Luigi Stradella :  Alcune  Testimonianze

Carlo Bo Luigi Carluccio Flaminio Gualdoni

Luigi Lambertini

Claudio Rizzi

 

Carlo Bo Urbino 1981

 

... Se potessimo servirci di una immagine esteriore, diremmo che Stradella adopera un suo particolare cannocchiale, una serie di obbiettivi da applicare volta per volta all'eterna trasmutazione delle cose ma cercando - riuscendovi - di rendere agevole il più possibile e leggibile al massimo questo suo testo fra esterno e interno, fra voci perdute e voci chiare ...
 

 

LUIGI CARLUCCIO -  Bologna 1976.

 

... la pittura di Stradella è un fenomeno di quella parte della cultura del nostro tempo che rimane aperta, intensamente esplorata eppure insoluta, consolatrice e tuttavia sconcertante, rozza e al tempo stesso delicatissima;  parte che coinvolge le relazioni oscure dell'uomo con i suoi simili, con se stesso, con l'ambiente di vita, proiettate su una dimensione che simula le dimensioni dell'universo e perciò tocca le radici dell'esistenza. ...        

                                         Milano 1979

... "Nel profondo" è il titolo di una delle opere che a me sembra fra le più fascinose, cui risponde "Studio per desiderio d'aria", per dire in quali atmosfere ambigue, vagamente allusive e oscuramente simboliche si muove lo spirito visionario del pittore.  ...

 

 

Flaminio Gualdoni  -  Milano 2004

 

Coltivato con sobrietà e tenacia, il paesismo di Luigi Stradella indica quanto continuo e preciso possa essere, anche in questi tempi procellosi d'arte, il senso fondamentale della pittura. ...

... Nel caso di Stradella, inoltre, la scelta è di "parlare con le mani", di assumere totalmente nel fare la problematicità dell'atto pittorico, sottraendosi ai picchi di teoricismo, alla strategia degli statements e dei proclami, e concentrandosi sul lavoro umile e potente dello studio; preservando come valore prezioso il senso di meraviglia, di integrità meravigliata della sensazione, e l'etica della laboriosità monacale ma felice, delle scelte cautelate e pudiche, del conquistare senza bruschezze la qualità della pittura opera dopo opera, in un processo incessante, inesausto, che è il senso stesso del dipingere.

"La natura è sempre delicata", amava ripetere proprio Enrico Reycend. E potrebbe essere, questo senso di delicatezza, l'imperativo vocazionale di Stradella. ...

... Stradella ha percorso piuttosto le vie dell'elegia, di una commozione rattenuta e sobria, dell'uso del tono minore, della grazia sommessa: in altri termini, della durata anziché dell'effusione, della castità stilistica anziché dell'enfasi sensibilistica, del vaglio lungo e meditato anziché della pura asserzione emotiva.

Da qui è nato il carattere affatto particolare della sua pittura. Che è pittura, si vorrebbe dire, di luce ancor prima che di colore. Tonale, certo, per quel suo coltivare i brividi minimi, gli scarti differenziali in cui la sensazione si fa valore pittorico, per quel suo catturare e preservare nella materia il dilucolo ultimo che fa vedere: quasi che, di fronte alla suggestione fastosa e mistica del paesaggio, Stradella lasci corso piuttosto a un processo lento e cautelatissimo di rimozione del suggestivo, del fastoso, per ritrovare una sorta di ultima, solitariamente raccolta religiosità.

Certo, dal punto di vista stilistico l'artista ha sempre evitato di incorrere nell'ansia dello sperimentare, dell'evolvere a ogni costo. Ciò che negli anni, muovendo da quei modelli, ha assettato, è per lui una lingua madre. Ciò che gli importa non è dove stare nell'arte, ma perché, e a che titolo, convinto com'è, con Pierre Reverdy, che "l'immagine è una creazione pura dello spirito".

Le dominanti grigie, d'un tono virato e come spossato a farsi sostanza lieve d'immagine, si sedimentano sostanziate, ancora con l'eco del fremito che le ha disposte, e si aprono alla trama minima, necessitata, degli accidenti, di colori a loro volta estenuati per sottrarvi ogni sensibilismo d'accatto, sino a farne pure risonanze emotive. Altrove la pittura si distende per dilavamenti e trasparenze, quasi timorosa che ogni altra cosa sia superflua dopo quel diapason fissato dalla stesura lieve e trepida, vitale tanto quanto estranea a ogni asserzione.

Sono, quelli di Stradella, lucori e impronte di colore: e tonalità calde ma infine pudiche: e visionari geli siderei d'una lontananza tutta emotiva: e grumi che scoprono lo snodo d'un farsi dell'immagine che è, pienamente, respirazione e comportamento di colore, d'algida castità gestuale.

 

 

Luigi  Lambertini  -  Milano 2004

 

  ...  Stradella, come è stato rilevato in modo più o meno marcato da quanti si sono interessati al suo lavoro - da Sassu a Volponi a Carlo Bo, da Carluccio a Venturoli, da Mascherpa a Crispolti e a Rossana Bossaglia - ha fatto e tuttora fa ricorso, sia pure nelle varianti che la innervano, a una tavolozza al riguardo quanto mai eloquente. Vengono alla mente, in una lata visione d'insieme, impasti e velature che, se possono richiamare i bianchi del Luini presentano pure confluenze con il Chiarismo, sempre che sia ora consentito un salto di secoli in tale più che naturale concatenazione. D'altra parte non mancano, unite a desinenze della "Scapigliatura", tonalità proprie a un Tosi e anche a un certo Carrà. Il tutto sino a più quiete e stemperate luci di adriatica rimembranza non prive di echi provenienti d'oltralpe e riconducibili alla stagione dell' "Abstraction lirique". Ebbene, questo è il retroterra che anima dall'interno un articolato modo di dipingere, espresso da Stradella negli anni attraverso il dispiegarsi di variazioni, attenzioni e memorie e che lo ha visto, poco dopo gli esordi, inserirsi nel grande alveo dell'astrazione naturalistica con una voce tutta sua e, per il rapporto che lo legava alla realtà, senza alcuna dipendenza con quanto gli avveniva intorno. Il che non è certo cosa di poco conto, se teniamo presente che allora Francesco Arcangeli si segnalava quale convinto sostenitore di un "nuovo naturalismo".

All'epoca - lo ebbi ad annotare in occasione della personale allestita nel 1964 a "II Cancello" di Bologna - all'interno delle sue "geografie", dei suoi paesaggi filtrati e dilatati dal'immaginazione risaltava una "specchiata rarefazione". Inoltre, alitava un'atmosfera "quasi surreale per lo scaglionamento imprevisto dei piani, per lo spostamento quasi cezanniano degli angoli di prospettiva". Il tutto avveniva all'insegna di "un'atmosferica introspezione" e di un "controllato modo di essere presente anche nei momenti di maggiore trasporto lirico". Insomma, se da un canto nella pittura di Stradella si avvertivano riflessi che avevano come cardini de Staèl e Morlotti, al tempo stesso era evidente un "senso di vertigine" e di spaesamento. Si era di fronte - adesso è evidente - alle premesse di future e più lancinanti proposizioni.

È sufficiente scendere in epoca a noi più vicina di un decennio e oltre, per ritrovare nella pittura di Stradella tremendi e inesausti rovelli formati di viluppi che, se da un certo punto di vista appaiono organici, da un altro possono far pensare a richiami più propriamente naturalistici e cioè a convulse e gigantesche radici. Ne deriva una tesa spettralità, affiorante da intrichi accentuati e squassati, metafore evidenti di turbamenti che nascono e, contemporaneamente, portano al fondo dell'anima. Dal diaframma tutto mentale dal quale erano scaturite le iniziali geografiche della natura, in nulla consone a una quieta presa d'atto per le loro vibranti e sotterranee tensioni, è derivata una radicale evoluzione. Negli anni Settanta/Ottanta e oltre, si assisteva, infatti, e con un crescendo, a una struggente compenetrazione tra il vissuto e l'opera in sé. La pittura, dunque, come macerato diario di stati d'animo. ...

 

 

 

Claudio Rizzi  -  accordi e tensioni

 

Un tempo favole e racconti iniziavano con il classico c'era una volta. Era come anteporre un sospiro vagheggiato nella memoria dilatando il corso dei secoli e il peso della tradizione. L'allusione non meglio definita ma riferita a una volta, una volta lontana, nebulosa nella data come nella geografia, sottintendeva inconfutabili realtà e tendeva a far supporre che nulla potesse essere diverso. Era un tono favolistico ma ospitava anche brani di verità. C'era una volta la pittura d'immagine. E secoli e secoli, fino a divenire millenni, si inanellavano nel ritrarre mitologia e leggende, divinità ed eroi; poi vennero religione e potere, la nostra Fede e i Signori della Storia. Papi, Principi e Condottieri. Poi, quando la Religione concesse coscienza di religiosità, apparve il Santo salvatore effigiato insieme al credente miracolato. E l'uomo qualunque entrò nella pittura. Quell'uomo varcava la soglia del tempo, cosa ardita e sino ad allora mai concessa agli umili. Ma soprattutto apriva le porte alla modernità che via via, e con un'accelerazione profonda e sempre più veloce, avrebbe sovvertito canoni e consuetudini. L'Ottocento, col Romanticismo, afferma l'uomo. Il Novecento, con Freud, ne libera lo spirito. Al Santo, al Pontefice, al Re, dapprima si è sostituito il contadino, il lavoratore o il vecchio in solitudine. Poi all'immagine si è sovrapposta la suggestione. Alla leggibilità dell'immagine si è congiunta la percezione emotiva. Non vige alcun obbligo, naturalmente, né si intende tripudio alcuno. Trattasi solo e semplicemente di alternativa, nell'assoluta libertà dell'artista come dello spettatore. L'immaginazione si apre nella spontaneità e occupa il luogo un tempo deputato al contenuto narrativo. Percepire invece di recepire. Rinvenire, consapevolmente o inconsapevolmente, grazie ai suggerimenti pure palesi o latenti dell'artista, l'emozione che dall'animo sale sino alla sfera dell'apparizione. Non è immagine eppure si configura qualcosa di analogo, l'intuizione si confonde e fonde nella lettura, la vaghezza diviene riconoscibilità, l'astrazione si traduce in concretezza. È la metamorfosi della poetica, che nella metafora transita ad altro significato e che dalle fattezze dello spirito dell'artista assume le fattezze dell'animo dell'osservatore. Immutata la realtà compositiva del dipinto, muta l'accezione del significato. È il percorso dell'informale. Ben diverso è il substrato dell'astrazione geometrica e razionale, anche se un parallelo è rintracciabile nella libertà intellettuale e nel riconoscere nell'autonomia della mente, nella scelta, nella determinazione estetica, la prevalenza dello spirito sul dettato della tradizione. Ma non è questo, qui e ora, il luogo per dissertare il tutto.

Pare che la suggestione riscontri l'habitat spontaneo nella pittura di Luigi Stradella. È di casa, sembra crescere spontanea come la vegetazione nella foresta. Si riconosce naturale, senza procedura artefatta, senza coercizione, palpita libera perché è un frutto sincero. Anche Stradella, una volta, agli inizi del cammino, dipingeva la realtà. Ma questa non obbligava la verità, che già e sin da allora non consisteva nel brano di concretezza dipinta, nel ritratto della cosa, ma pulsava nell'animo e alludeva come metafora ad altro significato. Cammina cammina, l'animo prese corpo e la pittura divenne emozione. Un segno ancora forte delimitava e scandiva, sottolineava brani di lettura, figure tradotte in animate presenze, impalpabili come diafane tentazioni radicate in una verità non lontana. Poi, come progressivo svanimento della timidezza nel corso degli anni, anche la soggezione al canone della formazione, il debito verso i maestri, si attenuò sempre più, sino a riconoscere come verità la voce interiore. La prerogativa poetica di Stradella, rara e fertile capacità di generare emozioni, si è consolidata nella maturità parallela alla partecipazione dei lettori. Il rawicinamento dello spettatore all'opera ha determinato la progressiva rarefazione del riferimento figurativo e la sempre maggiore acquisizione di proprietà di linguaggio astratto suggestivo. Sino a consentire campiture della memoria, spazi di emozione e brani di presenza che in osmosi delineano il perimetro dell'animo. Mentre i titoli ancora frequentemente rivelano una relazione con la realtà, la metafora si accende in libertà e procede a grandi passi ben lungi da ogni legame veristico. Anzi sublima accordi e tensioni di raro equilibrio ove il colore si traduce in voce dello spirito. Stradella non evoca ma suscita. Più che intaccare la sfera del ricordo, accende il campo dell'attesa, quello spazio indeterminato eppure universale ove lo spirito possa respirare libertà svincolata dai canoni sociali. L'autonomia di interpretazione individuale è capacità costruttiva e assume nel singolo accenti e fattezze differenti, proiettando anima e personalità a uno schermo che diviene specchio di conoscenza. Il suggerimento è velato e soffuso, tanto da indurre il lettore a ritenere di percorrere sensazioni assolutamente proprie e indipendenti. Il dialogo si instaura dunque tra osservatore e dipinto, relegando altrove o riservando all'artista breve spazio di palcoscenico. Protagonista è l'emotività, nella emanazione come nella ricezione. L'uomo autore è personaggio di quinta. Ulteriore diversità rispetto alla tradizione di narrativa che poneva in priorità il narratore rispetto al contenuto. Ma Stradella non ne soffre. Il narcisismo di esibizione non appartiene al suo linguaggio né potrebbe coniugarsi alla sensibilità della poetica. La parola pittura di Stradella non si riconosce nella proprietà privata ma appartiene piuttosto al sentimento che alberga nel collettivo, benché assiduamente condannato dalle convenzioni del quotidiano e dalla pochezza dell'effimero. Una parola pittura intensa, radicata in profondo e proiettata verso l'alto, nell'elogio della percezione e nello sprone a librarsi oltre il profilo delle cose comuni.

 

Luigi Stradella :  Alcune  Testimonianze