oggi così palpitante, così recuperabile alla lettura dei suoi versi?

Dobbiamo interpretare la sua disposizione poetica come una specie di rivalsa sulla parte del male, sullo spettacolo quotidiano dell'apparente ingiustizia, meglio ancora del mistero che regola la nostra vita e sembra placarsi e illuminarsi per un attimo nel momento della morte, nella voce dei morti che ha così bene restituito sull'eco delle campane di San Bernardino? La miseria umana, i limiti di chi soccorre, di chi viene in aiuto, la ruota delle stagioni, il piccolo giardino di casa le scale, il passo del fratello morto: la sua poesia conosce soltanto questi avvenimenti privati sì ma dotati di una carica generale, assoluta, di una porzione di verità.

Che caso curioso, questo, di un poeta dilettante che riesce a toccare la sponda ingenua, naturale della poesia attraverso la ripetizione dialettale. Di solito il poeta dialettale (e il dottor De Scrilli occuperà un. bel posto nell'antologia che un giorno si dovrà pur fare della poesia urbinate) é vittima del bozzetto, della macchietta, risolve tutto in chiave .sentimentale.  Per De Scrilli la posizione è rovesciata,: egli ha .saputo fàr tenere in un fragile vaso, un'onda ben più alta di poesia, diciamo pure, un sentimento universale. E direi qualcosa, di. più, l'immagine di una vita spesa bene: non legata agli interessi immediati ma alimentata, nutrita da un senso delle proporzioni. quale la poesia sola può restituire, molto di più della .scienza e della stessa vocazione (nel bene o nel male).

« Un giorno le, farò leggere i miei versi », sento ancora il tono di confessione, un movimento di gioia e mi pare di capire finalmente il senso vero di quelle parole. Che cosa voleva, dunque. dire il dottor De Scrilli, alzandosi dalla sedia posta accanto alla finestra della stanza numero sedici?  Che cosa se non questo: il poeta parla da solo, parla da sempre e non ha bisogno di grandi mezzi, di grosse soluzioni critiche ma per vivere e restituire la vita agli altri gli basta avere la fede, credere ingenuamente alla voce che avverte dentro di sé e a volte lo travolge. Era in fondo una piccola lezione che quel, caro dottore di campagna dava a un letterato presuntuoso, la lezione di un nonadetto ai lavori favorita a chi credeva di non essere mai uscito dal cantiere della poesia nuova, insomma la vittoria del sentimento vero e onesto sul calcolo.

 

 Carlo Bo

Urbino, 14. febbraio 1961

INIZIO PAGINA

 

RISVEGLIO

 

'Na striscia d' sol ch'arentra

dal bug d'una persiana

com una ftuccia colorata d' rosa,

só p' i tett, una strana

conversasion de passre . . . tra pr'el cel

un stridio de rondon ch' van come matt.

 

Giò pr'el vigol do' gatt

in t'un canton te tirne l'ultme not

d'na sinfonia, principiata a l'oscur

malé, pett a chel mur propri stanott !

 

Sbattne le prime fnestre,

s'arsentne le prim voc ed i prim pass. . .

già s'arcompon el giorne

e tutt' intorne

s'arcmincia sa chla vita,

sa chla solita vita,

semper la stessa storia

sempr'el sistema stess

per tutt, anca per no'

che tant volt, ansi spess

voriam cla fossa fnita . . .

e non è vera !

Perché ma no' ce piac,

anca se non da pac, sta nostra vita.

 

 

INIZIO PAGINA

 

 

 

MATTUTINO

Urbino, 6 agosto 1954

 

Io sono sempre in ascolto:

tutto mi parla all'intorno !

O quante voci mi giungono . . .

semplici voci ed immense !!

Vorrei accoglierle tutte, nell'anima mia !

 

Stamane un suon di campane

chiamava accorato: " Vieni,

ritorna" e suonavan

a dolci e mesti rintocchi !!

Ma io son rimasto . . . con lacrime agli occhi !

 

Vieni, che pensi? che fai ? Perché soffri

tanto ? La vita ? È semplice cosa !

La morte ? non è dolorosa ! Ci apre

le Porte del Mondo, del Mondo

dell'Anima . . . E tu non vieni al richiamo ?"

 

Non sono andato. . . Sono rimasto

lontano!

 

Debbo andare ?  Andrò ! . . . Piegherò

d' innanzi all'Altare i miei doloranti

ginocchi; offrirò . . . il mio peccato

e dirò: " Padre, perdona . . . io cercherò

di non peccar più . . . aiutami,

aiutami Tu!.. .''

 

 

INIZIO PAGINA

 

 

 

LO SPAZZINO

 

Alla prim'ora di ogni mattino

mi giunge all'orecchio un fruscio

lieve come un sospiro !

 

Lo spazzino accarezza la sua strada!

 

 

INIZIO PAGINA

 

 

 

DALLA MIA FINESTRA

Urbino, 19 settembre 1953

 

Le ombre della sera s'addensano

sui tetti grigi; un tenue color di rosa,

ultima luce del sole che cade, illumina

il Palazzo ducale!

 

Corron le nubi, inseguite dal vento

impetuoso che par voglia cacciarle

dal Cielo !

 

S'è fatto già buio nel mio giardino;

ma scorgo le piante agitate, sconvolte

dallo scirocco, brancolare qua e là,

come in cerca d'aiuto . . .

Emettono suoni che sembrano voci

d'angoscia e talora sospiri !

 

Ombre cupe son anche nell'anima

ed opprimente tristezza e paura

della notte che incombe !!

 

 

INIZIO PAGINA

 

 

 

ORTO DI CASA IN INVERNO

 

Do prac'tin de spinac ch' nascen adess

e vent bugh de pisei ch' spunten apena,

timidi, ratrapit, ch' fann guasi pena

qualch palla d'cavi, boni da fa less.

 

El per, el succne en come ischeletrit

e sol el gall, canta de bona lena

fra le galin ch'en tutt' ingrufolitt

tien testa dritta; el fred en i dà pena !!

De passre un branc s'arversa pr'el stradin

e saltella a beccà tutt chi granei

che dalla catinella dle galin

en caduti per terra . . . t' 'n angolin

un calicant ha mess fora i su' fior

e s' ún i va da vcin

se sent un gran odor

da ch' l'arbre sensa foi, ch'par come mort . . .

e ch' prima ch' la sia fnita

vol spanda tra per l'ort

el profum dla su' vita.

 

 

INIZIO PAGINA

 

 

 

DAL  MIO  STUDIOLO

 

Risento il passo del Fratello mio.

il passo lento che salia le scale;

altri è che passa e pur mi sembra uguale !!

Altri è che passa e non mi sembra vero

che a Casa nostra un altro sia venuto

a star dove sei stato

tu, mio Renato !

 

Non sei neppur nel nostro Cimitero,

morto non sei Fratello,

è tuo quel passo, è quello

 

e sei tu che saluto

da dentro lo studiolo affaticato

a combattere il mal, anch'io malato!

 

Tu sei giunto, Fratel, seguo il tuo passo:

io pure salirò tutte le scale

e ti raggiungerò là dove credo

di non trovar più il Male !!

 

 

INIZIO PAGINA

 

 

 

CASA MIA . . . MADRE MIA !

 

Un passarot strapat da la so' cova

e mess dentra 'na gabbia

al de fora d 'na fnestra,

dichne che canta !

Ma me me par ch' se lagna,

ansi che 'l piagna

e non tant pr'el magnà

ch'alfin qualcun li dà !!

Vlem fa 'na prova !?

Provam, provam un po'

d'arportal t'la su' cova?

I' so' guasi sicur

ch'el passre en piagnrà piò

che daver cantarà !

Cosa vlet che I'afanna

artrovand la so' Casa e la so' Mamma !?

 

 

INIZIO PAGINA

 

 

 

SIT DEL MI URBIN

suoni - rumori - voci e persone di primo mattino

 

A la matina arsent la mi' campana

che per prima rintocca a San Francese,

e quella piò lontana

de Santa Caterina

e po' quella d' San Serg !

E dal rumor di pass

giò giò per la stradina de bon'ora

arcnosc la gent ch' va fora

per i so' fatt . . . e la voc di vicin

quella de Pungolon e d' Leoncin

ch'arentne in discussion

s'el temp arfarà trist o s' farà bon !

Ecc, atacne i motor

dle corrier che van giò per Pesre e Fan

e apena spunt' el sol

le scarp del latarol

che sal su' tamburlan

fa un rumor special

mentre a bass, tel giardin

dal polar, le galin

sa l'antra, quà quà quà,

reclamnen da magnà!

 

M'als anch' i' de bon ora

e da casa vagg fora

ad incontrà per prim

quasi sempre Gagin

e piò in là Roboam

sa 'l giornal in t'le man

e sa chi occh stralunat ch' metten paura !

S'avansa la figura d' Sor Antonie

che pien de cerimonie

me cerca de spiegà

cosa dic l'Unità

ed un nombre m' ne dà

quasi sempre aretrat,

forsi pensand ch'en so' tant avansat !

Ariva de gran fuga e mezz sfiatat

intant Ughett

ch' me fa veda el brodett

e po' Brenno ch'artorna da la spesa

per daver matutina

e me cmincia a parlà dla su' fiolina !

Dop, sensa tante storie

cominc in piassa el prim ambulatorie !

 

Anca per tutt ste cos

e non soltant per quelle mravios

ce sto ben t'el mi Urbin

Amir i grand, mo voi pió

ben ma i pcin.

 

INIZIO PAGINA

 

 

LA CESANA

 

La matina, pr'el fresc, pianin, pianin

vagg, per la strada vers el Cimiter

e, fatta la salita de Bianchin,

prend a man manca só per un sentier!

è la costa de sora a Ricotin,

dov sta Piston, en v'arcordat quant ser

sem gitti a beva quale chicott de vin

alegri, in pac e sensa tant pensier !?

Sbocch in t' la strada sotta la Pineta

ss 'l respir aross ... me ferm un cuncinin …

arprend el fiat che a poc a poc s'acueta !

 

Quant'è bel da chel sit, el nostr' Urbin !

Dal torion d' Santa Chiara 'na cometa

se stacca e fila vers San Bernardin !!

 

Campi fioriti, rossi de lupin.

aria frisant e tutta profumata.

s'alsen triland t'el ciel i lodolin;

el falch intorna a lor fa la " slalata ".

Ved el Carpegna, guarda San Marin

e la spiaggia d' Catolica, adagiata . . . . . .

… una vela in t'el mar ch'è tutt turchin

stacca sa la su tela colorata!

 

Ecca el Neron acciliat e fier,

el Petrano fiorit com un giardin

l'Acut el Catria da l'aspett sever;

piò in qua la Strega . . . o bei monti d' Urbin

quand el sol infocat cala tant ser

e ting de viola i fianc e d'or le cim !!

 

Ho 'na passion per te, bella Cesana,

pr' la to aria i to bosc ed i to fior

pr'el silenzi la pac soav, arcana

ch'amansisc ed acueta i mi dolor.

Da te me vien com 'na dolcessa strana

ch' penetra, invad e fa tant ben mal cor,

e vad content per la tu strada piana

da la gioia ch' me dè, nasc el mi amor !!

 

Magg è gentil e t'ha portat in don

'na bella vesta tutta colorata

de mille fior, el mes piò bell e bon!

Dicembre te fa trist e desolata

t'arcopre d'un di chi su gran nevon,

mo la blessa nascosta è piò bramata !!

 

 

INIZIO PAGINA

 

 

LORET

 

S'arivat fora d' Porta,

quella d' Santa Lucia, vo vedet

subit Loret !!

C'è com 'na montatina

tra do fil de Cipress,

só só, propri in t' la cima

'na Chiesa e t'la facciata

dentra 'na nicchia, sta la Madonina,

ch'artien in tla bracciata

el Bambin ! Tutta nera, carina

se pur non agrasiata,

semper 'na Madonina !!

 

M'arcord che da pcinin,

m'arcord com fossa adess

quand'era Primavera

i portavme ogni sera

de fior un massolin!

Ce pareva contenta

quand' i davan chi fior, la Madonina

luminata dal Sol

ch' tramontava infocat

fra el Carpegna e i Simon.

Era el Magg profumat

e giò per chle grepat

 

com cantaven i grill !

So, pr'aria tutt un trill

un vol de rondanin

e fra i Cipress

un cantà piò somess

de passre e de cardlin !

 

O bei sit del mi' Urbin !

quant volt me so fermat

a guardav, a pensà !

E semper una blessa

nova i ve c' ho trovat;

e semper 'na dolcessa

nova ho sentit in t' l'anima

per l'armonia cangiant

fra le vall ed i mont

fra le alb e i tramont

fra la luc e i color

fra le erb ed i fior

fra la terra ed el Ciel ...

O bei sit del mi' Urbin

dov se ved, dov se sent

ch' ve poi avé creat

El Maestre Divin,

Lo' solamcnt !

 

INIZIO PAGINA

 

 

I  PIN !

Urbino, 15 agosto 1947

 

Mi bab, quand'er pcinin,

mis giò 'na massa d' Pin,

m'arcord, in t'un pogett

de sora d'un boschett;

 

e ce diva: " Fioi mia,

quand' i sarò git via,

sti arbre saran maché ! . . .

ve potret arcordé

ch' i avet piantat sa me! "

 

Com'en cresciut i Pin !

Anca i', da pcinin,

so' dventat bell e vecch

i', c' ho i capei canuti

e ch' i arbre qualch ram secc!

 

Ho in t' l'anima un mal fin,

'na spec d'ipocondria;

finirà la vita mia

ed armanran i Pin !!

 

Mo guardand tra per l'aria

ma chle piant propri bell,

ved la Processionaria

só, só per el modell !!

 

Me vien fatt de pensà

ch' in t' l'anima anca i Pin

sentiran el mal fin. . .

ch'avran l' ipocondria

dla vita che va via

d'acsé, pianin pianin,

anca ma i Pin !!

 

INIZIO PAGINA

 

 

S'ARFORMA L'ORCHESTRA

 

Da qualca sera, a la medesim'ora,

fors da la stessa pianta,

el Cucch arcanta

la vecchia e cadensata

nota: cu cu . . . cu cu ! . . .

E non se stuffa

e non arprend mai fiat . . .

è un ucel disgrasiat

sa ch' la voc scansonata,

pró ve sa dì

che la bona stagion è ormai tornata

ed anca lo, a su mod, se fa capì !!

 

S'arforma ormai l'orchestra d' Primavera

ed el prim Profesor ad arivà

è sempr'el Cucc, se sa,

Profsor de Contrabas

artista da strapass ! ! …

 

Mo' quand piò cald è el sol

e pio seren el ciel

eccate l' Usignol

sa'l su' flaute divin

dal bosc, sotta le stelle . . .

e grill e raganelle

e tanti atre animal

l'acompagnen in cor

sa 'na gran frenesia !

In t'i foss i ciambott

fan la part di fagott !!

 

Tutta sta Sinfonia

quant nott m' la so' goduta

apogiat in t'la fnestra

dla mi cambra, sol sol a casa mia.

E fra d' me 'niv pensand

cosa mai vlessa di'

sta gran musiga strana . . .

e, pensand, armirava a la lontana

el Ciel stelat, la su' volta infinita

e pió me sprofondav

int'el mister dla vita . . .

 

 

INIZIO PAGINA

 

 

 

NELLA TESA

 

Quindici ottobre: Santa Teresa !

Cielo terso, azzurro, lucente;

sole autunnale, aria frizzante,

aspra!

Nebbioso ad oriente

l'orizzonte !

 

Santa Teresa  ‑ Colomba presa !

 

Un uomo sta nella tesa,

quasi in esultanza

per una speranza

che s'affida all'aria,

al cielo, alla fortuna,

al caso !

 

I richiami sono

nel pieno del loro concerto

verso su verso

canto su canto

sinfonia seducente

d' innamorati

ciechi d'amore fuori stagione !

Si propaga quel canto...

va per la valle, lontano ! . . .

L'odono, l'ascoltano

i compagni migranti . . .

virano e s'indirizzano,

calano e degnano,

aleggiano e si posano,

trepidanti, confusi,

un po' diffidenti

perché questo canto, se non è primavera ??

 

Perché questo colpo

diretto da un occhio

sadico e bieco

verso chi è cieco,

per un canto d'amore !?

 

 

INIZIO PAGINA

 

 

 

LUCCIOLE

 

Ve' !! . . . guarda le luccle, mamina !

Fam fam la sactina

de mussola bianca . . . valà?

O quant lucciolin

t'la cambra voi metta

da pid al lettin

a fa da lumin !!

 

Lucciola, lucciola, calla calla !

 

M'arcord che 'l Profsor

quand'ermi in Liceo,

parland di bordei

in Grecia e di lor giocarei,

" Alora ed adess

i gioc di bordei en semper l' istess "

- diceva – " Kalή, bella bella

Kalή, calla calla,

corevne de dria ma le luccle

cantan e chiamandle l'istess

alora ed adess,

mettendle de dentra al sactin

da pid al lettin

a fa da lumin !''

 

Ch'el foc e chla luc

che vien e che va,

ch' s'acend e se spegn

ch' s'inalsa e s'abassa

portat qua e là

in t' l'oscurità,

adess en è piò misterios !!

Se cnoscen tant cos

ch 'na volta erne pien de mister

mo alora, com erne piò belle

com favne piacer !

 

Un fior, un uclin che cantava

'na lucciola d'or

ma'l cor i bastava da pcin,

bastava un sactin

de luccle da pia del lettin

a fa da lumin ! . . .

 

Adess ch' ne savem tant e gnent

chi è piò content?

E ditme un po' só,

chi è che god piò !?

 

 

INIZIO PAGINA

 

 

 

PIOGGIA

 

Uh, questa pioggia lenta che scoppietta

sulle piante dell'orto

e ne spegne l'arsura !

e questo lacrimare raro e lento

che sento scivolare

sulla mia guancia e placa

questo dolor che brucia !

Han sete di conforto

le piante del mio orto !

Più forte piova e che più forte io pianga!

 

 

INIZIO PAGINA

 

 

 

E NEVICA, NEVICA ANCORA!

Urbino, 12 marzo 1956

 

Basta con questa bufera,

con questo opprimente candore,

vattene, neve, o cambia almeno colore!

Sei troppo bianca, silenziosa, insistente,

incombente e mi stanchi.

 

Questa notte, ad un primo risveglio,

la Bora, con voce ovattata mi disse

che ti aveva portata e, di nuovo, cadevi !

Ne avevi smorzata la voce ululante

sibilante, paurosa, ma non la forza;

ché ti sollevava, trasportava qua e là

in un turbinio violento, ti faceva cadere

dove non avresti voluto e tu, leggera,

non potevi resistere! Mi sono alzato a vedere!

In sostanza sei acqua; ed allora

sciogliti presto, scorri ai ruscelli, ai fiumi, va,

gettati a mare, fondi il tuo idrore

nel colore delle sue acque, confonditi

in esso! Poi verrà il Sole! Ti farà risalire

in vapore nei Cieli, ma . . .

in incontro di Bora, non ti affidarc

se non vuoi tornare a cadere,

a tormentarci quaggiù, nel tuo tormento.

 

 

INIZIO PAGINA

 

 

 

SAN BERNARDIN

 

San Bernardin, com sonen le Campan

da la tor dla tu Chiesa e com el son

è dolc e chiar e se difond lontan

destand t'el cor 'na strana comosion !

 

Scendne da la Cesana, giò i vilan

ed han tla faccia un non so che de bon,

caminne e dann de mors t'un pess de pan

e chiamne e toccne " Namoré ", " Faicon " !

 

T 'el prat tutt pichietat de primaver

se god un fresc, 'na pac profonda e mesta

com godne i mort in t'el tu Cimiter !

 

La vita che dovria essa 'na festa

se confond sa la Mort t'i mi pensier

ma se pac dà la Mort, la festa è questa !

 

 

INIZIO PAGINA

 

 

CAMPANILI DI URBINO

 

El campanil del Dom sa' chel caplin

d'la cupola, me par un cuntadin

quand a la festa,

te mett só chel capel

piò pcin d'la so' gran testa

e sa cl'orlog t' la pansa !!

Snell, 'stil, elegant

invec è 'l campanil de San Francesch,

ch' par intarsiat

sa le cel biforat

e sa un cartocc, t' la cima

che guardat da distant,

te da com un'idea

che sia fatt de crocant !

 

 

INIZIO PAGINA

 

 

LA MADONNA DELL'UOMO

 

Ho dovut arcercalla la stradina

pr' artornà giò ma la Madonna dl' Om,

tutta nascosta com la Chiesolina !!

En potev artrovalla! . . . quand' ho arvist

la siep d'acac ch'era tutta fiorita,

a man dritta chel grepp infalascat,

verd, de margaritine trapuntat

e d' botoncini d'or . . . me so' artrovat !

Me guidava el profum, la luc, un son,

un cant lontan come de litania,

e so' gitt dritt da la Madonna dl' Om !!

 

O Chiesolina fatta per pregà

com l'atre Chies, mo mei ch' in t' l'atre Chies,

ho sentit propri el bsogn d' nitt' a trovà !

En c'er piò nut da pcin, quand per el Mes

de Magg, ce 'niv insiem sa la mi' Mama

che m'arcontava com 'na storia strana

d'un tal ch's'è sprofondat in t' la stradina,

per avet ingiuriat, o Madonina !

 

Madonna dl' Om, o quanta, quanta gent,

en te cnosc, en t' vol cnoscia né arcordà !!

Ma un giorn vnirà, 'nirà cert el moment

che, come me, 'sta gent artornerà

comossa, inginocchiata d'vanti a te

muta, pentita . . . e tu perdonerè !!

 

Ed anch'i tornerò, Madonna dl'Om,

perché avrò ancora bsogn del tu perdon.

 

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MADONNINE:

Urbino, 29 maggio 1947

 

I c' ho 'na Madonina

t'na nicchia, per le scal,

tutta bianca, carina,

sa un sguard sentimental ! . . .

I' ho fatt 'na volta azzurra,

i' ho mess 'na lampadina

e un fior in t'el bocal

ce mett ogni matina . . .

So' anch'io sentimental !?

Quant volt me so fermat

a guardai, a pensà,

a dimandai qualcosa,

d'acsé, sensa fiatà !!

 

Anca per la Cesana,

quand vagg pr'el mi camin,

i pass semper davanti

a tante Madonin !

C'è la Madonna Rossa

quella di Gasparin,

la nicchia d' Garibaldi

e chl'atra d' Ca' Marin.

De Magg, oh quanti fior

i portne chi pastor ! . . .

e d' intorna i bordei

ce fan i giocarei . . .

c'ardunne un po' de sass

ed ogni petra è n'anima

de quei ch'en già trapass!

 

O Madonine, avanti

tant volt ce so' passat

e propri non me sembra

d'avev sempre guardat ! . . .

Perché d'arvolgia el sguard

i' tant volt en m'azard,

en v'ho semper portat

ogni matina un fior

ch'avessa un gran odor !!

 

 

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MADONNA MIA, MADRE MIA

 

Arguard tant volt la Madonnina mia

quella ch' stava in t'la nicchia per le scal,

e lavorand sa la mi' fantasia,

i dmand qualcò, per me piò ch' natural !!

 

Guasi ogni giorne legg in t'i giornal

ch' l' Imacolata Vergine Maria

ha fatt 'n'aparision e tanti mal

ha guaritt, ma tutt quei ch' han fed t'un Lia !

I' digg: " Madonna, fam veda ch' ce se',

famla sta grazia, falla anca ma me !! "

 

Par ch' me sorida, la Madonna mia

sa 'n soris luminat de gran bontà,

com vlessa dì : " Csa pretendi, fiol mia,

quel che tu dmandi el credi d'merità !?"

 

El capisc, o Madonna, t'è ragion !

Anca mi Mamma me diceva acsé

" Te farò un bel regal se saré bon !

I' arispondev: "O Mamma com s'pol fa

a v'essa bon com propri me vo' te !?"

e Lia: "Vien adoprand la volontà,

m'arispondeva sa l'istess soris

guasi com la Madonna . . . e po' vedré

che bel regal tu, da tu Mamma avré !"

 

D'acsé parland m' acaressava el vis !!

 

 

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NEL CONVENTO DI SANTA CATERINA

 

Me fermò la fatora, e: " Sor Dotor,

c'è 'na monica a Santa Caterina

che sta mal da un peztin ! . . . Un brutt lavor !

per piacer, vol vni a facc 'na scapatina ?!"

 

"Andam, andam ! " Quand sem in tel porton

lia tirò pian pianin el campanell !

Cla gran pac fu turbata da chel son ! . . .

Sentii, più tardi, un pass leger e snell

 

che s'accostava . . . silenziosament

s'aprì la porta ed una monachella

aparv sa 'n campanlin: ed umilment

me dissi " Avanti ! ". . . Andai de dietra a quella

 

pr' un coridor lung lung . . . e scampanlava !

T'el cor dla Chiesa alzavne un cant gentil

l'altre sorelle insiem: e quella andava !

Fora., splendeva el tepid sol d'April !!

 

T ' un cameron, copert da un baldachin,

un lettin bianc, e dentra 'na sorella

più bianca di' lensol de chel lettin !!

" Dotor, me disser, la malata è quella !"

 

Te guardai con pietà: la febre ardeva

eri 'na fiamma accesa ma'l Signor!

Una luc viva in t' i occh te risplendeva:

el splendor dla tu fed ! Dicesti: "Mor ! "

 

" En s'affatichi, en pensi" , " m' hann chiarnat

(e sa 'n dit festi un segn sò vers el Cel).

È volontà divina ed è pecat

opors a questa ". . . ed abbassasti el vel !!

 

Da la Chiesa, la voc d'le tu sorelle

s'alzava dolce e comoveva el cor !

Cantavan tutte le lor preghier più belle

pr' acompagnat, sa quelle, dal Signor!

 

Oh monachella bianca ! Te passasti

calma, serena e tutta speranzosa !

E prima de spirà me riguardasti

sa la luc di tu' occhi luminosa:

 

po' lentament el sguard al ciel levasti !! . . .

Presi dal comodin alor 'na rosa,

t' la posai sopra el lett. Te te voltasti:

un soris ! . . . e po' fredda e silenziosa !!

 

 

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IN  MORTE  DI  MARIA  LUCCIARINI

 

Mi chieser: " morirà, sta per morire ?"

Non so, rispondo, e leggo su quei visi

un'espressione di compatimento !!

Io sento dir, io sento

(e nessun apre bocca)

" Misera scienza e sciocca

(fors' io lo penso?)

che sua vita salvar non sol non puoi

ma nemmeno sua morte veder sai !!"

 

E per questo mi dolgo ? Amici miei,

no, non per questo sol, ma pel dolore

di Lei, sorella in Dio,

ma pel dolor degli altri

in Dio Fratelli !!

Com'era bella moribonda e morta !

O quanto belli, quanto

erano tutti quelli a Lei d'intorno,

nel dolore e nel pianto !!

 

È sera ! Scrivo la mia preghiera:

Mio Dio, mio Dio, che non ci renda belli

che fratelli non ci faccia sentir,

io te ne prego e con tutto il mio cuor,

solo e sempre il Dolor !

 

 

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NOTTURNO TRISTE

Urbino, notte del 12 maggio 1953

 

Albicant sublunaria extructa sepulchra

inter nigras cupressos . . .

Ululo angit et maeret,

vox amota videtur animae

heu dolentis, inconsolabilis !

 

Noli strepere unquam nottua maligna!!

silete rame pravae atque perversae

et grilli insane canentes ! !

Solitudo silentiumque mihi necesse

ut, sicut ulula, Heam, propter dolorem meum!!

 

Sotto la luna, fra i neri cipressi,

biancheggiano i sepolcri . . .

Singhiozza l'assiolo accorato

e par l'eco lontana di un'anima

dolorante. inconsolabile!

 

Non strider più civetta maligna !!

tacete rane perverse e grilli

con quel cantar frenetico che sa di pania !!

Ho bisogno di solitudine e di silenzio

a singhiozzar così, come l'assiolo !

 

 

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Tradizione  verbale  nell'  Urbinate

racconti  brevi   CON   CANTILENA

 

 

La Pulc e ’l Pdocchj'

 

'Na pulce, che era la madre premurosa di un pdocchj' giovincell e poch giudisios, dev gì al mercat e lascia tel foc la pignatta sa'l brod, per artrovall pront da colè dop la spesa.  Prima de scappè  saluta el fiol, el pdocchj, e i arcmanda de stè lontan da la pignatta e de non pensè manch lontanament de colè el brod.   Appena scapata da casa la pulc, el pdocchj', che com tutt’ i pdocchj' era  'n gran testard (propi com dic el proverbi: testard com’el pdocchj'), s’mett a colè’ l brod,  ma t'el piò bell casca t'la pignatta e mor.

Quand la pulc artorna chiama subitt el fiol, e quasi se l' sentiva a scorra ch’era succes qualco' de brutt: “Pdocch, pdocchin mia”, ma lo en rispond.  Disprata el cerca per tutt casa:"Pdocch, pdocchin".  Alla fin sa’n brutt presentiment guarda dentra la pignatta e scopre el fiol gonfi com 'na palla ch' galleggiava t'el brod.  Subito se mett a piagn e urlè com’na disprata: "Pdocch, pdocchin mia, t' l'avev det da stè lontan dal brod.  Pora me com farò adess a campè !".  Se scarpisc i capei e se straccia i vestitt.

El banchett commoss de tutt cla disperasion, en sapend cosa fè, se mett’a ballè.  La morletta dla porta stopacitta dal schiamass, dmanda mal banchett: “Se' dventat matt, 'sa ch' è tutt' ste fracass ?”.  El banchett rispond:

 

“Sta sitt, sta sitt;

è success di brutt guai:

è mort el pdocchj',

la pulcia la piagn

e i' per casa ball."

 

La morletta sa i lagrimon m'ai occhj tirand un suspiron i rispond: “E io struss”. E se mett a strussè (girè) com 'na matta.

Un brocci' che era malè t'el mezz dl' ara vedend sta morletta i dmanda: “Com' è strussi a cla via; fè 'n stridor ch' m'arcidi le carn ?”.  La morletta i rispond:

 

"Sta sitt, sta sitt;

è success di brutt guai:

è mort el pdocchj'

la pulcia la piagne,

el banchett t'un casa balla

e i' ch'so' 'na morletta … struss".

 

El brocci' i rispond “I' 'sa poss fè ? me mett a scapè” e se mett t' na fuga com' 'n' indiavlat facend un gran stromblaticc' e alsand' un gran pulveron.  El brocci' dacsè corrend passa sotta la cerqua bella. Lia arman de pissich a veda el brocci', de solitt zag-zag , a corra da ch'la via e i' dic:  "Oh brocci' t'ha pres un ragg da matt ! Calmte 'n po', vien machè sotta l'ombra, dim ch' sa t' è sucess."  El brocci' sensa fermass i gira intorne e i rispond:

 

"Sta sitt, sta sitt;

è success di brutt guai:

è mort el pdocchj'

la pulcia la piagne,

el banchett t'un casa balla

la morletta strussa

e i', ch'so' el brocci', corr"

 

E po' corr via com'era 'nutt.  La cerqua bella presa da la disperasion dic: "E io me spoij".  Incmincia a smenass tutta e, piena com' era, fa un gran spolveraticc d'foij e d'ghianda.  Un por ucc'lin ch' ariva pr' arposass smett a strillè com' un ossess: "En c'è piò religion: sensa 'n fil d' vent te se sbatt tutt i brancon; dai só, datt' una calmata, s'no tra 'n po' manch 'na foja avrè 'tacata !"  La cerqua, che bella piò en era, singhiossand i arconta la disgrasia, cascata tra cap e coll ma la pora pulc:

 

"Sta sitt, sta sitt;

è success di brutt guai:

è mort el pdocchj'

la pulcia la piagne,

el banchett t'un casa balla

la morletta strussa

el brocci' corr com un matt,

e i', ch' so la cerquella, me sfoij"

 

L' ucc'lin intona un gran stridori e dic: "Cip, cip, io me spenn, ciricicì; io me spenn, cicì cicì".  E giò, svolacchiand e argultilandse per terra, sal becucci' se scarpiva le penn dal pett.  'Na fontana, ch'era malè petta, en credeva m'ai su' occhj: "Com' è, oh mi' ucc'lin, tutta sta pena ? Vien a bagnè 'l becch e famm 'na cantatina."  L'ucc'lin continuand a strida e scarpiss le penn i dic:

   "Sta sitt, sta sitt;

è success di brutt guai:

è mort el pdocchj'

la pulcia la piagne,

el banchett t'un casa balla

la morletta strussa

el brocci' corr

la cerqua se spoija

e i', ch' so' l'ucc'lin, me spenn"

 

La font, che non poteva piagna dat ch' le fontan piagnen de natura, per dimostrè tutt el su' dolor, dic: "E io me secch".  Dacsè tutt' a 'n chiopp el gett en butta piò e l'acqua s'artira.  Riva t'un chel moment 'na fiola, che la madre aveva mandat a chiappè l'acqua m'alla font.  Quand ved  ch' en c'era pió 'na stilla d'acqua, dmanda : "Oh fontana, fontanella, dov' è la tua acqua fresca e bella".  La fontana, sa la voc scialata, com chi a piant fina l'ultima stilla, rispond:

 

"Sta sitt, sta sitt;

è success di brutt guai:

è mort el pdocchj'

la pulcia la piagne,

el banchett t'un casa balla

la morletta strussa

el brocci' corr

la cerqua se spoija

l' ucc'lin se spenna

e i', ch'so' la font, me secch"

 

Presa da 'n gran dolor la pora fiola, romp' in t'un moment l'orci' e l'orciola.  Quand'artorna a casa la madre i dmanda: "E l'acqua?". Schioppa el magon ma la su' fiola e tra 'na massa d'sangusson liberatór, vota dalla pena el su' cor:

 

"Sta sitt, sta sitt;

è success di brutt guai:

è mort el pdocchj'

la pulcia la piagne,

el banchett t'un casa balla

la morletta strussa

el brocci' corr

la cerqua se spoija

l' ucc'lin se spenna

la font se secca

e i', ch' so' la fiola,

ho rott l'orci' e l'orciola."

 

La madre, singhiossand piò dla fiola, chiappa le forbicc' e taja tutt la tela, ormai fnitta da ordì in t'el tlar. El maritt 'riva d' corsa da d' la, da la cucina, du' fava da magnè e dmanda tutt stralunat el motiv de chel rapascet.  La madre rispond:

 

"Sta sitt, sta sitt;

è success di brutt guai:

è mort el pdocchj'

la pulcia la piagne,

el banchett t'un casa balla

la morletta strussa

el brocci' corr

la cerqua se spoija

l' ucc'lin se spenna

la font se secca

la fiola ha rott l'orci' e l'orciola.

e i', ch' so' su' madre, taij la tela."

 

El maritt sa i occhj for dla testa corr tla cucina, alsa el coperchi e a galla t'el brod bell' e gonfi ved el pdocchj'. Alora tutt spirtat urla:

 

"Sta sitt, sta sitt;

è success di brutt guai:

è mort el pdocchj'

la pulcia la piagne,

el banchett t'un casa balla

la morletta strussa

el brocci' corr

la cerqua se spoija

l' ucc'lin se spenna

la font se secca

la fiola ha rott l'orci' e l'orciola.

la madre, taija la tela

e i', ch' sò el coch, butt la testa t'el foch."

 

(Così si chiude il ciclo: probabilmente responsabile della morte del povero pidocchio era stata la testa del cuoco, la quale viene infine punita e disinfestata con il fuoco)

 

 

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El forasacchin e la pessulina

di Michele Gianotti

 

Un forasacch, un de chi sorciulin pcini pcini, forsa da rosicchiè era riuscit a 'larghè el scior intorna la rugiola per entrà dentra la bott piena de lard.  Mentre magna a crepa pansa tutt chel ben de dio, de chiopp 'riva la padrona salla luma che de prescia giva vers la bott a prenda un pess de lard per fè 'l sciugh.  El sorciulin, per scapè de fuga dal bughinin, se scortica tutt la testa. Salla testulina splata e 'l sangue ch' en i stagnava pensa da gì dal sart e i chied:

«Sart, o mi' brav sart me daresti 'na pessolina ch' ci ho da fasciè la mi testolina ?»

El sart, che in vita sua en aveva mai fatt gnent per gnent, i rispond:

«Se mi dai il pelo» 

El sorc scappa d'corsa e t'la strada incontra ma 'n can e i chied:

«Can o brav el mi can, me de un ciuff del tu' pel ?»  

«Sent machè - rispond el can - perché duvria dè 'l mi' pel ma 'l prim ch'ariva ?»

 

«Can', car el mi' can,

se te me dè 'l pel,

el pel el dò ma 'l sart,

el sart me dà la pessolina

dacsè me fasc la testolina»

 

El can a veda ma chel sorciulin salla testa insanguinata se commov, ma propi per non passè da cojon del tutt e dat ch' c'aveva sempre 'na fam ch' en vdeva lum, i rispond: «Se me dè el pan.»

El sorciulin giò de corsa va dal fornar e sempre piò insuppat de sangue i chied:

«Fornar, o brav fornar, me dè 'n filon de pan ?»  El fornar i rispond: «Sa ne farà mai un forasacch com te de tutt chel pan ?» El sorc sa 'n fil de voc atacca:

 

«Fornar, o brav fornar,

se te me dè 'l pan,

el pan el dò ma 'l can,

el can me dà 'l pel,

el pel el dò ma 'l sart,

el sart me dà la pessulina

dacsè me fasc la testulina.»

 

El fornar, per en dij de no, i rispond:  «S'me dè la legna.»  El sorc' giò de corsa va dal bosch e sa la voc de un ch' tien l'anima sa i dent i chied: «Bosch, o bell bosch, me dè la legna ?» El bosch i rispond: «Sa ne farà mai dla legna un sorc malamdat come te !»  El sorciulin singhiossand sa i lagrimon ti occhj i s'arcmanda:

 

«Bosch, o bell bosch,

damm' un po' d' legna,

la legna la dò ma'l fornar,

el fornar me dà 'l pan,

el pan el dò ma 'l can,

el can me dà 'l pel,

el pel el dò al sart,

el sart me dà la pessulina

per fasciam la testulina.»

 

El bosch, ch'en aveva voja dle zirle chè l' asciutta el portava pr'aria, i dic: «Se me porti l'acqua.»

El sorc 'riva a strascinon fin' al fium e, com un ch' tira gli ultim ansc, dic: «Fium, o mi gran fium, me de la tu' acqua ?»  El fium ridend tra i sass: «L'acqua? qui c'n'è quant ne vo'. Ma se ne farà mai un sorciulin malandat come te de tutta st'acqua?»  El sorc i dic:

 

«Fium, el mi' gran fium,

damm la tu' acqua,

l'acqua la dò ma 'l bosch,

el bosch me dà la legna,

la legna la dò ma 'l fornar,

el fornar me dà 'l pan,

el pan el dò ma 'l can,

el can me dà 'l pel,

el pel el dò ma 'l sart,

el sart me dà la pessulina

per fasciam la testulina.»

 

El fium se gonfia tutt e dic: «Ecc l'acqua è tutta tua.» El sorc: «Com facc' a chiapalla.»  El fium: «Vien piò in qua.» El sorc': «Poretta me, en c'arriv, en so notà.»  El fium: «Dai, vieni piò in qua ».  El sorc' fa 'n antre pass, ma brutt e gitt com'era sguilla e casca ti gorg.  E stridend a piò non poss  "ziiiioooo, ziioo, zio, zi …" el fium el porta via.

 

Moral: en rubè e, se te trovi ti guai, en sperè tropp t' l'aiut de chiatre.

 

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